Etiopia: verso una guerra totale?
Il conflitto nel Tigray si sta intensificando e sembra essere entrato nella sua fase più critica. Le forze armate tigrine fino ad un mese fa date per sconfitte dal governo, stanno invece marciando con grande determinazione sulla capitale Addis Abeba. Nove gruppi ribelli etiopi si sono alleati fra loro contro il governo del primo ministro Abiy Ahmed e hanno annunciato venerdì 5 novembre la formazione di un’alleanza. Per i ribelli, che rivendicano la conquista di città e territori a 400 km dalla capitale, la caduta di Addis Abeba è «una questione di mesi, se non di settimane».
Questa alleanza, denominata Fronte unito delle forze federaliste e confederali etiopiche (Ufeff), è stata costituita, afferma una dichiarazione, «in risposta alle numerose crisi che sta affrontando il paese», e «per invertire gli effetti dannosi del potere di Abiy Ahmed sul popolo etiope e non solo». Un’alleanza che afferma quindi la volontà del Fronte di liberazione del popolo del Tigray (Tplf) di portare avanti il conflitto, sostenendo di avere appoggi anche oltre il Tigray.
Il 2 novembre scorso il governo centrale ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale. Le forze armate federali hanno invitato militari e veterani in pensione a sostenere l’esercito. Ed hanno invitato la gente di Addis Abeba a unirsi allo sforzo bellico con tutte le armi che hanno. Il governo federale è in guerra da più di un anno nel nord del Paese contro i combattenti del Tplf, che negli ultimi mesi sono andati oltre la loro regione, invadendo soprattutto la regione di Amhara.
Il conflitto etiope era iniziato il 4 novembre 2020, quando si erano avuti scontri tra l’esercito etiope e il Tplf. Le forze governative erano entrate nella provincia del Tigray per rispondere ad un attacco contro una base militare. Addis Abeba aveva annunciato il 28 dello stesso mese di aver concluso un’operazione di “mantenimento dell’ordine”, e che l’intera regione era sotto controllo. Il conflitto era invece solo all’inizio.
Prima che il Abiy Ahmed salisse al potere nel 2018, il Tplf aveva governato l’Etiopia per più di un quarto di secolo ed aveva condotto due guerre molto sanguinose: un conflitto di 15 anni che ha rovesciato la dittatura militare comunista e concesso l’indipendenza all’Eritrea, e anni dopo un conflitto di confine molto più breve ma brutale con il vicino paese appena divenuto indipendente. Come Primo Ministro, Ahmed ha gradualmente emarginato e rimosso il Tplf dal governo federale. Ma oggi il primo ministro etiope viene accusato dagli avversari di aver autorizzato crimini di guerra nella regione del Tigray.
L’Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite e la Commissione etiope per i diritti umani affermano, in un rapporto congiunto del 3 novembre scorso, che tutti i belligeranti della crisi del Tigray avrebbero partecipato “in varia misura” a massacri di civili, esecuzioni sommarie, rapimenti, detenzioni arbitrarie, stupri e torture.
Mentre tutte le fazioni in lotta avrebbero commesso violenze contro i civili, secondo Cameron Hudson, ricercatore senior presso il Centro africano del Consiglio Atlantico, le violazioni dei diritti umani più eclatanti nel Tigray sono state commesse dai soldati eritrei. «Hanno cercato di eliminare i tigrini – ha detto Hudson –, e non è chiaro cosa potrebbero essere interessati a fare i tigrini se fossero in grado di prendere il controllo del governo etiope».
Anche Amnesty International sostiene che i soldati eritrei hanno massacrato centinaia di civili disarmati nella città di Aksum, nel nord del Tigray, «aprendo il fuoco nelle strade e facendo irruzione casa per casa in un massacro che si configura come un crimine contro l’umanità».
L’Onu ha chiesto l’accesso alla regione a luglio 2021, avvertendo che circa 400 mila persone vivevano già “oltre la soglia della carestia”, con altri 1,8 milioni molto vicine a questa situazione. Sempre a luglio, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha affermato che nel Tigray si è verificata una crisi umanitaria su vasta scala dall’inizio del conflitto, con oltre 46 mila persone fuggite nel vicino Sudan e 1,7 milioni di sfollati interni.
Un collasso analogo che coinvolgesse l’intera Etiopia potrebbe avere ripercussioni in tutta l’Africa nord-orientale. Le forze etiopi rappresentano infatti una potente presenza in Somalia, afferma Vanda Felbab-Brown, ricercatrice senior di politica estera presso la Brookings Institution, che aggiunge: «Il loro peso militare supera di gran lunga quello dell’Esercito somalo (Sna) o della Polizia somala (Spn)”, che hanno “poche capacità indipendenti, anche per operazioni difensive contro al-Shabab».