Evasione fiscale: da dove si riparte?

Non versare i tributi in tempi di crisi sembra legittimo, ma senza risorse si taglia sui servizi. Come rendere le tasse meno gravose?
Tremonti tasse

Merita attenzione il rapporto annuale della Guardia di finanza presentato di recente a Roma (e che conferma i contenuti dell’intervento del generale Nino di Paolo ai lavori della commissione Finanze della Camera nel corso di un’audizione lo scorso 26 gennaio): nel 2010 pare che gli italiani non abbiano dichiarato al fisco redditi per quasi 50 miliardi di euro.

Dall’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi (8.850 evasori totali che pure svolgono attività economiche) a operazioni di “appoggio” (da parte di persone fisiche e/o società) a residenze in paesi off-shore ed omesse dichiarazioni di capitali detenuti all’estero, e altro ancora, sono varie le forme in cui si è consumata e si consuma l’evasione fiscale (o almeno l’elusione di imposte dovute all’Erario), e più che mai il fenomeno appare inquietante rispetto alla indifferibile necessità di attrarre (piuttosto che sottrarre) disponibilità finanziarie per uno Stato in grave crisi di ossigeno a causa dei fatti recenti ed antichi che affliggono il nostro sistema economico.

 

L’enorme balzo in avanti di comportamenti evasivi (o elusivi) indubbiamente non è casuale. Dinanzi alla crisi finanziaria che colpisce l’economia capitalistica con particolare vigore, pare quasi profilarsi per i cittadini una sorta di patente o di legittimazione a dare meno rilievo alla contribuzione fiscale. È evidente: se diminuiscono gli introiti, per prima cosa si pensa a ridurre – per così dire – il badget e l’esborso finanziario, anche se finalizzato all’assolvimento di precisi obblighi di natura tributaria.

 

Mai come in questo periodo, tanto per fare un titolo, si ricorre frequentemente alla predisposizione di forme di tutela (anche contrattuale) dei propri patrimoni per sottrarli alle ragioni di (veri o presunti) creditori, tra i quali occupa un posto di rilievo (in tutti i sensi) proprio il fisco. Si coglie, guardandosi intorno, una sorta di atteggiamento autoprotettivo (anche dettato dalle difficoltà della fase economica che attraversiamo) ove poco spazio occupa il corretto rapporto tributario Stato/cittadino…

Eppure è necessario operare i distinguo del caso: proteggere i propri patrimoni è un diritto di ciascun cittadino, ma dare allo Stato quanto è giusto che sia dato non appare un’ operazione solo “economicamente” opportuna, soprattutto se alle risorse finanziarie così percepite dal fisco risponda, o debba corrispondere, l’erogazione di servizi fondamentali per la persona e per la comunità in cui essa vive e lavora.

 

Certo, qui si innescano valutazioni di contenuto diverso circa le scelte di “politica economica” e soprattutto di pianificazione fiscale da adottarsi da parte dello Stato stesso e di tutta la comunità civile. Quanto e come spendere il denaro pubblico (ad esempio); se la percezione di  un’imposta episodica e saltuaria (come la “patrimoniale” di cui eminenti personaggi anche dell’accademia discutono, e non solo da oggi) possa concorrere a rimediare ai guasti di un debito pubblico, stimato tra i più alti nel mondo, e se sia giusto attingere solo ai patrimoni dei privati, per questo scopo, o non sia forse parimenti opportuno e necessario amministrare il “fabbisogno” dell’enorme apparato pubblico –  potremmo dire – con la diligenza del buon padre di famiglia, magari sottoponendo a test di efficienza e reale capacità di risposta ai bisogni dei cittadini quell’apparato stesso; e ancora se e come possa pensarsi a meglio gestire, utilizzare, forse anche privatizzare imprese e  patrimoni, immobiliari e non, in mano a soggetti pubblici.

 

Non si tratta (forse e solo) di creare altre fonti di gettito (il cui flusso potrebbe durare  lo spazio – se non di un giorno – comunque di un tempo limitato), ma di costituire sistemi di controllo efficiente e di utilizzo di risorse, non solo in mano a privati, che insieme concorrano allo scopo del più razionale perseguimento di interessi diffusi, o se si vuole di quello che si definisce bene comune.

 

L’emersione, il consolidamento di un senso civico che valorizzi nell’immaginario collettivo la centralità del rapporto tributario Fisco/cittadino, sono forse legati proprio a questa maggiore competitività complessiva del sistema: perché se qualche buon risultato  quel sistema sarà in grado di produrre, ciò sarà anche di sprone, immaginiamo, a considerare quel rapporto come essenziale al bene di ciascuno, oltre che, indirettamente, dell’intera collettività.

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