Essere amore nella Famiglia del Cottolengo
“Il mondo dell’umana sofferenza invoca, per così dire, senza sosta un altro mondo: quello dell’amore umano; e quell’amore disinteressato, che si desta nel suo cuore e nelle sue opere, l’uomo lo deve in un certo senso alla sofferenza”, così si esprimeva Giovanni Paolo II.1.
Non potevo ancora conoscere queste parole, al tempo in cui l’abisso del non-senso appariva nero, sullo sfondo dei miei giorni, e il velo dell’apatia copriva e soffocava l’entusiasmo e la spensieratezza dei miei giovani anni. Era la sofferenza di vivere senza dare risposta al “per Chi” potevo esistere e al “ perché” poteva avere senso alzarmi al mattino, andare al lavoro, impegnarmi per gli altri.
Dentro quei momenti tristi e dolorosi, l’urlo silenzioso che mi saliva dal profondo è stato ascoltato proprio là, in quel luogo doloroso e meraviglioso che è il “ Cottolengo”. Rimasi sorpresa e stupita quando mi accorsi che le persone residenti in quella Casa, segnate dalla fragilità e dalla debolezza, diventavano per me la mano tesa, lo sguardo accogliente, il sorriso che mi regalava nuova vita.
Potenza dell’Amore che, spesso, è pensato solamente come la possibilità di chi, avendo forze, energie, risorse, va verso chi è in difficoltà. Potenza disarmante dell’Amore che si spande, invece, discreto, proprio dalla fragilità, dal mondo della debolezza, della piccolezza e, mentre si rivela, scopre gli abissi dell’anima, li denuda per raccoglierli poi in uno sguardo che attende relazione, amicizia, dono. È uno sguardo che apre, chiama e avvicina: si fida e si affida.
Una scelta d’amore
Ormai da 25 anni, come consacrata a Dio nel servizio ai poveri, appartengo alla Famiglia Cottolenghina: sono fiera oltre che felice di far parte di questa realtà carismatica. Penso sempre che anch’io ho trovato casa qui, sotto le ali della Divina Provvidenza.
Da quando è nata, questa Piccola Casa della Divina Provvidenza ha sempre avuto le porte aperte primariamente “a chi non aveva persona che pensasse a lui”, secondo il desiderio di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, suo fondatore, o “manovale” della Divina Provvidenza, come amava definirsi lui stesso.
In Italia come in Europa, in Africa come in India o nel Sudamerica, dovunque, “noi siamo qui per amare unicamente Iddio e dargli gusto in ogni cosa”2, riconoscendo nei più poveri l’immagine viva di Gesù e servendo “con la massima espansione di carità, tenerezza e di zelo”3.
Una Casa, una familiarità semplice, un cuore che pulsa perché la vita sia protetta. Ci sta a cuore la vita. Quando sono arrivata alla Piccola Casa nei miei vent’anni carichi di energia, ho visto che la vita era amata, rispettata, protetta, promossa e ad una fragilità e debolezza più grande si rispondeva con maggior cura e attenzione.
E mentre sentivo l’impetuoso torrente dei miei pensieri, sentimenti ed emozioni che correva libero nel felice desiderio di regalare l’acqua fresca della mia giovinezza, il cuore batteva di gioia all’ascolto della Parola di Gesù, una Parola piena di umanità, di forza, di tenerezza: “voi siete il sale della terra (…) voi siete la luce del mondo” (Mt 5, 13.14); “non temere piccolo gregge”(Lc 12, 32).
Così, sempre più forte, è stato il desiderio di condividere, tutto, anche la vita. Sì, quando ho incontrato le sorelle e i fratelli cottolenghini religiosi o laici, sani o in difficoltà, ho sentito che con loro avrei conosciuto più profondamente l’Amore e avrei potuto amare; avrei potuto vivere pienamente la mia vita bevendo alla stessa Fonte e imparando a dare senso ad ogni piccolo gesto e ad ogni attimo presente.
