Eucaristia e resurrezione
Un effetto particolarmente importante dell’Eucaristia, riguardante proprio la vita fisica, è la risurrezione della carne. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù afferma: … e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo, e ancora: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. …Per la vita del mondo: l’Eucaristia dunque serve già da questo mondo a dare la vita. Ma che cos’è la vita? Lo ha detto Gesù: Io sono la vita. Questo pane nutre di lui già da quaggiù. E io lo risusciterò nell’ultimo giorno. L’Eucaristia dà anche la vita per l’altro mondo. Ma che cos’è la risurrezione? Lo ha detto Gesù: Io sono la risurrezione. È lui che inizia in noi la sua vita immortale, quella che non si interrompe con la morte. Anche se il corpo è corruttibile, la vita, Cristo, rimane e nell’anima e nel corpo come principio di immortalità. Grande mistero, questo della risurrezione, per tutti gli uomini che ragionano col metro umano. Ma c’è un modo di vivere in cui il mistero di venta meno incomprensibile. Vivendo il Vangelo visto dalla prospettiva dell’unità, si fa l’esperienza ad esempio che, attuando il comandamento nuovo di Gesù, l’amore reciproco porta ad una unità fraterna fra gli uomini che supera lo stesso amore umano, naturale. Ora questo risultato, questa conquista è effetto del fare la volontà di Dio. Gesù sapeva infatti che, col nostro corrispondere ai suoi immensi doni, saremmo stati non più servi o amici suoi, ma fratelli suoi e fratelli tra noi, perché nutriti della stessa sua vita. Per indicare questa famiglia d’altra natura, l’evangelista Giovanni usa un’immagine suggestiva: quella della vite e dei tralci. La stessa linfa, potremmo dire lo stesso sangue, la stessa vita e cioè lo stesso amore (che è l’amore col quale il Padre ama il Figlio) ci viene comunicato e circola fra Gesù e noi. Siamo quindi resi consanguinei, concorporei con Cristo. È quindi nel senso più vero e soprannaturalmente più profondo che Gesù chiama i suoi discepoli fratelli dopo la sua risurrezione. E l’autore della lettera agli Ebrei conferma che Gesù risorto non si vergogna di chiamarli fratelli. Ora, costruita questa famiglia del Regno dei cieli, come si può pensare ad una morte che stronca l’opera di un Dio con tutte le conseguenze dolorose che questo comporta? No: Dio non poteva metterci di fronte ad un’assurda separazione. Egli doveva darci una risposta. E ce l’ha data rivelandoci la verità della risurrezione della carne. Essa non risulta quasi più al credente un mistero oscuro di fede, ma è una conseguenza logica del vivere cristiano. Essa è portatrice della gioia immensa di sapere che ci ritroveremo tutti con quel Gesù che ci ha uniti in tale modo.