Europa: si riparte
I capi di Stato e di governo dell’Unione Europea (Ue) ed i vertici delle istituzioni europee si sono incontrati a Roma il 25 marzo per celebrare il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, considerati l’atto di nascita della nostra comunità europea. In tale occasione, essi hanno compiuto una riflessione sullo stato dell’Ue e sul futuro del processo di integrazione, dichiarando solennemente che «l’Europa è il nostro futuro comune». Il 25 marzo di sessanta anni fa pioveva a dirotto, quest’anno splendeva il sole ma molte nubi si addensano sul futuro dell’Ue.
Nella Dichiarazione di Roma, che è stata adottata con le firme di tutti, capi di Stato e di governo dell’UE i vertici delle istituzioni europee si dicono «orgogliosi dei risultati raggiunti dall’Unione europea», considerando la costruzione dell’unità europea «un’impresa coraggiosa e lungimirante». Questi, dopo un richiamo alle tragedie delle due guerre mondiali del XX secolo, ricordano di avere costruito una unione «dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare». Non manca il riferimento alle sfide che l’Ue ha di fronte: «conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche». Per questo i leader europei si impegnano a costruire un’UE «più forte e più resiliente, attraverso un’unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni».
Nella Dichiarazione, infatti, sono presenti molti richiami all’unità ed all’indissolubilità dell’Ue, laddove i leader europei si prefiggono di «agire congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario», richiamando di fatto quanto discusso nel recente vertice di Versailles, lo scorso 6 marzo, tra Germania, Francia, Italia e Spagna, nel quale i leader dei quattro più grandi Paesi dell’UE hanno riconosciuto la possibilità che alcuni Stati membri possano andare avanti più rapidamente nel processo di integrazione, aprendo la strada ad una Europa a più velocità, seppure «procedendo nella stessa direzione».
Nello specifico, i firmatari della Dichiarazione di Roma si impegnano a realizzare un’Europa «sicura», un’Europa «prospera e sostenibile, un’Europa «sociale», un’Europa «più forte sulla scena mondiale».
Questi impegni dovrebbero tradursi nella definizione di politiche che permettano di garantire la sicurezza dei cittadini, permettendo loro di spostarsi liberamente, di proteggere le nostre frontiere esterne, di gestire il fenomeno migratorio in modo efficace, di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.
I leader europei auspicano un’Europa che generi crescita e occupazione, all’interno del mercato unico e con una moneta unica stabile, affinché si creino opportunità di crescita «sostenuta e sostenibile», coesione, competitività, innovazione e scambio, completando quindi l’unione economica e monetaria. I leader si impegnano anche a lavorare per un’Europa «che lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà», favorendo il progresso economico e sociale, «la parità tra donne e uomini e diritti e pari opportunità per tutti». Inoltre, si intende continuare a lavorare per garantire l’approvvigionamento di energia sicura e conveniente, nonché per un ambiente pulito e protetto. Infine, si intende rafforzare «sicurezza e difesa comuni, anche in cooperazione e complementarità con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico» (Nato), favorendo la creazione di «un’industria della difesa più competitiva e integrata».
Molti i leader europei che hanno rilasciato dichiarazioni positive alla fine del vertice. Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha ribadito che «l’Ue garantisce che che libertà, dignità, democrazia, indipendenza non siano solo sogni ma realtà», mentre «l’Europa come entità politica o sarà unita o non sarà. Solo un’Europa unita può far valere la sua sovranità nei confronti del resto del Mondo». Gli fa eco Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, che crede che «soltanto insieme possiamo esercitare davvero la nostra sovranità ed avere la forza di negoziare nel Mondo», riconoscendo la però necessità di «riavvicinare Europa alla gente». Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ritiene che si sia rinnovato «il nostro impegno a un’Unione indivisibile e unita», chiedendo di «essere più fieri dell’Europa». Paolo Gentiloni, premier italiano, pensa che «abbiamo imparato la lezione e scegliamo di ripartire». Secondo François Hollande, presidente della Repubblica Francese, «ci sono dei problemi è vero, ma insieme siamo più forti». Alexis Tsipras, premier greco, era inizialmente «scettico a firmare la dichiarazione, ma abbiamo ottenuto un chiaro riferimento al sociale. Non c’è futuro dell’Ue se non si mettono al centro dignità e dimensione sociale».