Collaborazione attiva e appassionata
Attualmente vivo nella Piccola Casa della Divina Provvidenza a Torino nella famiglia chiamata SS. Innocenti che ospita dieci piccoli nuclei abitativi. La casa accoglie persone con una disabilità di base psichica: dai lievi ai gravi. Nella famiglia è inserita la comunità di sorelle di cui faccio parte: insieme ci sosteniamo, incoraggiamo e ci aiutiamo, perché ciascuna possa offrire il suo servizio che, oggi, per me è di coordinamento all’interno dell’equipe educativa. Nell’assistenza diretta alla persona noi religiose siamo coadiuvate da personale laico che, nel rispetto di ruoli e competenze, collabora per una miglior qualità di vita degli ospiti.
Penso che l’ingresso massiccio, da qualche anno a questa parte, di personale laico sia uno dei “mille modi di provvedere della Divina Provvidenza” di cui era convinto il Cottolengo: spetta a noi ricercare vie possibili per una collaborazione attiva e appassionata. Vedo quanto bisogno emerga, da parte degli operatori e operatrici, di un rapporto caldo e fiducioso che non precluda la via al servizio, dove competenza e senso di responsabilità non vengano elusi e dove, nello stesso tempo, non venga a mancare quel calore umano che caratterizza le relazioni più vere e profonde.
D’altra parte come pure ci ricorda Papa Benedetto XVI: “La competenza professionale è una prima fondamentale necessità, ma da sola non basta. Si tratta, infatti, di esseri umani, e gli esseri umani necessitano sempre di qualcosa in più di una cura solo tecnicamente corretta. Hanno bisogno di umanità. Hanno bisogno dell’attenzione del cuore”4.
Quando l’operatrice E. mi chiama perché si accorge che G. è triste, io la ringrazio perché mi accorgo che è attenta, che le sta a cuore, si preoccupa per lei, e insieme cerchiamo di capire cosa possiamo fare. L’amore è fatto di piccole sfumature che lasciano il sapore della gioia che nessuno ci potrà mai rubare.
Le giornate, apparentemente tutte uguali, sono cariche di quella novità che appartiene alle miriadi di possibilità e risorse che ciascuno possiede e che, con pazienza, osservazione ed intuito possono emergere ed essere sostenute e valorizzate. Le attività creative proprie dei laboratori artistici, ne offrono molte occasioni. Com’è bello vedere quei “getti di colore” che escono dai pennelli e, prima ancora, dal misterioso mondo delle sensazione ed emozioni che una persona con disabilità grave, vuol esprimere: spruzzi di gioia? pennellate di affetto? vie verso il cielo? raggi di sole? Il percorso dell’ampio corridoio della casa tra quei quadri “unici” d’autore, sembra il passaggio in una galleria d’arte.
Aiutare la persona
Grazie all’elaborazione di Progetti Individuali cerchiamo insieme, lavorando in sinergia tra le diverse figure professionali e avvalendoci dell’interdisciplinarietà, d’intravedere obiettivi raggiungibili che aiutino la persona a stare bene con se stessa, con le persone con le quali vive e con l’ambiente circostante, mediante strumenti, attività e modalità relazionali pensate appositamente.
In questo lavoro, conoscere più da vicino le storie di vita delle persone che abitano nella nostra “famiglia”, ci aiuta a comprendere meglio la loro situazione: dentro “ voragini affettive”, bisogni inespressi, dentro aggressività latenti o esplosioni di rabbia, impariamo ad avvicinarci a loro con l’attenzione che si fa rispetto e riguardo per ciascuno. Riguardo, cioè quel rispondere allo sguardo della persona con uno sguardo che l’accoglie incondizionatamente e che le dice, ancor prima della parola stessa: “Ti voglio bene”, “Voglio che tu ci sia”.
Penso a G. e alla sua difficoltà di gestire la gelosia e l’ira: nel momento della difficoltà ha bisogno di uno sguardo colmo di pazienza, di amore, di forza e tenerezza che le dica: “Coraggio, ti capisco nella tua estrema difficoltà. Non avere paura. Ce la puoi fare”. Passa la bufera e quel “Acie” (grazie) espresso con fatica dice la bellezza di una relazione che sa di affidamento, di protezione, d’incoraggiamento e di vita.
