Evangelizzare con Maria
Sono Maria del Carmen delle Missionarie Eucaristiche di Nazaret, Congregazione fondata nel 1921 dal beato Manuele González, conosciuto come il Vescovo del Tabernacolo Abbandonato.
Ho conosciuto il Movimento dei Focolari nel 1971 in Spagna, durante una Mariapoli, un incontro estivo di quattro giorni. Erano gli anni dopo il Concilio Vaticano II, anni di sconcerto nella vita della Chiesa, di confusione, non ci si sentiva preparati per le nuove sfide.
Ricordo che una certa domenica durante la messa nella chiesa parrocchiale, guardavo gli occhi della gente che partecipava: mi sembravano persone stanche, annebbiate, annoiate… e questa situazione mi deprimeva.
Pochi giorni dopo la Provvidenza mi ha portato in Mariapoli. Scoprii un popolo nuovo, unito, pieno di gioia e di vita. E sono ripartita con il cuore pieno di nuova energia, con l’impressione che la mia consacrazione non era solo un sogno, un’utopia, ma poteva essere una realtà, una testimonianza concreta.
Maria “Vangelo vivo”
Vedevo il carisma del mio fondatore illuminato da una luce nuova. Era come se Chiara illuminasse con una lanterna potente i suoi libri. Ritornai a casa con un gran desiderio di rileggere i suoi scritti. Ero certa che in essi avrei trovato la bellissima realtà che Chiara mi aveva fatto scoprire: un Vangelo vivo, la croce che si illumina, l’unità, Maria. E fu proprio così.
Leggendo i nostri scritti, ho scoperto man mano che, come per Maria “evangelizzatrice”, anche in me trovo la vita se momento per momento vivo nel mio “dover essere”. Mi è stata di grande luce la meditazione di Chiara La voglio rivedere in te1.
Vivendo la spiritualità del Movimento dei Focolari, la spiritualità dell’unità, ho trovato costantemente una chiamata ad essere un’altra Maria, una piccola Maria, che trova nella sua Mamma il suo “dover essere” e in se stessa la possibilità di essere Lei.
Il nostro fondatore chiama Maria “Vangelo vivo” e la scoperta nuova di questa parola è stata una luce grandissima per me. Ricordo che prima mi preoccupavo molto di fare una catechesi molto documentata, strutturata, ma che spesso lasciava freddi coloro che mi ascoltavano.
Ora dovevo certamente prepararmi bene, ma la cosa veramente essenziale era puntare ad essere un’altra piccola Maria. Concretamente significava mettermi di fronte al fratello facendo silenzio e vuoto dentro di me, perché da dentro potesse risuonare ciò che Dio voleva in quel momento e quello che era necessario per i fratelli.
Vivendo la Parola sentivo che la mia comunione con Gesù Eucaristia cresceva e diventava ogni volta più vera. Significava anche non scoraggiarmi, quando avvertivo pochi frutti, ma come Maria rimanere fedele accanto alla croce. Racconto ora qualche episodio significativo della mia vita.
In Venezuela
Nel 1980 mi trovavo in Venezuela per iniziare una nuova comunità assieme ad altre due consorelle che vivevano anche questa spiritualità. Sentivamo che la comunità intorno a noi sarebbe cresciuta nella misura in cui l’amore scambievole fosse stato vivo tra noi. Cercavamo quindi di volerci bene, di ricominciare ogni mattina nel vederci nuove, di perdonarci a vicenda. È stato veramente un periodo di grazia, perché ogni giorno era diverso dall’altro.
In quel tempo non c’era ancora il focolare a Caracas. Quando è venuta a visitarci una focolarina dalla Colombia, abbiamo conosciuto la comunità di Caracas e subito è iniziata una gara d’amore! Ci mancava tutto, ma puntualmente ciascuno ha fatto il possibile per aiutarci in mille modi, anche se loro stessi erano poveri.
Un giorno è venuta a trovarci una vedova che aveva una figlia malata e non aveva i soldi per farla curare. Ci ha pregato di aiutarla: la somma di cui aveva bisogno era esattamente quella di cui avevamo bisogno per quel mese. Mi sono consultata con le consorelle ed abbiamo deciso di donarle quanto aveva chiesto.
In casa non avevamo ancora il telefono, ma una signora ci aveva offerto di usare il suo. E proprio quel giorno dovevo andare da lei. Finita la telefonata, la signora, come era solita fare, mi ha donato alcune cose: fiori per la cappella, una dozzina di uova, mele (un vero lusso!) e anche una busta. Mai ci aveva dato dei soldi. Tornata a casa, grande è stata la nostra felicità e gratitudine: nella busta c’era la stessa somma di denaro che avevamo appena dato alla vedova!
