Eta, le perplessità dietro al comunicato

L'annuncio della fine delle azioni armate da parte dell'organizzazione separatista è stato accolto con scetticismo. Anche se un filo di speranza rimane.
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Ormai sono trascorsi 50 anni da quando l’Eta ha iniziato la sua attività politico-militare. In un video del gennaio 2009, simile a quello emesso dalla BBC ieri, l’organizzazione celebrava il suo mezzo secolo d’esistenza. Sono pochi anni, ma sono tanti i militanti passati dalle sue fila: motivo sufficiente per mettere in questione la solidità e la coerenza dei successivi comunicati. Bisogna pure dire che l’organizzazione sta passando un momento di grande debolezza. Negli ultimi anni la sua cupola è stata disfatta ben sei volte, e quasi una settantina dei suoi membri sono stati detenuti nell’ultimo anno. Dunque c’è tanta incertezza su chi abbia veramente il controllo.

Quello di ieri è un comunicato dove non viene usata la parola “tregua”, né si parla di “cessate il fuoco”, ma di chiudere con le «azioni armate offensive». Ha lasciato più che scettici gli analisti, i politici di ogni tendenza e pure tanti simpatizzanti dell’organizzazione. Infatti sorprende che si dia più spazio nei commenti alla forma in cui è stato trasmesso il comunicato che al contenuto stesso. Sono più eloquenti i gesti, la scenografia e le inflessioni della voce che le parole. Gli esperti del ministero dell’Interno spagnolo analizzano ogni particolare cercando di scoprire un segno di credibilità che le parole non hanno più. Ecco perché una voce femminile uguale a quella del comunicato del 50º, ma diversa da quello del 2006, dove si parlava di un “cessate il fuoco permanente”, lascia un po’ sorpresi.

Se stiamo all’opinione di Jon Juaristi, una personalità che ha fatto il percorso quasi completo dello spettro politico, inclusa l’Eta da giovane, il comunicato non presenta “la minima novità” e sottolinea le solite cose: «la disposizione dell’Eta a optare per nuove vie se dal governo si toglie il bloccaggio politico che impedisce raggiungere l’indipendenza ed il socialismo mediante procedure democratiche». Ma appunto gli atti terroristici protrattisi per mezzo secolo minano la credibilità delle parole.

Non è che il comunicato di ieri sia stato ignorato. Al contrario. Non c’è sede politica in cui non sia stato letto con la lente d’ingrandimento, e tutti concordano nel consigliare prudenza davanti a chi dice di aver presso una decisione mesi fa e la manifesta solo ora. Il ministro dell’Interno Alfredo Pérez Rubalcaba ha deciso di non rispondere al comunicato per non dargli «una rilevanza che non ha», lasciando questo compito al suo corrispondente nel governo autonomo basco.

Volendo leggere un filo di speranza in segni esterni al comunicato, forse meritano un po’ d’attenzione le dichiarazioni del giornalista della BBC che ha fatto da tramite per la diffusione del video. Secondo Clive Myrie, l’attivista dell’Eta con cui aveva parlato gli aveva assicurato che all’interno dell’organizazione si stava considerando sul serio di fermare la lotta armata, chiedendosi se la violenza «non sarà un ostacolo alla causa del nazionalismo basco anziché un aiuto».

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