La Dichiarazione di Roma è il frutto di un difficile compromesso sul quale hanno lavorato, nelle ultime settimane, i rappresentanti permanenti degli Stati membri a Bruxelles, segno di profonde divisioni tra i vari Paesi. In particolare, Paesi del Sud vorrebbero maggiore solidarietà e condivisione nella gestione della crisi migratoria, mentre i Paesi dell’Est, capeggiati dalla Polonia, sono restii ad ulteriori cessioni di sovranità all’Ue ma, al contempo, temono che un’Europa a più velocità possa escluderli. Per questo, pur prevedendo diverse intensità di integrazione, sempre nel solco di quanto previsto dai Trattati, si lascia la possibilità a tutti i Paesi di raggiungere successivamente quelli che avessero già intrapreso forme di integrazione più spinte in alcune materie.
D’altronde, la strada di una maggiore integrazione tra alcuni Stati membri per implementare alcune scelte fondamentali pare obbligata, di fronte alla crisi economica, alle politiche avverse all’Europa degli Stati Uniti di Trump e della Russia di Putin, all’avanzata dei movimenti populisti in tutto il continente. Infatti, secondo Romano Prodi, già presidente della Commissione Europea, «l’Europa a più velocità è il male minore se è aperta e inclusiva», mentre papa Francesco, ricevendo i leader europei, ha giustamente detto che «in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà», è necessario mettere in campo «politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa».
Del resto, la Dichiarazione di Roma si concentra soprattutto sulle contingenze, sui problemi da affrontare necessariamente, senza purtroppo delineare ampi scenari di sviluppo dell’Ue per i prossimi decenni. Realisticamente, non è stato possibile produrre un documento migliore a causa delle differenti opinioni fra i vari Paesi membri ma anche a causa delle prossime elezioni in Francia ed in Germania, considerate il motore del processo di integrazione; solo successivamente, se prevarranno forze pro-europee, il motore potrebbe riattivarsi e sbloccare la situazione di stallo nella quale ci troviamo.
Cionondimeno l’Italia, che è la terza economia dell’eurozona, soprattutto con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, si troverà ad esercitare un ruolo più importante a seguito del nuovo equilibrio che si verrà a creare tra gli Stati membri ma, se dalle elezioni del 2018 non uscirà una maggioranza chiara che governi il paese, un’Europa a più velocità potrebbe essere deleteria per un’Italia debole ed impreparata ad affrontare la nuova governance.
In realtà, gli scenari di lungo periodo sono davvero imprevedibili. Un ambasciatore inglese, Russel Bretherton, durante i negoziati tra i Paesi europei del 1957, avrebbe detto che quel trattato «non avrebbe mai trovato l’accordo delle parti; se si fosse trovato l’accordo, non sarebbe mai stato ratificato; se fosse stato ratificato non sarebbe mai stato applicato». Le cose sono andate diversamente ed i benefici dell’integrazione europea sono incommensurabili. Bisognerebbe ricordarlo a quanti hanno portestato a Roma contro l’Ue che, probabilmente, sono giunti nella capitale italiana a bordo di voli a basso costo che, senza l’Ue, non si sarebbero mai sviluppati.
Seppure il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, abbia sottolineato «l’importanza dell’Unione Europea come strumento di pace e stabilità», è anche vero che le nuove generazioni non hanno conosciuto la guerra e non comprendono il valore della pace e del benessere che ha prodotto l’integrazione europea. Pertano, per far riappassionare i cittadini all’ideale europeo, richiamando quanto detto da Mario Monti, già commissario europeo, l’Ue «dovrebbe concentrarsi nel produrre certi beni pubblici, sempre più importanti per i cittadini». Questo sarà possibile, allo stato attuale, solo con la volontà degli Stati membri.