Si parla molto del ruolo decisivo dell’Europa per rispondere alle tante sfide globali che incidono sulla vita quotidiana degli abitanti il “Vecchio continente” interessato ad una guerra dagli esiti imprevedibili.
I cittadini della Ue sono stati invitati a partecipare ad una grande Conferenza sul futuro dell’Europa, di cui Città Nuova ha parlato, iniziata il 9 maggio 2021 nell’anniversario della Dichiarazione di Schumann del 1950 e conclusasi formalmente il 2 dicembre 2022. È stata solo una formalità o sarà in grado di produrre dei reali cambiamenti almeno a livello dei Paesi dell’Unione Europea?
La Conferenza sul Futuro dell’Europa è un percorso di partecipazione dei cittadini europei alla ridefinizione del futuro dell’Unione. Per conoscere i dettagli si può consultare il sito ufficiale: https://futureu.europa.eu/it/
La Conferenza si è conclusa con la consegna di una relazione finale ai Presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione, cui spetta ora dare seguito alle 49 proposte, articolate in 325 misure concrete, formulate dai cittadini.
Oggi siamo a metà strada fra il momento di conclusione della Conferenza, esattamente un anno fa, e le prossime elezioni europee.
Il Parlamento Europeo ha accolto e sottoscritto le 49 proposte della Conferenza adottando una risoluzione che propone emendamenti ai trattati – incluso quello di Dublino – secondo la procedura di revisione ordinaria.
Queste proposte sono state però bloccate dal Consiglio, con veti incrociati fra i capi di Stato e governo dei Paesi membri, che prendendo tempo ha chiesto che vengano indicati esattamente i singoli articoli dei trattati da modificare, e come.
Si sta quindi lavorando affinché nel prossimo luglio il Parlamento presenti al Consiglio un elenco dettagliato di tutti gli articoli dei trattati che vanno modificati per poter adempiere alle conclusioni della Conferenza sul Futuro dell’Europa. Fra questi ad esempio c’è la riforma della regola dell’unanimità con l’abolizione del potere di veto degli Stati membri nella maggior parte dei settori, oppure la possibilità di votare programmi e liste elettorali europee e non nazionali, votare il presidente della commissione, stabilire meccanismi stabili di dialogo fra i cittadini e le istituzioni europee, e in generale modifiche per una maggiore integrazione europea in materia di sanità, energia, difesa e politiche sociali ed economiche. Ci sono poi anche proposte che possono essere già applicate senza necessità di riforma dei trattati.
Si chiederà dunque alla presidenza spagnola di turno da luglio di avviare un processo negoziale con il Parlamento, che non è stato ancora avviato. Le proposte della Conferenza fatte proprie dal Parlamento, infatti, andranno negoziate col Consiglio e con la Commissione, quindi non necessariamente verranno recepite così come sono. Il processo negoziale, tuttavia, per essere avviato richiede solo la maggioranza favorevole di 14 membri su 27, che sembra quindi fattibile.
Le conclusioni del processo negoziale, quindi la riforma dei trattati, dovranno essere poi ratificate da tutti i Paesi membri per cui sarà fondamentale la pressione della base sui rispettivi governi.
Uno dei grandi problemi che questa riforma cerca di affrontare è che, almeno a partire dal 2009, il Consiglio dell’Unione ha cominciato a lavorare in maniera intergovernativa e non sovranazionale, com’era nello spirito dei trattati, e questo sta bloccando tutta la vita dell’Unione attraverso veti incrociati fra i Paesi. Ci vogliono strumenti, quindi, da inserire nei trattati per consentire di affrontare le questioni dei cittadini europei in maniera europea, sovranazionale e non intergovernativa.
Un’Europa più unita, federale e partecipativa avrà una voce più autorevole per disegnare un futuro di pace.