Essere parte per prendere parte
Cinque milioni di lavoratori e pensionati rispondono al quesito referendario per dare il loro parere riguardo all’accordo sul welfare; tre milioni e mezzo approfittano della angusta finestra che il palazzo della politica apre per partecipare alla costruzione della sfida del Partito democratico; quasi ogni giorno scende in piazza un numero variabile, ma sempre incredibilmente alto, di persone che chiedono di partecipare alle decisioni. C’è qualcosa di sotteso a questi distinti eventi: i cittadini esprimono la forte volontà di partecipare e danno vita ad atti politici. Il messaggio è chiaro: basta con i palazzi chiusi, con i salotti buoni, in cui le strategie vengono decise lontano dalla gente. Qualche studioso, affrontando il tema della partecipazione, ha scomodato Copernico. Dare spazio oggi alla partecipazione sarebbe la vera autentica rivoluzione: passare, cioè, da un sistema tolemaico – in cui il potere è concentrato in un unico punto fisso – ad un sistema complesso dove forze contrapposte si mettono in rapporto secondo equilibri intelligenti e diventano capaci così di un disegno finale. Ma se si vuole prendere parte, occorre anche essere parte, farsi parte. L’estrema complessità della società civile diventa ricchezza se si mette in rapporto con la necessità di sintesi che la politica richiede. Questa fisionomia nuova, questo essere parte di un tutto, si delinea oggi secondo tre caratteri, già in atto nella parte più responsabile della nostra società. La reciprocità. La consapevolezza del noi, della reciproca appartenenza, ha la necessità di essere coltivata e consolidata ad ogni livello. Qualunque sia la posizione che occupiamo nella realtà sociale in cui siamo. L’esperienza di assumere nella nostra vita quotidiana uno sguardo largo, uno sguardo d’amore, ci può rendere capaci, ognuno, di aprire strade nuove. Il positivo può partire da qualsiasi punto, e da lì contagiare. Non importa quale sia il nostro posto: primo cittadino, casalinga, imprenditore. Abbiamo in mano un filo che va intrecciato con quello degli altri per tessere la storia della nostra comunità. Orizzonte globale. Oggi è necessario partire dal dato di fatto che la storia dell’umanità è caratterizzata da un rapporto di interdipendenza. Le esemplificazioni sono evidenti: la ricerca della pace, la difesa dell’ambiente, lo sviluppo della scienza, le comunicazioni. Sono sfide a cui è possibile dare una risposta efficace, una parola forte, solo con sforzi creativi proporzionati alle sfide, solo se partiamo dal riconoscimento del legame universale della fraternità. Quindi la sfida è quella di abituarsi a ragionare in politica tenendo conto che la comunità politica fondamentale è l’umanità, e abbandonare così, come chiave di lettura e di progettazione politica, la stretta visuale del proprio angolo di mondo, per riconoscere e assumere che, se ogni uomo è mio fratello, allora il suo progetto di vita è il mio, la sua aspettativa di vita è la mia, gli ostacoli che frenano il suo sviluppo e quello del suo popolo sono miei. Allora il bilancio del mio comune o del mio Stato si struttura e si relativizza su un tale orizzonte. Azioni comuni. Occorre trovare il modo di interagire, di impegnarsi insieme in azioni costruttive che vedano i soggetti della politica, giovani e adulti, protagonisti assieme, ognuno forte della propria responsabilità e autonomia, ma capaci, assieme, di studio e mobilitazione per il bene comune. L’obiettivo è quello di creare alleanze per risolvere insieme i problemi; i soggetti sono gli stessi, ma il rapporto tra loro potenzia la parte di ciascuno e a ciascuno viene chiesto quello che sa fare, non altro, non di più. Questa è la svolta politica oggi. Le conseguenze? Una fra tutte. I partiti potrebbero far ricordare, assumendo un nuovo modo di agire, più la parola pars, parte, parte di una molteplicità, piuttosto che la parola partior, divido, come radice del loro significato.