Europa: Covid-19, mappe e numeri
Fa impressione e suscita alcuni interrogativi la consultazione delle numerose mappe che sono state eleborate per cercare di capire la diffusione della pandemia di Covid-19. A considerare le cifre dell’incidenza (contagiati ogni 100 mila abitanti) e quelle della mortalità (deceduti ogni 100 mila abitanti) le mappe che vengono disegnate suscitano non pochi interrogativi: perché il Portogallo ha un’incidenza di 685,20 e una mortalità di 18,75 mentre la Spagna sale a 1482,07 contagi e 66,32 morti? È il confine che induce una tale differenza? Oppure, perché le cifre della Norvegia sono 249,95 e 5,03 mentre quelle della Svezia sono 882,10 e 57,85? Cioè, sorge il sospetto che il criterio geografico da solo non regga, e neppure quello dell’età della popolazione né la qualità dei servizi sanitari disponibili, e alle volte neppure le misure di confinamento e la ridotta mobilità… Comunque, le cifre sono lì, e sembra che sia il meccanismo di controllo che finora ha funzionato meglio.
Da diverse parti, però, il conteggio dei morti è stato messo in discussione. Si sa che dietro alle cifre ufficiali ci sono casi accertati di morti da coronavirus, ma si sa anche che in molti altri casi non si è potuto verificare se il virus sia stata la vera causa di morte. E allora intervengono altri criteri. In Spagna, gli studi dell’Istituto Carlos III parlano di “eccesso di decessi” in un dato periodo, cioè si è constatato un 10% in più di quanto statisticamente ci si attendeva. Ciò porta alla conclusione che dall’inizio della pandemia potrebbero essere morti a causa del virus più di 47 mila persone, anzichè le 31 mila riconosciute ufficialmente. Va pure detto che tra quei morti c’erano molte persone con altre patologie, e gli ospedali non hanno potuto verificare la vera causa del decesso a causa del collasso sanitario.
All’estremo opposto dell’Europa, in Norvegia, un analogo criterio di controllo dei decessi è arrivato invece alla conclusione opposta: sono morte meno persone di quelle che le statistiche avevano previsto. Si sa che la Norvegia è tra i Paesi che prima di altri e in modo più drastico ha implementato le misure per proteggere la popolazione; la cifra di soli 267 morti da coronavirus dall’inizio della pandemia lo dimostra. L’efficacia delle misure è stata tale che ha fermato pure altri virus, al punto di generare titoli di stampa come: «Il successo norvegese delle misure contro il coronavirus porta le pompe funebri sull’orlo del fallimento». Non è uno scherzo, diverse imprese di questo settore, in Norvegia, hanno dovuto chiedere il sostegno dello Stato per poter sopravvivere.
Una delle piste per capire il perché della varia e talvolta contradittoria difussione del virus la offre l’antropologo sociale Thomas Hylland Eriksen, norvegese, che negli ultimi tempi è stato oggeto dell’attenzione di molti media. Quella di Hylland è una lettura del fenomeno che sta a cavallo tra sociologia e politica. Ecco qualche stralcio di una sua intervista, che è possibile vedere per intero sul canale web della Bbc: «In alcuni Paesi le persone erano costrette, persino minacciate, a rispettare le regole», sotto pena di multa. «Quando un governo non si fida delle persone che governa – aggiunge Hylland – c’è un basso livello di fiducia e le persone devono essere minacciate perché facciano ciò che viene loro richiesto». Ci sono poi i Paesi autoritari, dove le regole sono osservate per forza. E ci sono infine quelle società dove «la distanza sociale tra governanti e governati è piccola e dove c’è un basso livello di corruzione», come appunto la Norvegia.
«Una crisi – conclude Hylland – è una sorta di lente d’ingrandimento che ingrandisce a dismisura le tendenze esistenti in una data società, fino a permetterci di vederle con più chiarezza, perché diventano più pronunciate e visibili».
L’Italia è stata omaggiata dall’Oms per aver controllato meglio e reagito con forza alla pandemia, tanto che il presidente Mattarella ha recentemente risposto al premier Johnson che il nostro Paese ama «la libertà, ma anche la serietà».
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