Europa e globalizzazione

La Commissione europea presenta il Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione. Continua così il lavoro volto a riflettere sul futuro del continente, delineando fattori positivi e negativi del fenomeno.
Un monumento all'Unione europea

Continua la riflessione sul futuro dell’Unione europea che le istituzioni europee e gli Stati membri stanno compiendo nel corso di questi mesi. La Commissione europea ha infatti presentato un Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione con lo scopo di «riflettere su quello che l’UE può fare per orientare la globalizzazione in linea con i nostri interessi e valori comuni, di chiederci cosa possiamo fare per proteggere, difendere e dare forza ai cittadini europei, specialmente quelli più vulnerabili e di raggiungere un accordo su come l’UE – le sue istituzioni, gli Stati membri, le regioni, i comuni, le parti sociali, la società civile in senso lato, le imprese, le università – e i partner internazionali possano agire insieme per gestire la globalizzazione».

Il documento presenta sfide ed opportunità per l’Europa nell’era della globalizzazione che del resto, seppure in forme diverse, esistite da alcuni millenni. Il documento delinea i fattori positivi della globalizzazione, come la mobilità delle persone per svago, studio o lavoro; la specializzazione dei Paesi nei loro settori di eccellenza e sfruttando le economie di scala sui mercati mondiali e la concorrenza internazionale; le forme di collaborazione nella comunità internazionale (l’azione mondiale per il clima, la cooperazione scientifica, gli scambi di idee, ecc.). Inoltre, grazie alla globalizzazione ed all’aumento della produzione e del commercio, centinaia di milioni di individui hanno superato la soglia della povertà (meno di 1,90 dollari al giorno). L’Ue è al centro della globalizzazione, realizzando ed esportando prodotti di elevata qualità che è difficile o impossibile produrre altrove. Inoltre, secondo i dati forniti dalla Commissione Europea, ogni miliardo di euro di esportazioni significa 14 mila posti di lavoro, a beneficio delle grandi imprese ma anche delle piccole e medie, che rappresentano più dell’80 per cento degli esportatori europei. Le esportazioni europee nel 2016 sono ammontate a 1.746 miliardi di euro, mentre l’80 per cento delle importazioni dell’UE consiste in materie prime, beni strumentali e componenti necessari per far funzionare l’economia del continente.

Però globalizzazione significa anche disuguaglianza, sfruttamento, inquinamento, distruzione degli habitat naturali, consumismo sfrenato, esaurimento delle risorse naturali, movimento di capitali che sfuggono alla tassazione, flussi migratori incontrollati. Infatti la Commissione europea riconosce che se non si prenderanno «misure attive, vi è il rischio che la globalizzazione aggravi l’effetto dei progressi tecnologici e della recente crisi economica e contribuisca ad accentuare ulteriormente le disuguaglianze e la polarizzazione sociale». La percezione della globalizzazione è sempre più negativa in fasce crescenti della popolazione mondiale, laddove si teme che i governi non abbiano più il controllo dei processi economici a scapito di identità, tradizioni e prospettive di vita. Effettivamente, «la digitalizzazione, i robot, l’intelligenza artificiale, l’internet delle cose e la stampa 3D rivoluzioneranno il nostro modo di produrre, lavorare, spostarci e consumare» e, di conseguenza, molti lavori che oggi conosciamo scompariranno. Purtroppo, riprendendo quanto scrive Michele Ballerin nel suo libro “Riformismo Europeo. Una Prospettiva politico-economica per l’Eurozona”, «il sostegno pressoché unanime al modello liberista, su entrambe le sponde dell’Atlantico, ci ha portati dritti al peggiore sconquasso economico degli ultimi settant’anni». Sconquasso di cui forse si inizia a percepire la portata, dato che nel corso del G7 Finanza, svoltosi a Bari, è stato sottoscritto un “Manifesto di Bari” per la crescita inclusiva.

Il documento, quindi, riconosce la necessità di dare forma ad un ordine mondiale che sia realmente sostenibile, basato su norme condivise. Del resto, l’Ue ha sempre sostenuto un contesto internazionale caratterizzato da norme mondiali multilaterali; cosa che la Commissione Europea ritiene sia necessario fare anche in futuro, spingendo verso il contrasto dell’evasione fiscale, il dumping sociale, la concorrenza sleale o le sovvenzioni statali. Il documento suggerisce di mettere a punto una sorta di diplomazia economica europea, con la quale «l’UE e gli Stati membri dovrebbero migliorare la coerenza delle politiche e degli strumenti esterni per stimolare la crescita e l’occupazione in Europa e promuovere in modo più efficiente i nostri interessi economici all’estero». D’altro canto, il documento riconosce anche la necessità di dotarsi di strumenti per proteggere i cittadini europei attraverso delle politiche sociali strutturate, sostenendo l’istruzione e la formazione degli individui lungo tutto l’arco della vita. Nello specifico, politiche fiscali progressive, investimenti nell’innovazione e forti politiche di protezione sociale potrebbero contribuire a ridistribuire la ricchezza in modo più equo tra i cittadini europei.

Il documento rappresenta un tentativo di rassicurare i cittadini e gli operatori economici circa i benefici che la globalizzazione ha portato e che continuerà ad offrire se gestita in modo corretto. Indubbiamente, l’Ue deve ritagliarsi un proprio ruolo in un mondo che diventa sempre più multipolare, dove gli Stati Uniti sembrano spingere verso un ritorno al protezionismo mentre la Cina è ormai divenuta la paladina del libero scambio. Certamente, essendo al centro dei flussi di importazione ed esportazione a livello globale e nonostante la tendenza alla riduzione in percentuale della popolazione dell’Europa rispetto al resto del mondo, l’Ue continuerà a tracciare delle linee guida che gli altri paesi della comunità internazionale dovranno seguire: basti pensare agli standard di sicurezza, alla tutela dei dati personali, al rispetto dei diritti umani. Ebbene, per governare i processi fin qui delineati è necessario innanzitutto che vi sia una classe dirigente che li comprenda e che abbia il coraggio di affrontarli, mentre i leader mondiali sembrano tuttora disorientati ed incapaci di compiere quelle scelte audaci che il momento storico richiederebbe.

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