Europa, confini e omissioni
Fissato da tempo, il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018 non deve affrontare solo la gestione dei flussi migratori che è oggetto di forte polemica dopo i primi atti del governo Lega M5S compiuti in coerenza con il programma di impedire l’attracco ai porti italiani delle navi delle Ong che raccolgono i naufraghi in mare. In due giorni, l’ordine del giorno dei lavori è così fitto da poter avere un’idea delle conclusioni già scritte nelle bozze che circolano. Oltre alla politica migratoria, che comprende la riforma del sistema europeo comune di asilo, molte novità riguardano la definizione del bilancio economico UE 2021-2027, la linea comune in vista dell’imminente summit Nato che si tiene a luglio, la gestione della Brexit e la controversa questione delle sanzioni a Russia e Iran.
I due leader italiani che ricoprono,entrambe, le cariche di vice premier sono concordi nel mostrare un piglio deciso dell’Italia sul tavolo delle trattative. Il pugno duro usato verso le organizzazioni umanitarie rientra in questa strategia che sostiene il documento dei 10 punti reso noto domenica 24 giugno dal presidente del consiglio Conte. La posizione tiene conto della necessità di non far ricadere il peso dei flussi migratori solo sui Paesi di primo arrivo: «Bisogna scindere tra porto sicuro di sbarco e Stato competente ad esaminare richieste di asilo. L’obbligo di salvataggio non può diventare obbligo di processare domande per conto di tutti».
Una numerosa rete di associazioni che ha promosso una mobilitazione comune, prettamente sui social, alla vigilia del vertice di Bruxelles, afferma che non si può condurre una lotta per chiedere la solidarietà europea facendola pagare alle persone raccolte in mare. Bisogna invece, «cambiare le regole sbagliate come il Regolamento di Dublino, che lasciano le maggiori responsabilità sui Paesi di Confine». A tal fine «il Parlamento europeo ha già votato a larga maggioranza per superare l’ingiusto criterio del “primo Paese di accesso” e sostituirlo con un sistema di ricollocamento automatico che valorizza i legami significativi dei richiedenti e impone a tutti i Paesi di fare la propria parte, come già chiedono i Trattati europei».
Questo argomento è, tuttavia, superato da un altro obiettivo che si vuole perseguire e cioè l’esternalizzazione delle frontiere in territori diversi da quello nazionale.
L’attuale notevole diminuzione del numero dei migranti e richiedenti asilo si spiega con la chiusura della rotta balcanica raggiunta tramite accordi con la Turchia e con l’accordo raggiunto con i capi tribù libici per bloccare sulla terraferma le migliaia di persone decise ad espatriare. Trattative delicate e onerose in termini finanziari.
Sulla stessa linea si muove l’accordo che lega l’Italia con il governo di Tripoli per armare e sostenere il lavoro della guardia costiera libica. Il modello di riferimento è quello adottato in Australia per dissuadere l’arrivo di migranti “irregolari” su quelle coste anche tramite la delocalizzazione in Papua Nuova Guinea di centri di identificazione ed espulsione. La Francia di Macron resta dell’idea di mantenere strutture simili nei Paesi frontalieri come Italia e Grecia. Il ministro degli interni Salvini punta a creare tali “hotspot” in stati terzi ma ha ricevuto la indisponibilità dello stesso governo amico di Seraj in Libia. Tra le varie ipotesi esiste anche la ipotesi di ricorrere, come riporta l’Ispi, ai territori UE d’oltre mare quali ad esempio le città autonome spagnole di Ceuta e Melilla presenti in Nord Africa.
Nella breve missione in Libia, Salvini ha trovato anche il tempo per smentire le accuse di gravi e documentate violazione dei diritti umani (torture, abusi e stupri) perpetrate contro i migranti trattenuti nei campi di detenzione esistenti in un territorio attraversato da irrisolti conflitti bellici interni. Eppure come non può che notare Paolo Lambruschi, bravo e scrupoloso giornalista di Avvenire, se proprio si vogliono trovare dei complici sul traffico di esseri umani non si deve guardare alle Ong impegnate nel salvataggio dei naufraghi, ma al «capo della Guardia costiera (libica) cui abbiamo appena delegato i salvataggi», come risulta da una sanzione decisa dal Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Quello che si profila in generale, nelle stesse proposte del governo italiano, è il finanziamento del sistema delle frontiere esterne con il potenziamento della Joint Operation Themis che apre serie questioni sulla sua effettiva direzione politica. L’intenzione esplicita è quella di arrivare a distinguere in tempi brevi coloro che possono ricevere asilo e protezione umanitaria da tutto il resto dei migranti per motivi economici, e perciò irregolari, da rispedire al Paese di partenza.
Da tale approccio resta escluso ogni riferimento alle cause di un fenomeno come quello delle migrazioni che sembra comunque generare fonte di guadagno per i governi dei Paesi terzi pagati per intercettare i migranti e per i fornitori dei sofisticati sistemi di difesa e protezione delle frontiere.
A livello politico sembra assente la prospettiva di esaminare e contrastare i meccanismi di sfruttamento e impoverimento delle risorse che obbligano a fuggire, spesso solo chi può farcela, da condizioni di miseria e di invivibilità.
Nel contratto di governo stipulato dalle attuali forze politiche al potere in Italia si afferma, nel paragrafo 13 sull’immigrazione, la necessità di «bloccare la vendita di armi ai Paesi in conflitto». Come è noto, invece, Italia e Francia, ad esempio, esibiscono una forte polemica sulla questione migranti, ma sono competitivi sui mercati internazionali delle armi o , allo stesso tempo, stringono accordi nello stesso settore come dimostra l’accordo tra Fincantieri e Stx France.
Di migranti ma anche di disarmo hanno parlato martedì 26 giugno il papa e il presidente francese Macron in visita a Roma per ricevere il titolo di protocanonico della basilica di San Giovanni in Laterano, usanza che risale ai tempi di Enrico IV.
Mentre si continua a discutere di come fermare e rimandare indietro migliaia di migranti che arrivano dalla Libia, resta rimosso il dibattito sulle effettive ragioni della guerra scatenata nel 2011, per volontà principale della Francia, in quel Paese che ora vive ancora nel caos tra opposte fazioni protette da referenti internazionali.