Etnico è bello!
Culture, letterature, gusti, geografie che si incontrano. Anzi persone.
Da che mondo è mondo, cucina e letteratura vanno a braccetto: entrambe espressioni della cultura dei popoli, che mangiano bevono amano pregano e giocano – per parlare di alcune delizie della vita – secondo meccanismi ancestrali. Oggi antiche culture s’intrecciano nello stretto spazio delle nostre città e paesi, e nel campo della cucina e della letteratura va forte l’etnico.
Piace cenare accovacciati sui cuscini e tappeti d’un ristorante curdo, piace assaggiare la riverente cucina tailandese, piace incendiarsi il palato con salse messicane, piace servirsi con le mani dal prelibato piatto al centrotavola d’un ristorante africano, piace l’enigmatico sushi, piace elevare l’animo con un metafisico vino libanese tra sensuali mezzas e succulente salsicce d’Aleppo adagiate su un letto di prezzemolo, piace l’onnipresente kebab.
Così anche nella letteratura: le librerie impilano libri d’autori tra Afghanistan Iran Israele Siria e Palestina. Ovviamente etnico è un termine intriso di relatività: dipende dalle coordinate geografiche. Noi, senza accorgercene, lo usiamo come “ciò che non è occidentale”. Ma se per noi etnico è, che ne so, un libro di Rafik Schami o di Lizzie Doron, per un lettore del Mali, etnico potrebbe essere uno di Baricco o di Fabio Volo.
Il fattore geografico è determinante, con un pericolo: si può intendere il lontano da noi come oggetto di curiosità, come moda, non come un essere reale con il quale si può innescare una relazione autentica. Se ci si mette però in questa prospettiva, la variante “etnica” può spingere a conoscere di più gli altri.
M’è capitata una felice circostanza. Mi sono imbattuto in un libro della cinese Yu Dan, che parla in modo leggero di Confucio. È stata una scoperta. Non solo di Confucio, ma di me stesso. Quando si comunica sinceramente amore e verità ci s’incontra ad ogni latitudine. Ci si capisce e ci si migliora reciprocamente.
Vi lascio una perla di questo libro, quando Confucio afferma: «A quindici anni ero dedito allo studio; a trenta ero saldo; a quaranta non avevo più dubbi; a cinquanta compresi la volontà del Cielo; a sessanta sapevo ascoltare; a settanta seguivo gli impulsi del cuore senza incorrere in trasgressioni».
Mi ha fatto riflettere sulla mia vita. In modo salutare. Perché etnico non è solo gusto dell’esotico e dello stravagante, ma incontro con persone reali. Che come noi s’arrabattano nella vita. E cercano di comprenderla.