Eugenio Melandri, una vita in dono

L’itinerario originale e fecondo di un uomo di pace dentro le contraddizioni e le ricchezze del nostro tempo. L'orizzonte rivoluzionario e la forza della fragilità
Eugenio Melandri

«Le nostre preghiere non bastano più». È il verso di una canzone degli anni 70 che Eugenio Melandri ha ricordato nella sua ultima messa, rimandando ad una generazione passata, affascinata dal mito rivoluzionario.

Non solo il desiderio ma la pretesa di cambiare il mondo. E questo religioso della “Pia Società di San Francesco Saverio per le Missioni Estere” lo ha cercato di fare con un percorso originale nella fedeltà alla sua vocazione di donazione assoluta.

Nato nel 1948 a Brisighella, un paese della Romagna, decise di diventare “saveriano” nel 1974, ad un’età in cui le scelte sono frutto di un vero discernimento. I superiori del suo Istituto, fondato a Parma a fine ‘800, decisero di investire nella formazione sociologica, altra costante di un certo periodo storico, per poi affidargli nel 1980 la direzione della loro rivista.

Per prima cosa cambiò il nome della testata, legata ad un ‘idea di “conquista”, in quello di “Missione Oggi”. Potrebbero essere degli innocui fogli dediti a cercare soldi per un’attività proiettata verso il mondo intero, e invece tali periodici esprimono una notevole densità di analisi e proposta.

È stato, perciò,  inevitabile per il giovane Melandri  andare ad impattare con il conglomerato di poteri che promuovevano , e promuovono ancora, il flusso di armi verso i Paesi in guerra. Un lavoro non solo di informazione e formazione ma di vera e propria azione fino a costituire il “Comitato contro i mercanti di morte” che riuscì a far approvare al Parlamento italiano una legge (la numero 185 del 1990) che impone il divieto di fornire armi destinate ad alimentare Stati in guerra e/o contrari ai diritti umani.

Una grande opera collettiva che ha visto l’esposizione e, si può dire, il sacrificio di lavoratori che hanno fatto obiezione di coscienza alla produzione bellica.  La legge è ovviamente sotto continuo attacco e ha subito, nel tempo, impercettibili ma pesanti interventi che mirano a svuotarla di efficacia.

Ad ogni modo, l’attività di padre Eugenio e del suo corrispondente padre comboniano Alex Zanotelli, direttore di Nigrizia, finì per dare fastidio ad alcuni esponenti politici, tanto da comportare l’allontanamento dai loro ruoli. È in questa fase che Melandri decise di accettare l’invito a candidarsi, ed essere eletto grazie ad un forte sistema proporzionale, al Parlamento europeo nel 1989 con Democrazia Proletaria.

Parliamo, proprio nell’anno del crollo del Muro, di un’area della sinistra radicale, con riferimenti ad un comunismo eretico dalla linea del Pci ma anche diviso al suo interno tra priorità e visioni divergenti. Insomma quanto di più lontano dagli stalinisti “trinarciuti” narrati da Guareschi, con significative provenienze dalla chiesa post conciliare.

Il saveriano si andò a confidare con il vescovo presidente di Pax Christi, Tonino Bello, che lo invitò a “non dimenticare i poveri”. Ma era proprio questa la leva costante della sua scelta di vita in un mondo, quello della cosiddetta sinistra estrema, che è stato ed è ancora nella sua diaspora, una comunità di riferimento e di appartenenza dove poteva dire di essere “compagno” rivelandone il significato autentico dello spezzare il pane (Cum panis). Una realtà “a grande movente ideale” con le sue ricchezze e contraddizioni, invidie, gerarchie e incoerenze che non possono sorprendere chi appartiene alla comunità ecclesiali.

Perché Melandri  è rimasto sempre fedele alla sua vocazione e alla sua Chiesa, anche se necessariamente sospeso dal sacerdozio ministeriale. La chiave di volta per comprenderlo si trova in un testo di Lorenzo Milani, la lettera scritta ad un giovane comunista “scomunicato”, suo amico, per dirgli di stare attento perché, una volta lottato assieme per abbattere il privilegio e l’oppressione dei deboli, alla fine don Lorenzo lo avrebbe tradito perché determinato a restare dalla parte degli ultimi: «Quando tu non avrai più fame né sete, ricordati, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno d’un sacerdote di Cristo: “Beati i … fame e sete”».

È questo il profilo di Eugenio Melandri che ha attratto tanti soggetti “anomali” per costruire assieme qualcosa di giusto. Uno su tutti Dino Frisullo, portatore di una dedizione assoluta al servizio della pace e degli esclusi, con il quale ha promosso l’associazione “Senzaconfine” con attenzione lungimirante alle persone migranti. E come si può scordare l’impegno comune con Massimo Paolicelli nell’associazione degli obiettori non violenti, la campagna “minerali clandestini” per andare al cuore dello sfruttamento del continente africano, da sempre al centro del suo cuore.

Una tensione costante che lo ha accompagnato anche nella sua successiva militanza nel partito di Rifondazione comunista, deputato e poi assessore a Genzano di Roma, per restare in una cosiddetta area estrema capace, tuttavia, di porsi, prima della sua implosione, la questione della scelta “nonviolenta”, inconcepibile e scandalosa per coloro che provengono da una certa concezione materialistica della storia. Eugenio è rimasto fuori schema, come possono confermare i tanti che lo hanno conosciuto, sorpresi dalla sua bontà e trasparenza che poi è diventata senza pudore alcuno nel racconto sui social della ultima lotta contro il tumore (“il drago” come lo chiamava).

Ci ha sorpreso, negli ultimi tempi, nell’aver trasformato uno strumento, spesso espressione dell’odio come Facebook, in un diario della sua fede autentica, candidamente felice per aver incontrato papa Francesco ed essere, alla fine, tornato a celebrare messa nella diocesi di Bologna, guidata dal vescovo Matteo Zuppi.

Una percezione autentica e immediata, anche per tanti amici diversamente credenti e lontani da ogni pratica religiosa, di un sacerdozio liberato dalle insegne di ogni potere ed essere dono per l’umanità. Ha terminato i giorni terreni il 27 ottobre, dies natalis, giorno della chiusura del sinodo dell’Amazzonia, un segno della conversione integrale di una Chiesa in perenne riforma nella fedeltà a Gesù Cristo, capace di essere madre accogliente nella sua debolezza e fragilità.

 “La terra ti sia lieve”, dicono coloro che non riescono onestamente a comunicare altro, nel loro affetto sincero verso un uomo che non ha preteso affatto di essere perfetto. Ma che non ha mai smesso di aprire il cammino verso “nuove terre e nuovi cieli”.

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