Europa delle istituzioni ed Europa dei carismi insieme
In questo mese di maggio qualcosa di straordinario è avvenuto. L’Europa si unifica attraverso un grande processo, che certo ha i suoi tempi e le sue burocrazie,ma è generato da una grande vocazione alla pace. La pace è alla radice di questo disegno. L’Europa non inizia oggi la sua vita plurisecolare; tuttavia gli interessi degli stati nazionali, che l’hanno composta, l’hanno attraversata con guerre di tutti i tipi, fino alla tragedia della Seconda guerra mondiale e fino alla Shoah. I totalitarismi l’hanno sfigurata, dai lager ai gulag. Gli idoli del nazionalismo le hanno inferto ferite profonde. In realtà tutto questo immenso dolore è stata la fonte da cui è nata la nuova Europa. C’è un filo che lega il nostro impegno di oggi alle vittime della Seconda guerra mondiale, alle vittime di Auschwitz, come alle vittime di Srebrenica negli anni Novanta, come oggi alle vittime di Gerusalemme e di Baghdad. Il mai più detto di fronte ai campi di sterminio è diventato il primo mattone dell’Europa unita nella diversità. Oggi, di fronte alle sfide del terrorismo, della guerra e della povertà, ci attende un passo nuovo: la capacità di costruire – come soggetto politico unitario – rapporti di dialogo e partenariato con i paesi del sud e del nord del mondo, con gli Stati Uniti, con l’Africa, con la Russia, con la grande Asia, con la Cina. L’Europa è un grande progetto politico. Ma che si sostiene nel tempo solo se ha un’anima forte, solo se ha uno spirito. E voi sapete come alimentare questo spirito. Secondo una grande personalità religiosa del secolo scorso, il trattato sul carbone e l’acciaio del 1951 è stato un gesto spirituale, il cui significato era: mai più la guerra. È una interpretazione coraggiosa ma convincente, perché questo è stato. Siamo passati dal trattato del 1951 alla realizzazione dell’euro nel 1998, attraverso un percorso complesso e difficile. Si è molto ironizzato sull’Europa delle monete, dei banchieri e dei burocrati. In realtà anche l’euro non sarebbe stato possibile se non dentro a una grande politica, che ha unificato l’Europa e che oggi fa dell’Europa un soggetto forte, ma anche un soggetto di pace nel mondo. L’euro è uno degli strumenti di questa politica, che permette a questa politica di operare con forza per realizzare rapporti di equilibrio e non di dominio dentro l’economia mondiale. Anche l’euro è uno strumento per creare un mondo multipolare. L’altro passo sarà la Costituzione europea, senza la quale l’Europa corre gravi rischi di scomparire dalla scena mondiale. Senza la Costituzione manca la pietra angolare su cui costruire il nostro edificio, mancano gli strumenti efficaci di difesa e per una politica economica che non siano declamazioni, ma gesti efficaci. Questo significa certamente un nuovo concetto e un nuovo esercizio congiunto della sovranità nazionale. Questo è possibile perché è una pura illusione che i singoli stati europei, per quanto grandi, possano avere un ruolo nel futuro del mondo, stando da soli. È necessaria una dimensione di governo sovranazionale, per essere davvero facitori di pace, competitivi nello sviluppo economico, garanti dei diritti sociali di tutti, capaci di accogliere gli immigrati, i nomadi e i diversi. L’attuale bozza di Costituzione, pur sempre perfettibile, rappresenta una risposta importante al bisogno di organizzare la prima democrazia sopranazionale della storia dell’umanità. Essa è un modello originale per comporre in un delicatissimo equilibrio popoli e stati, in modo da realizzare davvero quella unione di minoranze, su cui costruire la nuova potenza civile europea. L’Europa non è la culla originale del cristianesimo. Conviene sempre ricordare che il cristianesimo è una fede orientale, o almeno mediorientale. Il cristianesimo si diffuse assai velocemente nel nord Africa, in Egitto, in Libia, nelle odierne Algeria e Tunisia, ed altrettanto avvenne là dove oggi vi sono Turchia, Afghanistan, Iran e Iraq. Nel 245, quando ancora la maggior parte degli europei professava riti pagani, vi erano già