Europei contro l’Europa

Mentre ancora sul versante nazionale si inseguono risultati non definitivi, nell’ora in cui dobbiamo consegnare queste note alla stampa, quasi tutti i portavoce dei partiti si trincerano dietro una soddisfazione di facciata non sempre convincente, per aver vinto o per non avere perso. Penso non sarà stato difficile, per ogni singolo cittadino, confrontarsi con le proprie attese per ritenersi più o meno soddisfatto. La sinistra ha conquistato un lieve vantaggio, ma un sostanziale equilibrio fra i due schieramenti sembra attutire l’evidente sconfitta di Forza Italia, controbilanciata da un recupero degli alleati che sicuramente migliorerà la collegialità nel governo. Molto più netta invece la vittoria del centrosinistra nelle amministrative. Si potrà comunque valutare meglio verificando quali conseguenze questo voto potrà avere a breve e medio termine. Nell’immediato gli effetti più macroscopici e per certi aspetti più sorprendenti li abbiamo registrati a livello europeo dove si possono fin d’ora sottolineare alcune tendenze di carattere generale abbastanza significative. La prima riguarda l’affluenza alle urne, che è stata complessivamente molto bassa. Con qualche eccezione, fra cui l’Italia che aveva caricato la competizione di una forte indicazione politica, mai la media dell’affluenza europea è stata così modesta. E ciò non può non fare riflettere sulla trascurabile incidenza politica di cui è investito il parlamento europeo. Ma a ben guardare forse non è questo il vero motivo dell’astensione. Spesso essa vuole esprimere anche una protesta. Sì, la protesta ha giocato quasi ovunque un proprio ruolo punendo con questo voto i governi in carica. I motivi possono essere diversi, perché ciò è avvenuto quasi ovunque a prescindere dal fatto che le coalizioni al potere fossero di destra o di sinistra. Forse non sempre questi risultati vanno visti come una sconfessione piena, quanto come un invito a correggere il tiro nella politica, soprattutto quella economica, dei propri governi. Le ripercussioni prodotte dall’adozione dell’euro e l’incapacità di uscire rapidamente dall’impasse in cui versa l’economia europea, divenuta fanalino di coda fra le principali economie del mondo, vengono lamentate ovunque da larghi strati della popolazione e addebitate ai propri governanti. Questo scotto lo hanno pagato pesantemente soprattutto la Germania e la Francia, a prescindere dal colore dei propri leader. Lo ha pagato anche la Gran Bretagna, per un riflesso negativo che i risultati poco performanti della zona dell’euro producono oltremanica, dove si prova sempre meno attrattiva per quell’aggancio più stretto al continente che invece Blair pareva volere anticipare con un referendum sull’adozione dell’euro. I risultati del nuovo partito antieuropeo e il disorientamento che regna sia fra i laburisti che fra i conservatori sono fin troppo eloquenti. Un ultimo segnale molto indicativo viene infine dai nuovi paesi dell’Est: da popoli cioè che avevano appena salutato con simpatia, talora con esultanza, il proprio ingresso nell’Unione europea, ma che hanno colto l’occasione di questo voto per sottolineare con una massiccia astensione le proprie perplessità. Le percentuali dei votanti registrate in Polonia e in Slovacchia, in Cechia e in Ungheria, sono state definite come un vero schiaffo all’Europa. Quanto più si aspettavano tangibili benefici (che pure non sono mancati), più forte è stata la delusione. Questi paesi stanno scoprendo solo ora la complessità della macchina burocratica dell’Unione. Ma debbono anche rifare i conti con un’idea di libertà vestita dei colori del proprio nazionalismo, coltivata negli anni dell’oppressione sovietica e mai del tutto abbandonata. Forse sono disorientati anche davanti ai problemi più comuni che i paesi occidentali dell’Unione affrontano in ordine sparso, fra contrasti e contraddizioni che poco sembrano consoni a chi già da tanti anni dovrebbe vivere l’esperienza di questo cammino comune, ma di fatto si sente guidato da un’élite, senza una vera possibilità di partecipazione dal basso. E ciò non aiuta il formarsi di una coscienza europea. In sostanza è sempre più evidente quanto ancora debba macerare nel confronto e nella condivisione questa esperienza unica che i paesi europei hanno intrapreso e vogliono portare avanti. Ogni verifica, e questa è una delle tante, può proporsi come un prezioso momento per individuare errori, sperequazioni, fraintendimenti ed emendarli. Si potrà parlare allora anche di questa apparente battuta d’arresto, come di un passo avanti verso un nuovo soggetto politico capace di riscoprire quell’ispirazione originaria che vedeva l’unità dell’Europa anche in funzione di un contributo di pace e giustizia al resto del mondo.

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