A mio padre, ormai anziano, è stata diagnosticata la disfagia, cosa consigliate di fare?
Cos’è la disfagia?
La disfagia, ossia la difficoltà a deglutire e a convogliare sostanze solide, liquide, gassose o miste dall’esterno fino allo stomaco, può insorgere per varie malattie, neurologiche e non, tra cui le più frequenti sono il Parkinson, la Sclerosi laterale amiotrofica – SLA, la Sclerosi Multipla, TIA –, attacchi ischemici transitori o ictus cerebrali, altre encefalopatie vascolari o metaboliche, ma anche demenza, miastenia, tumori e malattie funzionali del distretto digestivo che interessano l’esofago o la trachea, o che sono dovute ad altre patologie della tiroide o del collo.
Nell’anziano vi è comunque maggiore predisposizione alla disfagia (tanto che si parla anche di una sindrome chiamata presbifagia, che può essere più o meno grave) perché con l’età diminuisce la produzione di saliva, vi è maggiore secchezza delle mucose orali per frequente disidratazione, vi è una diminuita massa muscolare a livello della zona orale, faringea, laringea, vi è una riduzione della sensibilità (alterazione del feedback sensitivo-motorio a livello laringeo e faringeo anche per un fisiologico ritardo nella conduzione nervosa). La disfagia può essere solo per i cibi liquidi (più frequente), o solo per i cibi solidi o mista.
Il processo della deglutizione, benché siamo abituati a gestirlo fin dalle prime ore dopo la nostra nascita, con l’inizio dell’allattamento, è una fase tutt’altro che semplice che implica una esatta coordinazione di ben 55 diversi piccoli muscoli, gestiti da 6 diversi nervi cranici, che si riferiscono a ben 3 diverse grandi aree cerebrali.
In alcuni casi la difficoltà a deglutire è da subito ben evidente (ad es. dopo un ictus cerebrale), ma in altri può manifestarsi in forma subdola e ingravescente nel tempo, con sintomi aspecifici quale qualche colpo di tosse durante l’assunzione di liquidi o durante i pasti, modificazione della voce che diventa più umida e/o rauca dopo aver bevuto o mangiato, sensazione di corpo estraneo in gola, ecc. (ad es. nelle fasi iniziali del M. di Parkinson).
La disfagia sia per una corretta diagnosi e ancor più per una adeguata terapia necessita talora di una équipe multidisciplinare costituita da un logopedista (per la rieducazione funzionale delle capacità deglutitorie), da un dietista (per le modifiche necessarie della dieta e della sua somministrazione), dal medico di riferimento (medico di famiglia, geriatra, neurologo, ecc.) che tratti la disfagia in funzione anche della patologia che l’ha provocata.
Quando la capacità a deglutire, sia cibi solidi sia liquidi, è compromessa, occorre porre particolare attenzione alla dieta, modificando soprattutto la consistenza dei cibi al fine di prevenire carenze nutrizionali o incorrere in importanti complicazioni. E’ infatti frequente un calo di peso e malnutrizione; a volte per la sola paura di soffocare non si ingeriscono più quantità adeguate di nutrienti e quindi di energia, sufficienti al fabbisogno giornaliero. Più frequente ancora sono i casi di marcata disidratazione, in particolare nell’anziano, dovuta a un inadeguato apporto di liquidi: l’acqua o altre bevande sono molto più rapidi nel transito dalla bocca allo stomaco e quindi spesso danno per primi degli episodi di disfagia.
Un caso frequente e più grave è lo sviluppo di una “bronco-polmonite ad ingestis”, una infezione delle vie respiratorie molto grave (e spesso difficile e lunga da curare) causata da liquidi o dal cibo che viene convogliato nelle vie aeree anziché essere correttamente incanalato nell’esofago, con il rischio nei casi più gravi di soffocamento, ipossia e morte.
Sull’argomento leggi anche l’articolo: Disfagia, come affrontarla.