Essere ebrei a Roma
Ormai anche l’atipica cupola alluminio della grande Sinagoga, quella sul Lungotevere Cenci, ha finito per integrarsi nel panorama romano dominato da altre cupole, barocche. Simboleggia, maestosa costruzione eretta dopo ritrovata libertà dal Ghetto, la presenza ininterrotta nella capitale di una minoranza che, fra umiliazioni e limitazioni alla sua libertà, ha saputo resistere all’ostilità degli uomini e in genere ad ogni evento negativo abbattutosi su Roma. Una comunità che pagato un elevato prezzo di sangue con l’occupazione nazista, esposta anni recenti al terrorismo palestinese e che, sempre esprimendo una cultura forte e di alto livello, è riuscita in definitiva a farsi accettare. Del resto, se cerchiamo dei cittadini autenticamente romani, con radici profonde in questa città crogiuolo di razze e di popoli, dobbiamo rivolgerci proprio alla comunità ebraica. Gli ebrei che vivono all’ombra del Campidoglio, integrati e operanti nei più disparati campi di attività, discendono dai gruppi qui giunti da luoghi diversi e in epoche diverse. Il primo nucleo si affacciò ai tempi dell’espansione di Roma nel Mediterraneo, nel II secolo a.C.; un gruppo più consistente arrivò dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme ad opera delle armate di Tito; altri si rifugiarono qui nei secoli XV e XVI, quando i re cattolici di Spagna e l’Inquisizione vollero liberare la penisola iberica e i loro possedimenti dell’Italia meridionale e della Sicilia dalla “ingombrante” presenza ebraica. Poi, per circa tre secoli, il forzato confino nel Ghetto, pur senza subire mai veri e propri attentati all’integrità fisica dei suoi membri. Un periodo doloroso, di restrizioni, che vide il progressivo impoverimento della popolazione di origine ebraica – tra le 3000 e le 7000 anime a seconda dei periodi – ed ebbe termine solo dopo l’annessione di RomaUna volta eliminata l’infamia di un “luogo separato” per loro, gli ebrei romani si ridistribuirono sull’intero territorio cittadino. Ad essi si aggiunsero altri correligionari dalle diverse città italiane; e negli anni Trenta gli esuli dall’Europa centrale e orientale, alcuni solo di passaggio, dopo la seconda guerra mondiale, nel loro viaggio verso Israele; altri per fermarsi. L’ultimo consistente nucleo è rappresentato dai 3000 ebrei giunti nel 1967 dopo la guerra dei Sei giorni. Attualmente, con le sue circa 15 mila presenze, quella romana si presenta come la comunità ebraica più numerosa in Italia oltre che come la più antica d’Europa. Certo, una comunità composta di tante “anime” quanti sono i tipi di identità espressi dalla “piazza”, dai benestanti e dagli intellettuali, ma sostanzialmente unita. Numerose, in tempi recenti, le occasioni valse a rafforzare ulteriormente, tra i suoi membri, la città di Roma e la chiesa, i legami di comprensione reciproca, di fiducia e di amicizia. In effetti, sulla bocca dei romani odierni la parola “Ghetto” non suona affatto spregiativa: essa designa familiarmente una zona a loro cara all’interno del rione Sant’Angelo, caratteristica per le trattorie frequentate da chi desidera gustare cibi e dolci della tradizione ebraica, per le botteghe artigiane e i magazzini all’ingrosso dove è possibile fare buoni acquisti a prezzi accessibili, e per certi angolini deliziosi che, richiamando la “Roma sparita” di Franz Roesler, rappresentano rare oasi di quiete al riparo dal traffico cittadino. Particolarmente suggestiva è l’atmosfera che si avverte il venerdì sera, all’inizio di Shabbat e il giorno successivo, oppure nelle festività ebraiche (il Capodanno, il giorno dell’Espiazione, la Festa delle luci, la Pasqua”), quando le strade interne del Ghetto diventano punto d’incontro per giovani e famiglie. Oggi, dopo le demolizioni postunitarie, ciò che rimane di questo antico “luogo separato” è interessato da notevoli interventi di recupero urbano ed edilizio. Come la risistemazione risistemazione dell’area del Portico di Ottavia e l’apertura di un suggestivo itinerario archeologico che, sfiorando il Teatro di Marcello, ricollega il quartiere alle pendici del Campidoglio. Come altri restauri ancora in corso o in progetto, che mirando ad arrestare lo “svuotamento” inevitabile in un contesto di degrado edilizio, dovrebbero rivitalizzare anche il tessuto sociale di questo lembo del centro storico. Il nostro itinerario si conclude davanti alla grande Sinagoga o Tempio Maggiore dalla caratteristica cupola a padiglione. In stile eclettico, che fonde motivi greco-romani con quelli assirobabilonesi, si prepara a festeggiare nel 2004 il centenario della sua inaugurazione. Imperdibile la visita all’annesso museo, che ospita le raccolte storicoartistiche della comunità e in particolare gli arredi liturgici provenienti dalle scomparse Cinque Scole (o sinagoghe). In via di ampliamento e rinnovamento, documenta – pur con gli innegabili momenti di crisi – un legame saldo e continuo con la Città Eterna. DAL GHETTO ALLA CITTÀ È il titolo di una bella mostra documentaria, svoltasi quest’anno al Vittoriano, sulla storia millenaria della comunità ebraica romana prima, durante e dopo il Ghetto. Eventi di ieri e di oggi,festività e tradizioni,riti e arredi sacri, attività commerciali ed economiche di respiro anche nazionale ed internazionale, hanno evidenziato l’apporto di una presenza capace di restituire – nel contesto piuttosto caotico e dispersivo di valori umani della capitale – l’immagine di una vita fatta di dignità e lavoro, ancorata all’osservanza ebraica e al messaggio di pace di cui da sempre essa è tramite. (catalogo “Oltre il Duemila”, S.r.l. – Roma)