Euro, strumento di unità
Grandi festeggiamenti ufficiali per l’Euro che, dopo anni di gestazione, vede finalmente la luce. Il traguardo è stato raggiunto nei tempi fissati. La scommessa è stata vinta a dispetto di tutte le Cassandre.Anche i Girella che ieri frenavano, oggi sono saliti sul treno e applaudono.Quasi tutti. Molti dei grandi artefici di questa impresa non ci sono più.Altri, come Kohl, vivono ormai nell’ombra. Fra quelli di casa nostra, Romano Prodi, che da presidente del Consiglio ha avuto il non piccolo merito di farci raggiungere la soglia minima di ammissione, siede addirittura sulla poltrona di presidente della Commissione europea. Eppure, la gente sembra vivere con un certo distacco questo momento. Preoccupata piuttosto di come adeguarsi ai non facili calcoli della conversione delle nostre lire in euro, senza rimetterci troppo; in ansia per la possibile lievitazione dei prezzi che, a dispetto di tutte le raccomandazioni e le promesse, finirà per verificarsi. Ma soprattutto, verso l’Europa, si respira un’aria di disincanto, che è cresciuta da quando il governo italiano ha puntato i piedi su alcune questioni, come forse mai era stato fatto prima.All’ultimo vertice di Laeken infatti, sono state rinviate per colpa dell’Italia (qualcuno dice per merito) alcune decisioni, come quella sul mandato d’arresto europeo e quella sulla scelta delle sedi per le Agenzie europee. Sulla prima questione, dopo un’aspra polemica, si era arrivati ad un chiarimento. Non così sulla scelta di Parma come sede dell’Agenzia per l’alimentazione, che ha prodotto il rinvio di tutto il pacchetto al prossimo semestre. Anche il ritiro dell’Italia dalla costruzione dell’aereo- cargo europeo ha questo connotato di difesa dell’interesse nazionale, quando, in passato, lo si è molto spesso posposto alle decisioni comunitarie. Basti pensare alla politica agricola, così penalizzante per noi. Il Commissario europeo Mario Monti, interrogato, ha espresso la sua diagnosi autorevole: si tratta, per l’Italia, soltanto di una crisi adolescenziale di presa di coscienza dei propri interessi. Dunque, in sé non è negativa, purché la si superi.Altri paesi importanti, in questo, ci hanno preceduto. Più negativa appare invece la debolezza dimostrata dall’Europa negli ultimi anni, quando, di fatto, non è riuscita a far sentire la propria voce in nessuna delle maggiori crisi internazionali, arrivando sempre a cose fatte e a rimorchio degli Stati Uniti. Finendo per farsi rappresentare dai singoli governi nazionali che agivano in prima persona o attraverso la Nato. Così nella crisi jugoslava, così in quella irachena e ora anche in Afghanistan. Da questa costatazione c’è chi prende le mosse per argomentare che l’Europa votata al federalismo è finita. Perciò non resterebbe che lasciare all’Unione un compito puramente mercantile; perché le guerre, oggi come ieri, le hanno fatte e le faranno sempre le nazioni. Sarebbe davvero, a nostro avviso, un grande passo indietro. È invece il ritardo nel dare all’Europa una maggiore coesione politica che la penalizza. Per non parlare del fatto che i soldati dovrebbero servire per la difesa e per “imporre” la pace; e possibilmente farlo sotto l’egida dell’Onu. L’Europa, in quanto Comunità, è nata per l’orrore che una guerra aveva suscitato e per scongiurarne il ripetersi.Tutto il resto doveva essere strumento a questo fine primario. Anche per questi motivi, l’arrivo della moneta unica ci sembra quanto mai opportuno, perché segnerà di fatto un balzo in avanti non solo per facilitare gli scambi, agevolando i commerci e gli spostamenti, ma perché ci farà sentire più uniti. Si produrrà insomma quella solidarietà di fatto che avrà certamente un effetto positivo nella soluzione dei problemi che ancora ci dividono. E renderà controproducente, lo speriamo, strumentalizzare la politica europea per fini partitici nazionali. Ben arrivato all’Euro, dunque, di tutto cuore.