Europa: un mito necessario

L’appello dell’ex presidente della Commissione: a maggio dobbiamo decidere a quale Europa consegnare il futuro dei nostri figli (prima parte dell'articolo)

C’è un episodio, risalente al momento dell’allargamento, che in questi giorni così prossimi alle elezioni europee, torna spesso alla mia memoria. Durante la mia presidenza della Commissione europea si portò a compimento l’allargamento ad Est. Dopo la caduta del muro di Berlino che aveva segnato, anche simbolicamente, la fine della Guerra Fredda, i Paesi che ad Est erano rimasti isolati si trovavano allo sbando. L’Europa non poteva permettersi di avere così tante tensioni subito fuori dai suoi confini. Sarebbe stato un errore fatale la cui portata è facilmente comprensibile: basta provare ad immaginare cosa sarebbe, per noi europei, se la Polonia, o l’Ungheria, fossero nelle stesse condizioni in cui si trova oggi l’Ucraina.

Eravamo esattamente davanti a uno di quei treni della Storia che non si sarebbe ripresentato e che, per questa ragione, non si poteva assolutamente perdere. Mi preme ricordare che il processo di estensione dell’Unione ad Est resta il solo caso al mondo di esportazione della democrazia avvenuto senza spargimento di sangue. Fu invece un processo che coinvolse tutti i Parlamenti degli Stati che autonomamente chiesero l’adesione e che ha richiesto un complesso lavoro di armonizzazione delle regole e dei trattati. Un successo della diplomazia europea.

Nel corso delle negoziazioni, come Presidente della Commissione europea, mi sono recato nei diversi Paesi e ho partecipato alle discussioni parlamentari. E così anche al parlamento rumeno dove, terminata la discussione, si alza un uomo piuttosto imponente, con una grande barba, che si definisce “membro della minoranza non ungherese del parlamento rumeno”.

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Konrad Adenauer

Definizione perfetta per spiegare la complessità europea. Il suo discorso in favore dell’allargamento e dell’Europa è così tanto appassionato che gliene chiedo la ragione e lui risponde, diretto: «Mio nonno è stato ucciso perché membro di una minoranza, mio padre è stato esiliato perché membro di una minoranza, io voglio l’Europa perché l’Europa è l’unione di minoranze».

Quel parlamentare aveva descritto il mito moderno dell’Europa: unione di minoranze. Un mito che evoca una dimensione che oggi appare lontana e irreale, incalzati come siamo a pensare all’Europa come madre di ogni disgrazia. Ma quel mito, come ogni altro, trae invece le sue origini dalla realtà storica che quel “membro di minoranza del parlamento rumeno” aveva molto chiara. E la realtà storica nella quale la nostra Unione è nata è quella post-bellica. L’Europa era stata devastata dal secondo conflitto mondiale che più di ogni altro si è caratterizzato di elementi ideologici e totalizzanti. Il conflitto aveva pervaso grandissima parte della popolazione civile con deportazioni, bombardamenti e stermini etnici.

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Roberto Shumann

I padri fondatori dell’Europa si mossero con la precisa volontà di impedire per sempre, aggregando le nazioni perché insieme cooperassero per il progresso e lo sviluppo di tutti, che ciò che era già stato, per ben due volte, potesse accadere di nuovo. Seppero rintracciare non solo la convenienza politica, ma soprattutto quel carattere etico che le alleanze nazionali avevano assunto durante il conflitto e intesero farlo prima che nuovi nazionalismi, già in agguato, insorgessero con le loro gelosie e rivalità. Fin dalla nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) del 1951, che di fatto rappresenta la prima pietra della costruzione dell’Europa unita, questa volontà è chiarissima: l’aver infatti posto sotto un controllo sovranazionale le industrie di carbone e acciaio, ossia le risorse più preziose per la produzione di armamenti, significava voler impedire riarmi segreti, come era già accaduto dopo il primo conflitto mondiale. Lo stesso Schumann dichiarò che si intendeva rendere «materialmente impossibile una qualsiasi guerra tra la Francia e la Germania».

Quel mito dell’Europa come luogo dove le minoranze potessero agire in uno spazio condiviso, dove gli interessi dei singoli potesse coincidere con l’interesse comune, è stato realizzato per l’intuizione dei padri fondatori: dall’eredità storica che la guerra aveva loro consegnato è nata la nostra Unione. Non fu opera di banchieri, non fu mero calcolo economico. E d’altra parte né Schuman, né De Gasperi, né Adenauer erano economisti.

Da allora è stata pace per oltre 70 anni, mentre subito fuori dai nostri confini guerre sanguinose e persecuzioni hanno falciato via intere generazioni di donne e uomini, senza che siano stati risparmiati i bambini, le minoranze religiose e etniche. Oggi noi diamo per scontata la pace in cui viviamo da lunghissimo tempo, tendiamo a dimenticare che le tensioni e i conflitti insorgono, all’improvviso, nel corso della Storia. La pace invece va difesa, ogni giorno.

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Alcide De Gasperi

Consenso ed entusiasmo hanno accompagnato tutte le conquiste dell’Europa: dalla Ceca alla creazione del più grande mercato interno in cui merci e persone da allora circolano liberamente, dal primo allargamento fino al secondo ad Est e all’Euro. Tanto che l’Europa meritò di essere definita il più grande laboratorio politico dell’epoca contemporanea.

Le cose cominciarono a cambiare dalla bocciatura francese della Costituzione europea nel 2005: quell’entusiasmo si è andato spegnendo, sostituito da un sentimento che è stato anche di aperta ostilità. E quella bocciatura fino a che punto aveva davvero a che fare con l’Europa? Si disse, e forse con qualche ragione, che la Costituzione era stata scritta più come un trattato che come un testo a cui aderire idealmente. Ma il no francese al referendum fu soprattutto figlio della paura e degli interessi nazionali, ossia delle stesse ragioni che hanno spinto sempre più l’Europa verso l’immobilismo. Era il risultato di una sindrome che i media definirono dell’“idraulico polacco” e che altro non era se non la paura innescata in Francia nei confronti dei lavoratori stranieri, per ragioni di politica interna, dai partiti sia di destra che di sinistra uniti solo dalla contrarietà a Chirac. Una successiva indagine giornalistica dimostrò che in tutta la Francia non vi era un solo idraulico polacco, ma oramai i giochi erano fatti e una questione interna ad un Paese aveva bloccato il più grande progetto politico della storia contemporanea.

(Leggi la seconda parte dell’articolo: «Superiamo le paure, l’unità è il nostro futuro»)

 

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