Mi chiamo Francesco e sono un papà preoccupato. Da quando mio figlio ha cambiato scuola, non è più lo stesso. All’inizio ero contento che uscisse con la sua nuova comitiva, ma ora vivo con apprensione l’arrivo del fine settimana. La scorsa domenica si è barricato in camera sua, ha perfino saltato il pranzo. Nel pomeriggio, ha parlato di problema intestinale, ma non vorrei che si fosse ubriacato o peggio. Ho anche paura a fargli domande: e se mi mentisse? Mi ha sempre raccontato tutto, non vorrei rovinare un così bel rapporto. Che devo fare?
Mio figlio beve: cosa faccio?
Questa è la domanda che si pone ogni adulto alle prese con la crescita dei figli. Specie quando ci si imbatte in qualcosa di anomalo, sospetto e potenzialmente pericoloso — come l’alcol, per esempio. Porsi la domanda è lecito, ma darsi una risposta è un obbligo: meglio farlo con cognizione di causa allora.
Meglio chiedere all’esperto… Peccato che ogni esperto filtri la realtà attraverso le lenti del proprio ambito di appartenenza. Chiedete a un sommelier cosa ne pensa dell’alcol. Poi chiedetelo a un barman, al proprietario di una vigna o di una cantina. E ancora: al medico, alla stradale, al SerD, ai media. Insomma, chiedetelo a chi vi pare e avrete tante risposte quante sono le anime su questa terra. C’è un solo fatto su cui tutti — tranne i filosofi — possono concordare: l’alcol esiste.
Lo psichiatra Carl Gustav Jung diceva che bisogna partire dai fatti prima di correre a fare teorie. E c’è un secondo fatto che può interessare il genitore preoccupato: dove ci sono persone, c’è alcol. Basta gettare uno sguardo alle vetrine dei locali, fuori dai bar o, più semplicemente, su una tavola imbandita. Fin qui, nulla di strano, giusto? Eppure, è in uno di questi scenari che si sarà trovato il figlio del genitore preoccupato…
Anzi, è molto probabile che sia così: “Nel 2021 7,7 milioni di italiani di età superiore a 11 anni (pari al 20% degli uomini e all’8,7% delle donne) hanno bevuto quantità di alcol tali da esporre la propria salute a rischio”[1]. D’accordo, parlare di alcol e rischio per la salute non dice molto. Ma forse un padre e una madre in apprensione avranno fatto caso a un certo dato: 11 anni…
Siamo circondati da adolescenti, ragazzi e ragazze che escono il sabato sera e si mettono in gioco fuori dal recinto sacro della scuola e della famiglia. E un brindisi aiuta, perché l’alcol mette euforia, abbassa i freni inibitori, ti fa stare bene. Certo, all’inizio. Poi vengono il calo di riflessi, la sonnolenza, gli sbalzi d’umore —e questo solo in acuto: inutile elencare le innumerevoli condizioni organiche cui l’uso abituale di alcol è correlato.
Ma questo gli adolescenti lo sanno! Perché, contrariamente a quanto credono molti genitori, i giovani sono svegli — spesso, anche più degli adulti. Hanno fame di vita, di nuove esperienze e sanno che c’è tutto un mondo da scoprire. Qualcosa che genitori sempre più anziani non comprendono più, convinti che tutto ciò che manca ai figli non sia altro che un po’ di sale in zucca. Quindi si domandano: Che devo fare?
Ho un’altra domanda: per questo figlio, che senso ha bere? Trovare il senso di un comportamento in famiglia è difficile, d’accordo. Ma diventa anche peggio quando si scambia un viscerale, ma vago, senso di familiarità con la consapevolezza di chi è l’altro. Finché non si entra nell’ottica di non sapere, di non conoscere, allora chiedersi che devo fare? sarà del tutto inutile. Per capire l’altro, bisogna prima ammettere che è altro da noi—anche quando è sangue del nostro sangue.
“L’ha fatto per imitare i suoi amici”. “Quindi se loro si buttano da un ponte…”. Classico. Eppure, questi adolescenti non sono fessi, è bene ripeterlo. Ubbidire al mandato genitoriale, all’etica propria o altrui, non è questione d’intelligenza. Non ci si prende una sbronza per ignoranza né per mancanza di carattere né per scemenza: è un fatto d’identità.
L’adolescenza, con la scoperta della mortalità—propria e altrui—e dell’amore—sentimentale e sessuale—, è il momento in cui le domande su sé stessi e sul mondo iniziano ad affiorare. Il dogmatico, ma sicuro mondo dell’infanzia va incontro alla disillusione dell’età adulta. È il momento della sperimentazione, bisogna scontrarsi con la realtà, quella ‘vera’, per cominciare a costruire un’esperienza che sia propria — non quella dei perché sì e perché no: servono risposte. Ma prima bisogna imparare a porsi le domande. Domande che risultano sconcertanti se cozzano con una visione del mondo semplicistica e semplificata.
Un esempio? L’alcol fa male. In un film i protagonisti danno una festa: brindano. Ci saranno multe più salate per guida in stato di ebbrezza. Al supermercato le birre sono in offerta. Il messaggio è chiaro: il mondo è pieno di contraddizioni.
Comprendere questo significa darsi la possibilità di affrontare senza pregiudizi il fisiologico smarrimento della genitorialità. Comprendere che quel figlio che ci fa preoccupare non è di certo un estraneo né la nostra copia spiccicata: è un individuo che si interroga e ci interroga su una realtà che qualcuno ha costruito prima di lui. Qualcosa che per gli adulti è un dato di fatto, quasi scontato, ma per i giovani è ancora in cerca di senso.
Certo, interrogare il fondo di un boccale è un rischio. E di comportamenti a rischio gli adolescenti sono cintura nera—lo sono sempre stati. Forse, non è un caso che ogni forma di progresso, di rottura costruttiva col passato, abbia un che di adolescenziale: quel misto di energia grezza, ancora infantile, ma anche matura, dell’adulto che verrà. Tuttavia, come in ogni sperimentazione, affinché ci sia vera esperienza, anche il rischio deve essere reale: crescere è una partita rischiosa, ma è l’unica che possiamo giocare.
E allora che devo fare?! Stare a guardare mentre questi si giocano i neuroni uno shot alla volta? Un buon inizio potrebbe essere provare a conoscere i vostri ragazzi e ragazze. Che musica ascoltano, cosa guardano, a chi vogliono somigliare, di cosa hanno paura. Solo uscendo da una visione stereotipata le deviazioni dalla ‘strada maestra’ diventeranno opportunità di un nuovo sviluppo. Ma se non si accetta il rischio di rovinare un così bel rapporto, il dialogo con l’esperienza non inizierà mai. L’alcol resterà solo una sostanza cattiva e il bere un non-senso da demonizzare, quando porta problemi—mentre magari va benissimo se fatto sistematicamente, purché non lasci segni visibili…
Perciò, genitore preoccupato, non avere paura: ci sei passato anche tu. E se non tu, tuo padre o tua madre, un fratello o una sorella, un nonno o una nonna. Quell’adolescente sei tu in cerca di risposte, risposte importanti che continuano a sfuggire. Avere qualcuno accanto, nell’angoscia della ricerca, è tutto ciò che può aiutare, tutto quel che si può fare: insieme, se ne verrà a capo.
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[1] https://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/dal-governo/2023-04-18/iss-77-milioni-italiani-rischio-eccessivo-consumo-alcol-preoccupano-giovani-e-donne-134721.php?uuid=AE6VyqID&refresh_ce=1