Essere Chiesa insieme
Oggi arriva alle conclusioni il Convegno di Firenze, un convegno della Chiesa con tutte le sue componenti che sulla base di riflessioni ed esperienze condivise si può dire, senza proclami e dichiarazioni di intenti, ha guardato davvero oltre se stesso e messo in atto, come laboratorio, quello che voleva prospettare: la possibilità di condivisione ed analisi di ciò che viene attuato nelle chiese locali per andar oltre facendo una esperienza di discernimento comunitario in cui tutti, proprio tutti, si sentono coinvolti. Sì tutti, perché affianco a vescovi e sacerdoti, religiosi e religiose, associazioni e movimenti, tutti sono stati protagonisti in prima persona, anche quelli che simpaticamente durante un pranzo una signora ha definito, parlando di sé, i “laici sfusi”.
È questo il primo vissuto di chi ha partecipato a queste giornate: siamo chiesa insieme, lo siamo nel piccolo delle nostre comunità e chiese locali, lo siamo nella parrocchia e nei movimenti, lo siamo insieme. La certezza maturata è che solo insieme possiamo vedere cosa ci è chiesto come chiesa per essere al servizio dell’uomo, ma questo insieme è fatto di una collaborazione a rete e di un agire personale, di un attivarsi come singola comunità parrocchiale, religiosa od associativa che sia, confidando e collaborando con le altre forze in campo. Con quelle interne alla chiesa cattolica che si riscoprono non divise in etichette e strutture giuridiche, ma espressioni dell’unica chiesa, con quelle delle altre chiese, delle altre religioni, degli uomini che concorrono in molti modi alla difesa e promozione delle persone nei loro bisogni, per la loro realizzazione.
Lo hanno sperimentato tutti i convegnisti, nell’orizzonte della chiesa locale fiorentina, con la preghiera ecumenica a cui hanno partecipato la pastora della chiesa valdese e il sacerdote responsabile della chiesa ortodossa russa e con l’incontro con il rabbino capo e con l’Iman della moschea.
I due momenti costitutivi del convegno sono stati l’intervento del papa e i lavori dei tavoli di discernimento comunitario sulle cinque vie determinate per rendere operativa la Evangelii gaudium e trovare modalità concrete di vivere l’attenzione, l’amore all’uomo.
Il papa ha aperto un orizzonte ampio, tutto fondato sulla vita che scaturisce dall’ascolto della parola del vangelo e che è servizio all’uomo, ma la cosa che può stupire è che i lavori di questi tavoli di discernimento hanno in qualche modo attuato subito, nel vissuto del confronto e del dialogo, quella chiesa che papa Francesco prospettava e che è risultata possibile, viva. Nell’umile offrire la propria esperienza, nel disinteressato prospettare ipotesi di lavoro, nella gioiosa condivisione che ha illuminato i visi di tanti – i tavoli, nel loro essere composti di tutte le componenti della comunità ecclesiale – hanno offerto ai partecipanti un metodo di lavoro, una modalità di essere chiesa che potremmo definire con i termini di papa Francesco “concreta ed essenziale”.
Due poli, il richiamo del papa alla vita evangelica ed i tavoli di discernimento comunitario, da cui si può sprigionare un arco di luce, quello dell’articolata vita della chiesa italiana in cui ognuno dei membri e dei corpi ecclesiali può ritrovare il suo posto ed essere apprezzato e aiutato dagli altri. L’immagine del vescovo sostenuto sull’autobus dai suoi fedeli, utilizzata dal papa, può essere utilizzata per ogni componente e per ogni comunità se ci mettiamo in una sincera e concreta prospettiva di unità.
Un arco di luce possibile in ogni contesto, in ogni parrocchia e diocesi, che nell’ascolto delle domande attuali del vangelo e dell’Evangelii Gaudium e nel discernimento comunitario di tutte le componenti ecclesiali può aprirci gli occhi per guardare ai bisogni degli uomini di cui possiamo farci accompagnatori.
Il laboratorio di Firenze si conclude, la pista di lavoro per le chiese locali in Italia si apre.