Anch’io ho bisogno, nelle mille emozioni di ogni giorno, di sentire che qualcuno mi accoglie sempre, comunque, senza condizioni: so che Gesù fa questo con me. So che Gesù fa questo con ciascuno di noi. Tanto più conosco l’amore di Gesù e la sua splendida umanità, riflesso della sua divinità, tanto più desidero assomigliarGli e tanto più desidero farlo conoscere.
Non di solo pane vive l’uomo
Nello scorrere dei giorni cerchiamo di porre attenzione ai bisogni primari delle persone che riguardano la cura di ciascuno: “Non è tutto dare il pane o la minestra”, dirà S. Vincenzo alla sua novizia, ma è il “ come si dà”, che fa la differenza.
A. rifiuta qualche volta il cibo. Noi però la conosciamo e sappiamo che, se riusciamo a rassicurarla che quel cibo le fa bene e che in questo modo potrà continuare a fare le attività che le piacciono tanto, come la piscina, allora lei mangia tranquilla.
Ogni giorno è un giorno nuovo e unico e, particolarmente per la persona con disabilità psichica che vive il presente, c’è bisogno di ridare continuamente sicurezza, qui e ora. Ci sono bisogni materiali, ma ci sono anche bisogni che abbracciano la sfera affettiva: quando F. porta la mano all’orecchio, e pronuncia la parola “vavà” (papà), dà voce al suo desiderio di telefonargli e quando lo sente, il sorriso e il battito delle mani sono chiare manifestazioni di una gioia piena, colma.
E ci sono i bisogni immateriali, quelli che riguardano “l’Oltre”, ciò che non avrà mai fine, nemmeno con la morte. L’attenzione a questo bisogno-desiderio è molto alta qui, nella nostra famiglia: esprime l’intenzione di fedeltà ad un carisma che vuole l’attenzione alla trasmissione del messaggio evangelico tanto quanto l’attenzione al pane quotidiano. Il primo pane è Gesù Eucaristia: “Da Gesù ha da venire la forza per sostenervi nella vita”5; in Lui abbiamo la vita e nella sua Provvidenza Egli non ci fa mancare il necessario per vivere.
Come una lampada accesa
Se il ricordo di Gesù vive nei diversi momenti della giornata, c’è però il tempo splendido dedicato alla catechesi dove siamo lì, insieme, per conoscere Gesù, aprire a Lui il nostro cuore, ringraziarlo, imparare da Lui ad amarci l’un l’altro. La preghiera è sicuramente l’espressione dell’affidamento a Colui che ci è caro, che ci conosce, ci capisce, “che più pensa Egli a noi, di quanto noi stessi pensiamo a Lui”6, che ci dà la certezza della vita e della felicità che non avrà mai fine.
Quando, durante i tempi dedicati alla preghiera quotidiana e specialmente nel silenzio della sera, mi fermo nella piccola cappellina alla presenza di Gesù, lo sguardo cade spesso sulla lampada accesa: arde silenziosa e richiama la presenza di Dio: Lo rivela consumandosi. Penso che sarebbe bello se anche la mia vita, colma dell’olio dell’amore, risplendesse per rivelare e raccontare la certezza della Presenza che salva, solleva, rincuora, non ci lascia mai soli.
Nei giorni di Natale abbiamo ricevuto la notizia della morte di un nostro carissimo amico e volontario che aveva nei confronti di C. degli accenti di grande tenerezza: ballavano insieme quando veniva da noi. C. sa che A. non tornerà più a trovarci, diventa triste, ma congiunge le mani e dice: “Non torna più? Mi dispiace tanto. Prego per lui; è con Gesù”.
