Esterno notte, Bellocchio sul caso Moro

Un lungo film da 6 episodi totali di cui è uscita nelle sale la prima parte racconta la prigionia di Moro da un punto di vista esterno. Nelle prime ore della narrazione incontriamo la persona di Moro in tutta la sua quotidiana bellezza
Esterno notte
Foto Stefano Colarieti / LaPresse

Marco Bellocchio torna, 19 anni dopo Buongiorno, Notte, a dedicare il suo cinema alla tragedia di Aldo Moro: a quella profonda e scurissima notte italiana senz’alba. Poco cambia che non lo faccia con un classico lungometraggio ma con una serie dal titolo Esterno Notte, presentata – nei suoi 6 episodi totali – al Festival di Cannes lo scorso maggio. Possiamo considerarla, in fondo, come un film di 5 ore e mezzo, visibilmente e tattilmente bellocchiano, visionario, forte, libero, onirico, ma anche con sfumature dal sapore sorrentiniano. Un film fatto di passaggi più storici, tanti, i migliori, ed altri più enfatici, creativi, non sempre tra i migliori.

Una lunga opera cinematografica, dunque, non a caso uscita in sala in due tranches da quasi tre ore l’una (o tre puntate) in questi giorni: il 18 maggio la prima; il 9 giugno la seconda. La serie completa verrà trasmessa su Rai1 nel prossimo autunno, e rispetto al film del 2003, liberamente tratto dal libro Il prigioniero della brigatista Anna Laura Braghetti, qui il protagonista, come dice il titolo stesso, è l’esterno della prigione di Moro: la politica, la sua famiglia (con in testa la moglie Eleonora), lo Stato italiano, il Vaticano, l’America e le Brigate rosse durante quella notte lunga 55 – ancora dolorosi – giorni.

È una sorta di controcampo del film, la serie Esterno notte, con quasi un personaggio raccontato per puntata: un po’ come accaduto in alcune stagioni di The Crown, ma qui con meno sobrietà e più espressionismo visivo. Un po’, anche, come nella potente serie When They see us. C’è Moro nel primo episodio, interpretato da un mimetico e affidabilissimo Fabrizio Gifuni, il cui pedinamento va dal 12 al 16 marzo 1978: per riavvolgere il suo delicato lavoro politico, avventuroso, lungimirante, pericoloso, riguardo il compromesso storico con il PCI. Sono gli ultimi 4 giorni prima dell’eccidio di via Fani, nel giorno in cui si sarebbe dovuto insediare il nuovo governo Andreotti. Sono tra i passaggi più incisivi della serie (stando alle prime tre puntate alle quali questa riflessione fa riferimento): incontriamo il Moro pubblico e la sua stupenda persona. Il politico che parla ai democristiani, con Paolo VI nei giardini vaticani e con Berlinguer in auto. Chiedendogli, e chiedendosi, se gli uomini delle rispettive scorte, che discutono di calcio fuori dai veicoli amichevolmente, di fronte al Palatino, senza diffidenza e senza distanza per le diverse ideologie, stiano più avanti di loro. Moro osservatore attento e riflessivo; Moro padre e marito, che non riesce a nascondere i suoi timori alla moglie. Moro semplice, tenero e umano. Moro nonno, che se il nipotino dorme da loro, anche lui dorme meglio, e quindi chiede a sua figlia nuovamente questa cortesia. Moro sano, positivo, naturalmente ma anche abbondantemente fino quasi al cristologico. Moro Anima persa, come recita il cartellone del film di Dino Risi che vediamo sullo sfondo degli scontri. Moro ritratto, almeno nei primi tre episodi visti finora, da Bellocchio e dai suoi sceneggiatori (Stefano Bises, Ludovica Rampoldi e Davide Serino) con un sentimento forte di vicinanza e con il dolore ancora vivo per la sua sorte che fu privata, non dimentichiamolo mai, ma fortemente anche pubblica: la pagina più delicata della storia repubblicana italiana.

Un punto di svolta sempre amaramente accompagnato (e i due lavori di Bellocchio lo esprimono entrambi) dal desiderio, sogno del what if con un finale diverso, con la liberazione. Il quadro storico di Esterno notte, il drammatico racconto di quell’Italia, è mescolato allo smarrimento, al dolore personale, alla confusione, all’inadeguatezza, alle ambiguità umane di fronte a un fatto così enorme e sconvolgente. Entriamo così nell’eterno conflitto tra le regole opprimenti del potere e la bellezza e la libertà dell’amore, in una serie che accumula tanto materiale storico e psicologico, compresi tanti sentimenti, che però, se in Moro vengono espressi con linearità e chiarezza, negli altri personaggi, in primis nel Francesco Cossiga di un eccezionale Fausto Russo Alesi, trovano qua e là sfumature di grottesco che ne limitano in parte la forza comunicativa, figlie di una comunque rispettabile libertà espressiva che lavora di continuo per accentuare la solitudine dello statista e la crisi profonda che il suo sequestro produsse nell’allora ancora giovane, e in quel momento fragile e vacillante, democrazia italiana. Accanto a Cossiga, in un’altra puntata della prima parte, ha molto spazio il Paolo VI di Toni Servillo, anche lui segnato da un dolore autentico e profondo, mentre andando avanti troveremo il punto di vista dei sequestratori e quello di Eleonora Moro, ottimamente interpretata da Margherita Buy: tutti, rashomonicamente – grazie alle capacità della serialità di soffermarsi su tanti dettagli e personaggi –  orbitanti intorno a questo ancora sanguinante crocevia della storia italiana, sul quale è bene non abbassare mai lo sguardo, non spegnere mai la sana costruzione e desiderio di memoria. E in questo lo strumento dell’arte, anche con la sua capacità di andare oltre la realtà per afferrarla meglio, non può mai essere considerato a priori inutile o dannoso. Al contrario, è di prezioso sostegno, a patto che quell’arte, ben compreso il cinema, si spenda al completo servizio della società, ne sia alleato onestissimo, strumento per comprendere, crescere, migliorare. Esterno notte ci riesce soprattutto quando lavora sulla storia, quando entra nella complessità di quella pagina e sugli altrettanto complessi – e storici – perché di quell’Italia, che tutta, fu incapace di salvare uno dei suoi uomini migliori. Di meno quando insiste sui dettagli più intimi di alcuni dei personaggi raccontati.

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