Europa: storia e spirito

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L’Europa viene da lontano. Malgrado il presente sia un mondo molto uguale, globalizzato, non possiamo non vedere le eredità che fanno questa nostra Europa un continente particolare: nelle nostre città, ancora in gran parte a forma umana a differenza delle grandi città del sud del mondo; nei monumenti e nel nostro modo di vivere; dentro noi stessi. Diverse eredità. Non un’unica eredità. L’Europa è una e plurale. Plurale con l’occidente e l’oriente. Ma la sua storia è stata anche quella in cui la pluralità è impazzita e inorgoglita: e fu la guerra. Sì, perché questo nostro continente è stato quello delle guerre, degli odi di generazione in generazione, delle stragi. Due incredibili guerre mondiali. Guerra in Europa ha significato guerra mondiale. C’è stata l’espressione della follia nazista e fascista, con il mito di un popolo superiore. Non possiamo dimenticare che, alle spalle delle guerre, c’era la maledizione dell’Europa: combattersi, perché ebbri del proprio egoismo nazionale. La meditazione di alcuni grandi europei (e come non ricordare De Gasperi, Schuman, Adenauer?) sulle rovine della guerra, su milioni di vite umane sacrificate, sui campi di sterminio, ha fatto crescere un sogno, che era esigenza profonda della storia e dello spirito: l’unità. La pluralità dell’Europa, quella dei suoi soggetti nazionali, doveva coniugarsi necessariamente con l’unità. Non si poteva restare diversi e liberi, se non si era uno. Un sogno benedetto dopo tanta maledizione della guerra. Questo sogno, ancora negli anni Ottanta, quando Giovanni Paolo II parlava di grande Europa, sembrava irrealizzabile. Ma abbiamo assistito a cambiamenti epocali. I giovani europei non si pensano più gli uni contro gli altri: vedono il loro futuro gli uni con gli altri. La storia dell’Europa è un dramma, ma non una tragedia. Non dobbiamo dimenticare il dramma che abbiamo alle spalle! Quando parlo di Europa, prima di tutto, mi reco spiritualmente ad Auschwitz per ricordare milioni di donne, uomini, bambini, la cui vita è stata rubata. Quanti anni rubati in quell’orrore! Milioni di ebrei, che avevano vissuto, malgrado l’odio antisemita, nel nostro continente, sono stati uccisi senza motivo. Mai c’è motivo; ma l’ebraismo è stato distrutto perché ricordava alla follia nazista una dimensione più grande del culto di una singola nazione. Con gli ebrei, centinaia di migliaia di altri, zingari – il piccolo popolo nomade d’Europa senza nazionalismo -, slavi, polacchi, disabili e quanti altri uccisi! Da Auschwitz parte la meditazione sull’Europa. Perché non bisogna dimenticare il sacrificio di tanti, perché non si faccia della terra di millenaria civiltà la patria della barbarie tecnologizzata. No, dagli anni Quaranta, la storia d’Europa non è divenuta una tragedia. È cominciato il processo di unificazione. Da cinquant’anni gli europei non si combattono più. Ma allora? Il grande sogno, sulle soglie del 2000, deve essere che pace europea significhi pace mondiale. Come la guerra europea ha voluto dire guerra mondiale, oggi la pace europea sia pace mondiale. Ma siamo lontani dal vedere questo sogno realizzato. Ma oggi nell’essere qui cresce in noi la speranza che Unione europea voglia dire, domani, anche pace nel mondo. Sono stati fatti grandi passi in avanti e grandi sacrifici. Ma c’è qualcosa che manca alla costruzione europea. Lo sentiamo e lo vediamo. Ce ne accorgiamo nella mancanza di slancio. Lo percepiamo nel rapporto con gli altri, con i mondi altri, che europei non sono. Del resto, una costruzione come questa non si fa in un giorno. Ma siamo lieti di essere a Stoccarda con tanti cristiani di ogni parte d’Europa per accorgerci di quello che dobbiamo fare. Il grande rischio è che questa Europa sia un mondo per cui non vale la pena vivere e morire. Qualche volta ce lo dicono i volti stanchi e spaesati delle giovani generazioni, così lontane dai drammi del Novecento, ma anche incerte se lasciarsi prendere da grandi e nuove passioni costruttrici. Non sono però, cari amici, spaesati e stanchi i volti che vedo qui: sono quelli di gente grata per aver ricevuto un dono. È gente che ha ricevuto un dono per strade diverse: le strade di tanti movimenti cristiani. Sì, perché l’Europa è anche la patria dei movimenti. E i movimenti hanno un grande gusto dell’Europa. Questi movimenti sono trasversali: in tutti i paesi e anche al di là delle frontiere della stessa Unione: uno slancio vitale di amore che raccoglie i cittadini di differenti paesi e li collega alla gente di tutto il mondo. Perché essere cristiani europei non ci fa abitatori di una grande e confortevole isola, ma cittadini del mondo. Vorrei chiedermi perché questi volti che vedo non sono spaesati e rassegnati. Vivono le antiche tradizioni cristiane del continente: cattolici, ortodossi, evangelici. L’antichità della tradizione cristiana si unisce alla giovinezza delle espressioni: al gusto