Mentre scrivo rivedo il suo volto, il suo sorriso dolce e penso alle centinaia di giovani o adulti che, con grande impegno e dedizione amorevole, vengono per regalare prima ancora che il loro tempo o le loro energie, loro stessi. Tutti i volontari sono sempre tanto attesi e amati. Il Papa ha per loro parole di apprezzamento: “Tale impegno costituisce per i giovani una scuola di vita che educa alla solidarietà e alla disponibilità a dare non semplicemente qualcosa, ma se stessi. All’anti-cultura della morte, che si esprime per esempio nella droga, si contrappone così l’amore che non cerca se stesso, ma che, proprio nella disponibilità a “perdere se stesso” per l’altro, si rivela come cultura di vita”7.
Un amore sempre più grande
L’esperienza del quotidiano spesso è segnata da fatiche e difficoltà di vario genere: non è raro provare scoraggiamento quando, nonostante l’impegno nel bene, sembra che le sacche di povertà si dilatino sempre più e i poveri diventino sempre più poveri, soli e dimenticati. Quando ho letto le parole di Benedetto XVI ho capito con maggior forza che “non è più tempo di perdere tempo” in sterili scoraggiamenti, ma di ricominciare ogni giorno ad amare poiché ciascuno “è uno strumento nelle mani del Signore (…) in umiltà farà quello che gli è possibile fare e affiderà il resto al Signore”8
La vicinanza ai fratelli e alle sorelle più fragili e delicati mi aiuta, giorno dopo giorno, ad accettare me stessa nel dono che sono e nei limiti che ho, ad esercitarmi in una relazione che matura nella pazienza e nell’amorevolezza. La bellezza della sponsalità, del mio essere sposa di Colui che mi ha scelto per stringermi a sé in un dono fedele, illumina l’anima e mi spinge a stare con Lui, dove Lui mi vuole: qui in questa famiglia sento che il mio senso materno si può esprimere in atteggiamenti e comportamenti che lo dilatano.
Sento e gioisco del mio essere “sposa, sorella e madre” e nutro una gratitudine senza confini nel vivere con questi miei fratelli e sorelle: sono loro stessi che accolgono me ogni giorno con tutto il cuore. Sentono che voglio loro bene. Ed io sento che mi vogliono bene. Insieme ci ricordiamo che Gesù ci ama per primo e sempre più di noi. Viviamo sicuri sotto il Suo sguardo.
Se questa oggi è la mia esperienza, credo di poter dire comunque che, pur tra le tante debolezze e i tanti limiti, dovunque opera un consacrato o una consacrata del Cottolengo, c’è un desiderio che prende forma: quello di dar lode alla Divina Provvidenza e di essere provvidenza per ogni fratello e sorella che s’incontra.
Dove c’è un consacrato o una consacrata del Cottolengo, c’è il desiderio di uno sguardo che si illumina e si apre all’accoglienza e alla bontà, alla gioia di vivere e a quella “allegria che non ha mai guastato la santità” come diceva il Cottolengo, e “i Santi sono i più contenti di tutti!”9.
Dove c’è un consacrato o una consacrata del Cottolengo c’è il desiderio di essere attenti a promuovere la dignità che, indelebile, appartiene ad ogni persona umana e fa di questa un prezioso tesoro, un capolavoro d’amore per l’intera umanità.
È il desiderio di quella Carità che ancora ci spinge ad alzare la vela della vita affinché il vento dello Spirito ci sospinga verso i fratelli e, insieme ad essi, possiamo un giorno approdare sulle rive familiari dell’Infinito Amore.
NOTE
1 Giovanni Paolo II, Salvifici Doloris, n. 29.
2 Cf. G. Cottolengo, Detti e Pensieri, a cura di Lino Piano, Edilibri, Milano 2005, nn. 4ss.
3 Cf. G. Cottolengo, Carteggio, a cura di Lino Piano, vol. II.
4 Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 31a.
5 Cf. G. Cottolengo, Detti e Pensieri, o. c., n. 98.
6 Ib., n. 57.
7 Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 30b.
8 Ib., n. 35.
9 G. Cottolengo, Detti e Pensieri, o. c., n. 77.