Eventi a Roma
Riccardo Muti Concerto per il Fai. Filarmonica della Scala. Santa Maria degli Angeli. Raramente, credo, le volte michelangiolesche delle antiche Terme di Diocleziano hanno udito una invocazione tanto tenera e vibrante come il Salve Regina di Niccolò Porpora. Brano molto amato da Muti, che l’ha riproposto con lirismo toccante, chiarezza neoclassica che saliva dal cuore: musica eseguita dalla Filarmonica, a festeggiare i suoi vent’anni di attività internazionale e a sostenere l’apertura ufficiale di “Centogiorni. Eventi culturali per la pace”, del Fai. Il mezzosoprano Daniela Barcellona ha interpretato la preghiera con ricchezza di sfumature, rivestendo i barocchismi vocali di autentiche emozioni, accompagnata dal gesto solerte di Muti. Per il quale la musica è vita, nota viva: ogni pausa, ogni coloratura, ogni segno non è mai inutile, ma sempre rivelatore: nel caso di Porpora, di un anelito spirituale, sottolineato da un’orchestra dal timbro soffice e luminoso, che è ormai tutt’uno col suo direttore. Così si è continuato con la festa “teatrale” dell’Exultate di Mozart, un giubilante volare sulle acrobazie canore, gioia per gli ascoltatori e per il soprano Ruth Ziesak dal timbro argentino. Muti ha concluso l’omaggio a Roma con la Sinfonia n.104 “London” di Haydn: brano di cui il direttore ha dato una lettura a tratti prebeethoveniana, velata di attimi angosciosi, in mezzo alla invidiabile serenità monumentale e all’umorismo di “papà Haydn”. Concerto molto bello, dunque, in cui l’entusiasmo del pubblico è anche un messaggio in favore della “musica in chiesa” (nonostante l’acustica poco felice nel caso), oltre che di sostegno alla causa del Fai. Chung & Dindo Accademia Santa Cecilia. Auditorio Pio. Quando la musica rivela un mondo. Aprendo la stagione con l’Eroica beethoveniana, Chung e la sua orchestra in stato di grazia puntano alla poesia della speranza (Marcia funebre), alla visione di un ideale (Allegro con brio), all’umorismo anche (Scherzo) e a quel dinamismo che è la vita del cosmo (Finale). Così la Sinfonia n.3 appare nuovissima, e al pubblico entusiasta sembra di udirla per la prima volta. Miracolo di un direttore incalzante al massimo, e di un’orchestra che offre flessuosi “legati” degli archi, densità di ombre negli ottoni, brividi nei legni. Così che poi il Mendelsshon della Sinfonia n.4 “Italiana” è uno scintillio di colori solari: il Mediterraneo e l’Italia, calda vitale e leggera, vista dal semprefelice Mendelsshon, il cui Finale, presto è reso da Chung con un ritmo addirittura vertiginoso. Il successivo concerto (19/10) vede il giovane astro Enrico Dindo nel Concerto in si min. per violoncello e orchestra di ?Dvorák. In questo capolavoro – purtroppo poco eseguito – il violoncello apre sulle infinite possibilità del cuore umano: canta, gode, soffre, si diverte, prega. Una sonorità sempre appassionata: Dindo è entrato nell’anima slava di ?Dvorák “cavando” tutta la ricchezza sentimentale, da noi ancora così poco conosciuta. Naturalmente, suscita un’ovazione, meritata. Chung affronta poi La mer (Debussy) e I pini di Roma (Respighi). L’universo è un mare di suoni, che s’incontrano, si toccano e rilucono: il mondo di Debussy, il più “infinito” forse fra musicisti del Novecento. Altra cosa la Roma “d’una volta”, straamata, anche nel ricordo della gloria passata, da parte di un Respighi padrone dell’orchestrazione, ma a volte un po’ retorico e calligrafico. L’orchestra, guidata da un Chung composto e sicuro, abbraccia tranquilla i due brani, senza mai un passo falso, una incrinatura di accento, una “entrata” imperfetta. Sono questi i concerti che si amano e che restano nella memoria fra più belli mai uditi.