Essere ciò che veramente si è

ad essere sé stessi, essere autentici, essere ciò che veramente si è, ecc… ma un invito del genere, sapendo com’è la natura umana, non significa forse mettere in libertà la nostra cattiveria, malvagità, distruttività? . Daniela – Treviso Una prassi consolidata di quasi tutte le psicoterapie prevede che il paziente lasci manifestare dentro di sé quei sentimenti che di solito tende a rifiutare, allo scopo di sperimentare gli aspetti sconosciuti di sé stesso, allo scopo di guardare e accettare la parte oscura dove si annidano i nostri difetti, limiti, imperfezioni, ecc., a cui Jung ha dato il nome di Ombra. Ma per qualcuno una cosa del genere significa, in poche parole, mettere in libertà una specie di mostro. L’esperienza clinica contraddice tale timore, perché il paziente si accorge gradualmente che può vivere la propria rabbia quando questa è la sua reale reazione, ma si accorge anche che una rabbia così accettata o trasparente, non è distruttiva. Vede che può vivere la propria paura, ma che farlo in modo consapevole non lo annienta. Vede che può essere pietoso con sé stesso e che ciò non è cattivo. Sente di poter vivere i propri impulsi affettivi o i propri sentimenti di pigrizia o i propri sentimenti ostili senza che il tetto del mondo crolli. Quanto più insomma egli è in grado di permettere a questi sentimenti di scorrere e di esistere in lui, tanto più essi assumono un loro posto appropriato nell’armonia globale della sua vita. Scopre di avere altri sentimenti con cui questi si confondono e trovano un equilibrio. Si sente attento, tenero, rispettoso e disposto alla collaborazione e allo stesso tempo, ostile, sensuale, collerico. Avverte interesse, entusiasmo, curiosità e allo stesso tempo indolenza e apatia. Si sente coraggioso e allo stesso tempo pieno di timore. I suoi sentimenti, quando li vive con intensità e li accetta nella loro complessità, operano in armonia costruttiva, invece di trascinarlo su una strada irrimediabilmente sbagliata. Eppure forte resta l’idea che se un individuo dovesse essere quello che veramente è, emergerebbe la bestia che è in lui. Un discorso simile non è del tutto esatto e forse è opportuno dare uno sguardo più attento alle bestie stesse, come per esempio al leone che è considerato il simbolo della bestia da preda. Ma che cosa si può dire su di lui? Scrive Rogers in La terapia centrata sul cliente: A meno che non sia stato molto modificato dal contatto con l’uomo, egli ha molte delle qualità accennate prima. Uccide quando ha fame, è vero, ma non continua in un violento e selvaggio contegno di uccisore, né si nutre senza bisogno. Mantiene la sua armonia meglio di molti di noi. È bisognoso di aiuto e dipendente quando è un cucciolo, ma progredisce da questo stadio verso l’indipendenza. Non si aggrappa alla dipendenza. È egoista ed egocentrico nell’infanzia, ma nell’età adulta mostra un grado ragionevole di cooperatività, nutrendo, prendendosi cura e proteggendo i suoi piccoli. Appaga i propri istinti sessuali, ma ciò non significa che cerchi selvagge orge sessuali. Le tendenze e gli impulsi coesistono in lui in piena armonia. Egli è, essenzialmente un membro costruttivo e degno di fiducia della specie Felix leo. Ma gli psicologi che invitano ad essere sé stessi, non vanno fraintesi: non hanno un’opinione della natura umana ingenuamente ottimista, sono coscienti che oltre ad assumere atteggiamenti di difesa e di paura, gli uomini possono comportarsi anche in modo incredibilmente crudele, sanno essere orribilmente distruttivi, immaturi, regressivi, antisociali, nocivi; eppure, nonostante ciò, essi sono convinti che il nucleo della nostra natura umana è essenzialmente positivo. Rogers per esempio, lavorando in migliaia di ore di terapia e di ricerca ha colto delle verità psicologiche del tipo: Nelle persone vi è una forza che ha una direzione fondamentalmente positiva, Mi sono reso conto che non produce alcun frutto, a lungo andare, nei rapporti interpersonali, comportarsi come se si fosse diversi da come si è, Ho costatato che ha un grande valore per me comprendere un’altra persona, Ciò che è più personale è più generale. Quanto vi è di più personale ed unico in ciascuno di noi è l’elemento che, se partecipato o espresso, parlerebbe agli altri nel modo più profondo.

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