Siamo una coppia di genitori di un ragazzo omosessuale, abbiamo altri 3 figli, e questa rubrica ci è stata segnalata da una coppia di nostri amici della parrocchia, per le ragioni che capirà. Non è stato facile in un primo momento accogliere l’apertura di Paolo, non capivamo e siamo rimasti molto confusi. Ma non è questo il motivo per cui ci siamo decisi a scrivere, il fatto è che Paolo vorrebbe entrare in seminario e noi sappiamo bene che il suo desiderio potrebbe non vedersi realizzato. Questo ci farebbe soffrire moltissimo un’esclusione a priori, perché ora che siamo più “dentro” la realtà di questi nostri ragazzi e degli adulti ci rendiamo conto che l’omosessualità è un mare di situazioni diverse e catalogarle tutte allo stesso modo come corrotte, pericolose, promiscue è proprio ingiusto. Ci addolorerebbe se Paolo non avesse neppure l’opportunità di farsi conoscere e poi, eventualmente, ricevere un “no”, ma per ragioni diverse: immaturità, mancanza di vocazione, e non per l’orientamento omosessuale. Lui, del resto, ha deciso di essere onesto e vuole comunque presentarsi senza maschere e senza nascondere nulla di sé. Se può dirci una parola le saremmo grati.
Comunità esclusive o inclusive?
Grazie, grazie di cuore per questa bellissima condivisione, intensa e vera. In effetti è un argomento che ha trovato spazio nella nostra rubrica in diversi numeri, ora lei ci propone una storia molto concreta e attuale.
Prima considerazione: ottima la decisione di Paolo (nome di fantasia) di essere autentico. Non è un discernimento vero quello che omette parti importanti di sé, e la persona stessa non sarebbe mai del tutto tranquilla, anche in futuro, sapendo che qualcosa del suo mondo è stata volutamente taciuta, né potrebbe essere adeguatamente seguita. Quindi, un primo bel segno di spessore: il coraggio di esporsi ed essere onesti, con chi accompagna la formazione, nonostante il timore lecito.
Un’altra osservazione: come per tutto ciò che riguarda il mondo affettivo, relazionale e sessuale, ogni situazione è diversa dall’altra e non è certo l’orientamento sessuale preso in se stesso a poter dire quale grado di maturità abbia la persona, come “funziona”, come ama, se è generosa, se è capace di fedeltà e esclusività… di conseguenza, l’orientamento omosessuale non è indicativo di immaturità. Direi che sostenerlo sia veramente antiscientifico, nonché indice di scarsa o nulla esperienza rispetto a chi si impegni in un percorso in seminario o in comunità.
Le dolenti note. Ad oggi nei percorsi vocazionali non c’è univocità di prassi sull’accoglienza o meno di omosessuali, perché i testi magisteriali – non entro nel merito – sono letti in modo che si escluda tale possibilità. Ora lo dico proprio a grandi linee, sebbene ci sarebbero delle precisazioni da fare.
Per l’esperienza che ho, tuttavia, formatori, formatrici, rettori, vescovi intelligenti e preparati sanno che sono tanti i criteri per l’accoglienza e la prosecuzione di un giovane/una giovane e non è certo l’orientamento preso da solo, a poter dirimere la questione, in quanto è una dimensione importante e significativa della persona, ma non è il suo tutto, e, soprattutto, non è indicativa in se stessa di “come sia” Marco, Francesco o Carla. L’apertura, la docilità nel percorso, il modo di vivere la vita fraterna, la capacità di collaborare e dialogare con tutti, l’equilibrio affettivo…sono alcuni dei fattori che andrebbero osservati e valutati, fattori, quindi, trasversali all’orientamento sessuale.
Non sto dicendo che in ambito di formazione iniziale e permanente sia indifferente l’orientamento sessuale, proprio in quanto dimensione profonda della persona, dico piuttosto che non è (o non dovrebbe essere) un criterio decisivo per dire sì o no rispetto all’accesso in seminario o comunità.
Di fatto, cosa accade?
Che purtroppo tra chi si accosta e accede ai percorsi vocazionali un buon numero presenta delle vulnerabilità, anche gravi. In altre parole, sono in molti (eterosessuali e omosessuali) a cercare nella vocazione un rifugio, una via di fuga, e una strada per mettersi al riparo dalle complessità del mondo (come se nelle realtà vocazionali non ci fossero complessità), o per sanare pezzi di sé e della propria storia. Questa fetta di persone inconsistenti, nel tempo, creeranno difficoltà all’ambiente, fosse solo per l’infelicità che vivono e per motivazioni che negli anni non reggono, per cui inducono a cercare compensazioni attraverso comportamenti che corrompono la scelta fatta. Queste personalità fanno rumore, creano problemi a se stessi e all’ambiente formativo, comunitario o apostolico. Tuttavia il disordine può riguardare chiunque, non è legato all’orientamento sessuale. Dipendenze di vario genere, abusi, carrierismo, sono ferite profonde che può infliggere tanto un eterosessuale che un omosessuale.
Su questo occorre essere chiari.
Non c’è un fondamento per ritenere che l’omosessuale sia meno capace di costanza, equilibrio e durata vocazionale.
Attenzione, pertanto, a non prendere come “statistica” – per dire che gli omosessuali fanno solo disastri – quelle situazioni corrotte in partenza, perché inconsistenti nella scelta, e psicoaffettivamente immature, perché la fragilità riguarda eterosessuali e omosessuali. Tutti possono – anche in buona fede – strumentalizzare la vocazione per ragioni che prescindono dall’Ideale.
Attenzione, inoltre, a non generalizzare, perché fa male a chi è coinvolto sentirsi massificato, senza alcuna attenzione al funzionamento individuale.
La vocazione, però, per la delicatezza dell’impegno, non intimistico ma sociale ed ecclesiale, va valutata con estrema accuratezza da persone ben formate e preparate al compito le quali dovranno essere in grado di prendere in seria considerazione i processi di maturazione umana e spirituale.
Non vanno banalizzati gli aspetti che riguardano l’affettività, la sessualità, lo stare in relazione, come se una cosa valesse l’altra, ma non vanno neppure assolutizzate dimensioni che devono essere contestualizzate nel funzionamento globale della persona – e questo va fatto certamente – e nel suo modo di vivere la scelta intrapresa.
Per concludere: è bene che Paolo si apra a chi segue l’accoglienza e la valutazione iniziale e mantenga come criterio questa bella autenticità, dove Dio che è luce può entrare, e la Grazia operare. È anche un augurio che in questa avventura Paolo incontri persone sagge e lungimiranti in grado di offrire un accompagnamento altrettanto onesto e trasparente.