Sono un sacerdote religioso, solo da qualche mese seguo la vostra rubrica, che mi ha fatto conoscere un mio studente, ma devo dire che oggi tra noi a casa la utilizziamo spesso come pista di riflessione e di verifica. Ho pensato di scrivere non tanto per porre una domanda, quanto per condividere un’esperienza vissuta e che forse tanti altri riconoscono come propria. Non ero “in crisi” e in comunità, e nonostante sia un ambiente maschile, dialogo e vicinanza dei fratelli mi pareva non mancassero, o almeno così pensavo. Ritengo che siamo una realtà senza grosse conflittualità. Eppure ho conosciuto in Rete, per lavoro, una donna mia coetanea, e, come potete facilmente immaginare, il prosieguo è stato un crescendo di confidenza e di benessere […]. Ripeto, non avevo motivi evidenti per voler evadere dalla mia vita, ma un affetto speciale e uno sguardo esclusivo su di sé sono un’esperienza forte, bella e appagante. Per farla breve, ho chiesto al mio Responsabile un periodo di pausa, ero confuso e annebbiato e poi molto preso dalla storia. Le cose importanti che vorrei condividere con chi attraversa la mia stessa vicenda sono che: ne ho parlato apertamente (non è facile lo assicuro), e il mio superiore, sicuramente sorpreso, mi ha chiesto in che modo potesse aiutarmi. Mi sono confidato solo con altri due sacerdoti a me molto vicini e anche loro, senza troppe parole, mi hanno chiesto di non mollare tutto “di pancia”, con loro ho mantenuto dei momenti di scambio e sì…anche di preghiera insieme. Non è stato semplice e non lo è ancora, però ho ritrovato la rotta. Ad un certo momento dove il cuore voglia stare arriva chiaro e forte, anche se rimane una lotta. Non ogni crisi è un’uscita. E non ogni crisi è distruttiva.
Ha ragione, qui posso solo fare eco alla storia calda e confidenziale che ci ha condiviso. Ho dovuto abbreviare qualche passaggio solo per ragioni di spazio, ma l’essenza, come vede, c’è tutta.
È vero: normalmente si pensa che solo dove ci sono
problemi e difficoltà evidenti si possa infilare una crisi, e in effetti di solito accade così. Però ci possono essere altre condizioni, semplici e ordinarie, che col tempo ci motivano a spostare
lo sguardo dal partner e dalla propria vocazione, altrove.
Penso alle nostre giornate folli, piene di impegni e di responsabilità, dove i pasti diventano lo spazio in cui riprendere fiato e nulla di più. Si arriva a letto alla sera talmente stanchi che la giornata successiva sembra tutt’uno con quella precedente.
Penso alle nostre coppie, alle famiglie, e agli ambienti comunitari, dove è facile dare per scontato, dopo anni di convivenza, che l’
altro è «fatto così e così», per cui, con questa presunzione,
allentiamo l’attenzione reciproca e quindi la capacità di cogliere i segnali di stanchezza, di preoccupazione o di solitudine del partner o del fratello/sorella.
Comunque sia, credo che uno sbilanciamento sulla prestazione efficiente (il lavoro, la carriera, l’apostolato) piuttosto che sulla
qualità di vita insieme, e un individualismo camuffato dall’essere molto impegnati in cause importanti, ci accomuni tutti. È impressionante quante volte e con quanto calore Papa Francesco non perda occasione di dirlo: nessuno si salva da solo, non possiamo più ragionare con l’io ma col noi, non andiamo da nessuna parte se pensiamo di arrivare primi lasciando il gruppo indietro…
Allora, forse, le nostre possibili crisi iniziano a germinare qui, nel
bisogno radicato nel cuore umano di vicinanza, di fratellanza, non quella grossolana e generica, ma quella inclusiva, delicata, attenta al singolo e alle sue vicende. Quando si incontra uno sguardo così, premuroso, sensibile a «me», le viscere riconoscono che è quello di cui avevamo desiderio, e non si capisce più nulla, si perde la testa! L’
esperienza è bellissima. Come dice lei, è un crescendo di intimità e benessere ai quali non ci si può sottrarre, sarebbe innaturale.
Ci sono dei però…
non ogni modo di accogliere e di esprimere questa intimità è in armonia con la decisione esistenziale presa. E non tutto alla lunga fa bene veramente. Qui sta la grande sfida. Pensi che il Manuale Diagnostico a cui mi riferisco spesso, riguardo al livello ottimale di funzionamento della persona – che noi chiameremmo
maturità – parla di «perseguimento di obiettivi esistenziali coerenti e significativi sia nel breve sia nel lungo periodo». Noi ci rendiamo conto, anche quando cerchiamo di occultare questa consapevolezza, se in quella micro-azione o omissione
stiamo perseguendo o meno l’obiettivo esistenziale. Come diceva un Autore, l’
inconscio non è muto. Ha i suoi canali di espressione. Per esempio: il senso di inquietudine per un sms di troppo, o per una parola troppo confidenziale.
Un primo gesto innocente, che ci sta facendo provare un’ebbrezza nuova, potrebbe essere fuori dall’obiettivo. Non accade nulla, non c’è niente di male. Neppure col secondo, innocuo anch’esso. Neppure il terzo è un problema. Tuttavia si apre un canale di evasione, inizia un lento processo di distanziamento dalla vocazione iniziale.
L’amore è delicatissimo e non ammette sconti, né concessioni ad altri «amori». Si può cadere, ma, appunto, è una
caduta, che va chiamata col suo nome e poi recuperata.
Riprendo ancora il suo pensiero: è molto bello quello che lei dice
sull’apertura. Magari accadesse così per tutti! Talvolta quando se ne parla è già trascorso troppo tempo e la crisi è diventata «nuova realtà», c’è poco da discernere e confrontare. Il coraggio di aprirsi con una persona di fiducia è una meravigliosa speranza di poter essere aiutati a capire… Certo può accadere che una crisi sia l’occasione per
rivedere la propria scelta di vita e qualche volta per orientarla altrove, bene, ma non è la norma, ed è sempre un
processo serio.
In ogni caso, nessuno scandalo, come dice fin dall’inizio l’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia, al n. 8: «La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari», e al n. 232 parla delle
crisi come parte della «
drammatica bellezza» di ogni famiglia, quindi anche di quelle vocazionali.
Però bisogna darsi tempo,
non correre a leggere come un «ho sbagliato strada» l’innamoramento che si sperimenta al di fuori della propria scelta di vita.
Tempo. Serio, pacato, di autentico ripensamento, confronto, accompagnamento spirituale e psicologico – quanto sono importanti – senza fingere discernimento, avendolo in realtà già fatto in cuor proprio.
Questo tempo aiuta a capire cosa c’era che scricchiolava, cosa mancava alla giornata, alla vita, alla vocazione, speranze disilluse, cambiamenti vissuti, fallimenti, progetti non realizzati. È l’occasione per una
seconda fase vocazionale, più consapevole e autentica.
«
Ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (AL, 232).
Per concludere:
ripensare i nostri ambienti di vita, come funzionano, quale sia il grado di comunicazione (autentica o formale), scambio, sostegno e conoscenza reciproca è fondamentale anche per
ridurre le possibilità che qualcuno cerchi di colmare i vuoti fuori casa.
Grazie, quindi, per aver voluto raccontare questo pezzo di vita e sono certa che possa accomunare e ispirare molte altre storie simili.