di un futuro comune, perché dietro a questi volti c’è un cuore. Dice il libro del Siracide: Il cuore dell’uomo cambia il suo volto (Sir 13, 31). Il cuore nasce, anzi rinasce, quando il Vangelo lo chiama a vivere. E qualche volta vediamo questa nostra Europa senza cuore. Senza cuore verso il grande sud del mondo: verso l’Africa che è il banco di prova della coscienza e della politica europea. Il cuore rinasce quando si riceve la Parola di Dio: il Vangelo. È il segreto della giovinezza del cristianesimo: il Vangelo. Il Vangelo è un grido di grazia in un mondo di rassegnati, di condannati. Ricchi, ma sempre condannati al peccato dei ricchi: avarizia e sazietà. Diceva un grande evangelico italiano, mio amico, Valdo Vinay: quando si predica il Vangelo, avviene un fatto meraviglioso: in un braccio della morte, tra condannati a morte, arriva la notizia: grazia per tutti, tutti liberi! Questo è il dono della Parola di Dio. Tanti movimenti qui riuniti non si sentono migliori degli altri: il Vangelo ci rende consapevoli che siamo tutti piccoli e peccatori. Non veniamo dalla scuola di nessuna arroganza politica o religiosa, ma dalla scuola di chi parla di sé come l’umile e il mite di cuore. Eppure ci sentiamo portatori di un dono: da vivere con gratitudine e da comunicare. Siamo portatori non di interessi, ma di un dono. Con gli apostoli Pietro e Giovanni, come avvenne a Gerusalemme nel tempio, diciamo: Non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: nel nome di Cristo il Nazareno, alzati e cammina (At 3, 6). Lo dissero a uno che non sapeva camminare: uno storpio fin dalla nascita, un povero mendicante. Ma chi siamo noi per dire questo? Chi siamo noi per dire qualcosa ad un’Europa complessa? Tante volte tra i cristiani europei c’è paura: chi sono io per dire qualcosa agli altri? Siamo gente che vive un dono. Abbiamo ricevuto un dono e lo comunichiamo: Quello che ho te lo do. Il dono del Vangelo: un dono che aiuta a camminare nell’Europa complessa dei nostri giorni. Un dono che fa camminare la donna e l’uomo europeo. L’apostolo Paolo – e siamo dopo la Pasqua – proclama la resurrezione di Gesù: Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per lui che è morto e risorto (2Cor 5, 15). Il Vangelo chiama ciascuno a risvegliarsi da una vita per sé stessi: Perché quelli che vivono non vivano più per sé stessi, ma per lui che è morto e risorto per loro.Vivere per il Vangelo vuol dire vivere per tutti. L’Europa dello spirito comincia quando si apre il cuore al Vangelo, anzi quando si ritrova il cuore e si comincia a non vivere più per sé. I movimenti, nati dal Vangelo, comunicano umilmente questa vita all’Europa. Tante sono le conseguenze: i frutti dello Spirito. Ma vorrei, cari amici, concludendo sottolineare due impegni che sgorgano da questa apertura al dono del Vangelo. Il primo è che questa Europa non può vivere per sé stessa. Non è una grande e confortevole isola. Ce lo dicono gli immigrati che approdano alle nostre coste meridionali dopo lunghi viaggi: ce lo dicono quelli che arrivano e che non hanno trovato nel mare o nei deserti africani la loro tomba. Il grande sud del mondo, l’Africa che, come il povero Lazzaro siede alla porta di un europeo che banchetta lautamente. L’Europa deve alzarsi dalla sua tavola e varcare la soglia della sua casa, le sue frontiere meridionali, con senso di responsabilità. Sul sud del mondo saremo in gran parte giudicati! Per noi cristiani l’Europa non può vivere per sé stessa. E l’Africa, quella delle guerre (con 12 conflitti aperti), quella dei 30 milioni di sieropositivi (sui 42 milioni del mondo), è il primo continente che incontra, laddove i due terzi dell’umanità sono esclusi da ogni benessere. L’Africa ha un comune destino con noi: o vivremo insieme o periremo insieme. I nostri cuori vogliono – ed è il secondo impegno – che l’Europa parli di pace al mondo. L’Europa dello spirito non ha frontiere ed è legata a tutti, ma soprattutto ai sofferenti della guerra, madre di tutte le povertà. Che il messaggio dell’Europa al mondo sia pace! L’Europa dello Spirito non può che dare frutti di spirito. Dice l’apostolo: Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé (Gal 5, 22). Per questo, sulla soglia del nuovo secolo, noi vogliamo vivere il dono del Vangelo, che apre i cuori allo Spirito e che dà frutti di pace, di amore e di solidarietà. Dall’unità dei diversi movimenti, nella comunione profonda, crediamo possa scaturire una forza di bene e un argine contro il male. Dalla comune preghiera gli uni con gli altri può scaturire una forza di amore. Si legge nel libro di Ester che di fronte a un orizzonte cupo tutta la nazione dei giusti fu agitata. Ma uno di loro fece un sogno: Dal loro grido sorse, come da una piccola fonte, un grande fiume. Spuntò la luce e il sole: gli umili furono esaltati (Est 1, 1h-1k). Noi, davanti all’Europa, facciamo un sogno: pace in Europa, pace nel mondo.

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