Un altro giorno suona alla porta un giovane e mi chiede: “È qui che si incontrano i giovani che si vogliono tanto bene?”. In effetti venivano da noi tanti giovani assetati di trovare un senso per la loro vita! Quel giovane era un membro dell’Associazione Internazionale dell’Unione Eucaristica Riparatrice, che dopo quella vista ha detto di aver trovato una proposta di vita.
Un altro giorno un sacerdote è venuto a chiederci di andare nella sua parrocchia, perché in una riunione dei sacerdoti col Vescovo, aveva sentito che avevamo messo in atto una rivoluzione eucaristica. Ed anche in questa parrocchia è iniziata una fruttuosa collaborazione.
Un’altra volta mi chiesero di fare un corso di “Educazione alla Fede” ad un gruppo di ragazzi molto difficili, di 14/15 anni, che frequentavano una classe per ragazzi molto più piccoli. Accettai, essendo ben cosciente che andavo incontro ad un’esperienza dura. Mi ripromisi di essere per loro madre di misericordia, di non impazientirmi, ma di fare silenzio davanti ad ognuno.
I ragazzi erano trenta e la prima difficoltà fu quella di non sapere come trovare un punto di contatto con loro. All’inizio quante derisioni, contestazioni, apatia nel lavoro! Da parte mia cercavo di andare oltre, per scoprire la causa del loro malessere, sanarla con l’amore, arrivare a far emergere le loro possibilità, in modo che si sentissero amati, perché davo loro fiducia.
Era faticoso, dovevo ricominciare ogni mattina e spesso sentivo di non riuscire… ma l’amore non va mai perso e inevitabilmente lascia un segno. Alla fine dell’anno, quando mi pregarono di rimanere con loro, non mi sembrava vero!
Simile, ma anche diversa, fu la mia esperienza con Brunilda, un membro della nostra opera per laici. Dopo una riunione mi disse che aveva bisogno di parlare. Fu una lunga conversazione. Ricordo chiaramente quel giorno, quando mi dissi che dovevo ascoltarla fino in fondo, facendo il vuoto dentro di me, senza cercare una risposta immediata a quanto mi raccontava.
Dopo qualche giorno tornò per dirmi: “Sai, l’altro giorno mentre parlavamo ho capito che la mia vita era vuota, che si alimentava di cose superficiali, di riviste del cuore, di cose vuote, mi piaceva raccontare barzellette di cattivo gusto… Sono ritornata a casa e ho buttato quelle riviste, ho promesso a Gesù che avrei usato la mia lingua per parlare con Lui e di Lui”.
Naturalmente durante il nostro colloquio non avevamo parlato di questo. Compresi che l’amore s’irradia e può incidere sull’altro. Infatti da quel momento Brunilda continuò a crescere nell’amore di Dio, che le diede la forza di superare tante cose. Durante un lungo periodo di malattia, il marito l’abbandonò ed ebbe un figlio da un’altra relazione. Tutti intorno a lei la consigliavano di separarsi, ma lei capì che doveva perdonare. Un giorno suo marito mi disse: “Da quando Brunilda frequenta il suo gruppo, mi vuole più bene”. Capivo benissimo il peso di quelle parole.
In camera operatoria
Nel 2001 perdetti l’occhio sinistro come conseguenza di un virus contratto in sala operatoria, durante un semplice intervento di cataratta fatto precedentemente. Fu un grande dolore dover tornare in sala operatoria per togliere l’occhio. Sentivo che per essere un’altra piccola Maria, non potevo andarci vivendo per me, essendo centrata solo su di me, ma dovevo vivere per gli altri, anche per l’equipe che faceva l’intervento.
Non mi fecero l’anestesia generale e quindi potevo ascoltare tutto quello che dicevano. Era un’equipe composta da giovani e parlavano incessantemente di feste, di discoteche… Nel frattempo cercavo di offrire tutto per loro. Ad un certo momento l’anestesista mi disse: “Sorella come vede non c’è rimedio per me, sono un caso perduto, Dio mi ha lasciato perdere”. “Dio non ti ha lasciato, né ti lascerà mai” gli ho risposto. “Perché?”, mi ha domandato sorpreso. “Perché Dio ti ama immensamente”.
Intanto l’intervento andò avanti e l’anestesista non disse più una parola. All’uscita disse alle infermiere che mi portavano in barella: “Curate bene la suora, lei crede che c’è una soluzione per me, perché Dio mi ama immensamente”. Ora continuo a ricordarlo nella preghiera.
Mi auguro, e prego Maria, perché ci raggiunga sempre con la sua grazia, così da poter vivere incessantemente l’amore vicendevole e poter generare Gesù in mezzo a noi, nelle nostre comunità. Lui solo può arrivare a tutti e realizzare nel mondo la sua missione di salvezza.
NOTE
1 Cf. articolo di A. Sgariglia in questo numero, p. 11.