ventiquattro episcopati cristiani nella valle del Tigri e dell’Eufrate. L’Ungheria viene cristianizzata dopo il Mille. Detto questo, non è tuttavia legittimo dubitare che il cristianesimo abbia enormemente contribuito alla composizione di valori, di ideali e di speranze che oggi fanno parte della cittadinanza europea. La storia dell’Europa non ha senso senza la storia del cristianesimo, con le sue forze e le sue debolezze. Vale qui la pena di ricordare che i grandi padri dell’Europa sono stati cristiani convinti e hanno attinto alla loro fede per costruire l’Europa. Questo è necessario dirlo con forza. Per essere cittadini europei non bisogna mettere tra parentesi la fede; al contrario, si può e si deve attingere dal proprio credo i fondamenti della coerenza etica, della perseveranza, della sapienza, della mitezza, della condivisione, della magnanimità, ma anche del pensare grande, in modo da costruire un futuro che sappia misurarsi sulle sfide della pace e della giustizia. Senza arroganza, senza esibizionismi, senza la pretesa di imporre qualcosa a nessuno, i cristiani possono essere il lievito e il seme di questa nuova storia, in uno sforzo di dialogo costante con ebrei e musulmani e con quanti hanno altre convinzioni. Con uno spirito ecumenico, con uno spirito di tolleranza e rispetto per le diversità dell’altro, il fermento religioso può dare all’Europa quell’anima di cui il nostro continente non può fare a meno. Con l’Europa unita sta nascendo qualcosa di nuovo nel mondo. Non è un caso che essa stia diventando un punto di riferimento per l’Africa e il modello per la difficile e complicata progettazione della stessa Unione africana. La Cina e la grande Asia seguono con grandissima attenzione la costruzione originale dell’edificio europeo. La stessa società americana sta sempre più comprendendo che l’Europa potrà essere un elemento di stabilità nel mondo. Per come è nata e per il modo con cui la si è costruita, essa non ha infatti vocazioni imperiali, non vuole dominare ma sedere con autorevolezza al banchetto di tutti i popoli. Si colloca qui il grande tema del multilateralismo. Non è una questione di definizione scolastica, ma di vita. Se il mondo sarà retto da una logica unilaterale, le guerre non faranno che crescere, con tutti i loro effetti devastanti. Se saremo capaci di imboccare con coraggio la via del multilateralismo efficace attraverso le grandi organizzazioni internazionali e attraverso l’Onu, sia pure riformata, la pace e il diritto saranno sempre più possibili. La vicenda dell’Iraq e la tragedia israelo-palestinese sono una puntuale conferma di questo. C’è poi un grande muro di povertà che divide il sud dal nord del mondo. Questa è una delle sfide decisive nella quale l’Europa è necessariamente impegnata. Anzi su cui l’Europa deve essere nel futuro molto più impegnata di quanto non avvenga oggi. È necessario infatti vincere la battaglia contro la fame e la sete che toccano parti grandissime di interi continenti, contro le grandi epidemie (Aids, malaria, tubercolosi…), contro il mercato delle armi, che alimenta tutte le guerre, in particolare quelle del centro Africa, guerre che producono un numero sterminato di morti. È necessario investire più in questa lotta alle ingiustizie di quanto noi investiamo nei bilanci militari. Queste sono le sfide che dobbiamo affrontare oggi e con le quali saremo sempre più confrontati domani. Ed ora, poche parole sulla politica. I grandi padri dell’Europa, che hanno dato origine a questo singolare disegno, non hanno avuto piccole ambizioni, ma grandi ambizioni. Non hanno messo al primo posto il loro interesse e il loro successo personale, hanno fatto molto di più: hanno pensato e cominciato a fare l’Europa della pace con grande pazienza, ma anche con grande perseveranza, senza mai perdere la rotta. Essi hanno, con il loro pensiero e con la loro azione, posto tutti noi di fronte al problema del metodo nell’azione politica. Questo significa porre al centro della nostra azione l’orizzonte del mondo; non il nostro angusto territorio. Significa ritenere che chi usa la menzogna, il cinismo, l’ipocrisia (anche se apparentemente ottiene qualche risultato) è destinato inevitabilmente alla sconfitta. Significa ritenere che chi persegue la giustizia, la pace e la verità, anche se paga prezzi alti, alla fine vincerà. Dopo queste brevi premesse, quali dunque possono essere i contenuti dell’azione politica in questo tempo drammatico? 