Etna, si teme l’apertura di una nuova fessura eruttiva
La colata lavica si è arrestata. L’eruzione si è conclusa. Almeno per ora. Ma l’attività dell’Etna non si è affatto arrestata. I vulcanologi continuano a monitorare l’attività del vulcano. Dopo la scossa di magnitudo 4.9 della scala Richter che ha provocato tanti danni nel catanese, lo sciame sismico non si è fermato e continua ancora oggi, anche se è notevolmente rallentato.
I ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Catania temono che una nuova fessura eruttiva possa aprirsi lungo i fianchi della montagna, magari più vicina ai centri abitati. Un’eventualità che preoccupa non poco, anche se il monitoraggio continuo dovrebbe mettere al riparo da rischi. «L’eruzione si è conclusa, ma – afferma il vulcanologo dell’Ingv Marco Neri – l’attività dell’Etna continua. C’è ancora lava lungo il condotto centrale, ma non arriva in superficie. Questo potrebbe comportare, nel condotto eruttivo, una spinta violenta verso l’esterno e, di conseguenza, l’apertura di una nuova fessura. Stiamo monitorando continuamente la zona e stiamo effettuando sopralluoghi nella “Valle del Bove” e nella “Schiena dell’Asino”: finora non sono state rilevate delle fessurazioni. Il monitoraggio con i Gps e con le altre strumentazioni rimane costante».
È dunque possibile prevedere i terremoti e le eruzioni? «Conosciamo molte cose del vulcano. Da tempo – aggiunge Neri – avevamo registrato un aumento della pressione magmatica e aspettavamo un’eruzione. Non potevamo sapere come e quando si sarebbe verificata. Ma il fenomeno non è privo di segnali. Il 24 dicembre, ad esempio, lo sciame sismico è iniziato alle 8,50 e l’eruzione è iniziata a mezzogiorno. C’è sempre del tempo prima che la lava arrivi in superficie. La zona che stiamo monitorando è di circa 4-5 chilometri quadrati. La fessura eruttiva che è rimasta attiva per tre giorni era lunga circa due chilometri, era orientata in direzione NNO-SSE, dal Nuovo Cratere di sud est alla valle del Bove e la quota minima si era registrata a 2400 metri di altezza».
L’Etna, oggi, è alto 3.326 metri. È il più alto vulcano d’Europa. Per i catanesi è noto come “a Muntagna”. «Ma questo vulcano – sottolinea il vulcanologo Neri – è sottoposto a continui mutamenti. Negli anni ’50 era alto 3.300 metri, 15.000 anni fa era alto 3.700 metri. L’altezza varia via via che si verificano nuove eruzioni, che una nuova colata di magma si riversa sulla superficie, o allorché si verificano dei cedimenti».
Il fenomeno tellurico, dunque, si è attenuato. Ma la tensione non si è fermata. Da queste parti la popolazione è abituata a convivere con i continui tremori, anche se la maggior parte delle scosse vengono rilevate solo dai sismografi. Il picco si è registrato nella notte tra il 25 ed il 26 dicembre, con la scossa di magnitudo 4.9, localizzato a breve distanza da Viagrande. Il fenomeno sismico si è registrato lungo la cosiddetta “faglia di Fiandaca”, quella in cui si sono registrati, storicamente, la maggior parte dei terremoti dell’Etna e che corre nella zona tra “Piano del Vescovo” e la frazione di Pennisi (Acireale).
Per valutare la situazione, su richiesta del capo della Protezione civile Angelo Borrelli, oggi a Roma si è riunita la Commissione nazionale grandi rischi, presieduta da Gabriele Scarascia Mugnozza. L’evoluzione di un fenomeno complesso, quale quello connesso all’attuale attività sismica ed eruttiva del sistema vulcanico etneo, hanno spiegato i tecnici, è soggetta ad una elevata incertezza.
«Scenari più severi – hanno commentato dalla Commissione – potrebbero verificarsi a seguito dell’attivazione contemporanea di diverse faglie superficiali dell’area, oppure dell’attivazione di faglie più profonde, come potrebbe essere stato il caso di eventi storici nell’area, quale il terremoto del 20 febbraio 1818, di magnitudo stimata 6.3». La Commissioneha anche rimarcato che le attività dei vulcani Stromboli ed Etna non sono legate, così come sono del tutto indipendenti dalle dinamiche di altri vulcani italiani quali il Vesuvio e i Campi Flegrei.
Oltre ad un monitoraggio continuo dell’area etnea, per Borrelli bisogna procedere ad un costante aggiornamento dei piani di protezione civile, in modo da poter dare pieno corso alle attività di prevenzione previste, compresa l’informazione della popolazione. Invita, inoltre, gli enti preposti a raccogliere e a valutare, nel minor tempo possibile, i dati disponibili sulle verifiche sismiche già effettuate su infrastrutture ed edifici di interesse pubblico.