1) Capire la società, partendo dai più piccoli e dai più deboli.Ascoltare e capire la società. Ci sono contraddizioni significative in Europa, ci sono contraddizioni enormi tra l’Europa e il sud del mondo. Non si può pensare al futuro dell’Europa che non sia anche il futuro del sud del mondo. Se i paesi di quest’area andranno alla deriva, anche l’Europa vivrà giorni dolorosi. È necessaria una politica lungimirante che affronti lo scandalo della povertà e costruisca rapporti di partenariato in modo da realizzare lo sviluppo economico e civile di questi paesi. Il nostro esempio di costruire rapporti che vanno al di là dei confini nazionali è per loro prezioso. Il nostro esperimento europeo è per loro essenziale. 2) Riconoscere i diritti dell’altro. Il futuro dell’Europa ci sarà se sapremo riconoscere i diritti di quei popoli che subiscono ingiustizia, che vengono violentati nelle loro attese primarie. Riconoscere i diritti degli altri significa accogliere, cambiare i nostri comportamenti e costruire nuovi atti politici. 3) La riconciliazione. Nel tempo della guerra, quando la guerra mostra il suo totale fallimento, come un paradosso, diventano forti le parole deboli. Oggi il futuro dei paesi che hanno vissuto la guerra sta nella riconciliazione, una parola mite che racchiude in sé la più grande forza. E l’Europa lo ha dimostrato. 4) Infine, sconfiggere la paura. Nel tempo in cui il terrorismo vuole prendere in ostaggio i popoli attraverso la paura, è necessario spezzare il meccanismo perverso del terrore. La risposta al terrorismo non sta nella guerra, che anzi lo moltiplica, ma nella democrazia, nella saldezza di istituzioni, che sanno prosciugare i giacimenti di odio dentro cui cresce, che sanno prevenire le azioni disperate attraverso gli strumenti di cui dispongono, che sanno risolvere i conflitti, che lo alimentano. Tutto questo domanda l’impegno di ciascuno, perché non restiamo catturati dal meccanismo della paura. Il cristianesimo ci ricorda che l’antidoto alla paura è la fede. So che questa affermazione è molto più facile da dire che da mettere in pratica; ma so anche che questo è il compito dei cristiani. Nel momento della grande unificazione europea, i cristiani sono chiamati a portare la loro intelligenza, il loro impegno, la loro creatività, perché l’Europa cresca non come una fortezza, ma come un soggetto politico che ha un’anima, che fa della pace e della giustizia la sua identità e la sua vocazione. Di quest’anima voi siete una componente essenziale: noi, lavorando nelle istituzioni, voi vivendo le molteplici risposte che nascono dai vostri carismi, dobbiamo costruiamo insieme l’Europa, e dobbiamo fare sì che essa sia sempre più sé stessa. Trovo bellissimo che questa giornata avvenga proprio mentre dieci nuovi paesi entrano nell’Unione.Agli amici di Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Malta e Cipro rivolgo perciò il mio saluto e il mio abbraccio. Voi entrate in un’unione in cui, proprio perché è un’unione di minoranze, nessuno si può considerare agli altri superiore e nessuno si può considerare agli altri inferiore. Il fatto che voi siete qui – e tante vostre città sono collegate via satellite – esprime in modo tangibile il patrimonio comune che noi abbiamo e la capacità di costruire insieme il futuro. Ma il mio saluto e il mio affetto vanno a tutti i presenti: qui, in questa sala e in quelli che ci ascoltano, l’Europa è rappresentata dall’Atlantico agli Urali e fino al Mediterraneo, un insieme ben visibile sulla scena mondiale non dal punto di vista di un’unità istituzionale, ma certamente dal punto di vista della cultura, delle aspirazioni e delle radici comuni. Essa respira con due polmoni ma vive con un solo cuore.