L'esperto risponde / Educazione

Ezio Aceti

Laureato in psicologia, consigliere dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, esperto in psicologia evolutiva e scolastica, è nella redazione del giornalino Big Bambini in giro. ha pubblicato per Città Nuova: I linguaggi del corpo (2007); Comunicare fuori e dentro la famiglia (nuova ed. 2012), Crescer(ci) (2010); Mio figlio disabile (2011); con Giuseppe Milan, L’epoca delle speranze possibili. Adolescenti oggi (2010); Educare al sacro (2011); Mio figlio disabile (2011); Nonni oggi (2013); Crescere è una straordinaria avventura (2016); con Stefania Cagliani, Ad amare ci si educa (2017).

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Scuola

Scuola: palestra di relazioni

Ricomincia la scuola in presenza, dopo la pandemia e la didattica a distanza. Mi piacerebbe un suo commento e un suo consiglio a studenti e insegnanti. Un lettore

(AP Photo/Daniel Cole, pool)

Da metà settembre in tutte le scuole d’Italia sono riprese le lezioni in presenza. Naturalmente è importante seguire tutte le indicazioni che permettono la convivenza sicura e protetta, affinché questo piccolissimo virus non si diffonda ulteriormente.

Era importantissimo, però, riprendere la scuola in presenza perché la relazione faccia a faccia è insostituibile e permette la convivenza fra le persone umane. È fondamentale ricordare quanto siano importanti i cardini basilari affinché la relazione sia efficace e utile per i nostri ragazzi, per aiutarli in questo delicato momento.

Ricordiamoci che la scuola non è solo un luogo d’istruzione, ma soprattutto di formazione ove la dimensione relazionale e umana contribuisce allo sviluppo psicofisico.

Affinché tutti possano riprendere con maggior serenità l’avventura scolastica, ricordiamo tre cardini educativi fondamentali:

L’ascolto

L’uomo è un essere sociale. Il paradosso della condizione umana è che l’individualità si realizza solo nella relazione e che il soggetto non esiste al di fuori del riconoscimento reciproco con l’altro da sé. L’ascolto è allora la capacità più importante per la convivenza, perché un ascolto vero e autentico permette all’altro di scoprire sé stesso e soprattutto di sentire che è importante per gli altri.

Ci sono tre modi di ascoltare, due delle quali sono difettose:

ASCOLTO DISTURBATO: avviene tutte le volte che, mentre qualcuno ci parla, noi ci mettiamo a fare qualcos’altro o pensiamo ad altro, cercando di mantenere contemporaneamente l’attenzione sull’interlocutore e su quello che stiamo facendo. Questo tipo di ascolto, mortifica chi ci sta parlando perché non si sente compreso e lascia una scia di tristezza e di vuoto.

ASCOLTO FRAMMENTARIO: avviene quando interrompiamo continuamente chi ci sta parlando per manifestare il nostro parere, impedendogli spesso di completare la frase. Quanto è antipatico questo modo di ascoltare! L’altro si sente umiliato e impedito nell’esprimere le proprie idee.

ASCOLTO VERO E PROFONDO consiste invece nell’essere pienamente disponibile per l’altro, nel “fare il vuoto dentro di sé per accogliere quanto ci sta dicendo“. Questo tipo di ascolto richiede due azioni particolari e cioè innanzitutto nel fare una “piccola violenza” su noi stessi per impedire al nostro pensiero di esprimersi mentre l’altro sta parlando, e poi soprattutto nel pazientare in modo che l’altro possa dire tutto quanto desidera.

Carl R.Rogers (1902-1987), nel suo libro La terapia centrata sul cliente, parla di una “forza di base” presente nel cliente, definita “tendenza attualizzante”, considerata come la forza essenziale che è all’origine della crescita e dello sviluppo di ogni persona.

L’ascolto profondo è quindi il presupposto per un rapporto empatico fra madre e bambino, fra partner, fra insegnanti e studenti, fra le persone in genere, per una comprensione profonda e reciproca, che accompagnerà per tutta la vita la relazione con gli altri simili.

Questo modo di ascoltare si rende concreto semplicemente nel lasciar dire all’altro tutto quanto vuole e soprattutto nel mantenere alta l’attenzione nei suoi confronti.

A questo proposito sono espressive le parole della grande filosofa francese Simone Weil quando diceva che “l’attenzione è la dimensione più bella fra gli esseri umani”. Sì, perché l’attenzione mi spinge verso l’altro, proteso nell’accoglienza piena: il risultato è che l’altro si sente accolto, amato e considerato.

La parola

Quanto è importante che il nostro parlare sia innanzitutto frutto dell’attenzione e dell’ascolto in modo tale che quanto si dice sia comprensivo del pensiero dell’altro, sia insomma un atto d’amore perché comprende il tempo che ho dedicato nell’ascolto.

Ricordiamoci che la parola nutre, da senso, può fare miracoli se è espressa in maniera rispettosa e autentica.

Inoltre il nostro parlare non deve mai essere volgare o sbrigativo, ma deve dare valore a quanto si dice. A questo proposito è importante, essere semplici, sintetici, chiari e soprattutto veri. Il nostro parlare sia sempre vero e autentico. Tutto ciò fa nascere la stima dell’altro nei nostri confronti e ricordiamoci che la stima è la forma più alta dell’amore.

Quindi, in sintesi, dire e ascoltare rappresentano due cardini basilari di un processo educativo condiviso. Ascoltare e dire sempre, a fronte di attese, speranze, aspirazioni, diventano allora gli elementi fondanti di un’educazione come comprensione/condivisione. È così che l’educazione è sempre un rapporto fra soggetti. Solo da una visione dell’altro, come “altro da sé” e come “importante per me” può nascere un’autentica comunicazione.

Il sostegno

Insieme all’ascolto e alla parola, il sostegno si caratterizza nell’esprimere fiducia con gesti, intenzioni, propositi e con la parola espressa in un certo modo. È importante sostenere sempre, anche quando l’altro ha sbagliato. Il sostegno rappresenta la base della relazione. Infatti, se l’ascolto e la parola sono le ali che fanno volare chiunque e che permettono di avanzare, il sostegno ne è la base, è come l’humus del terreno educativo.

Un’insegnante deve sostenere sempre, sempre, anche quando lo studente non ha studiato o si è comportato male. Infatti l’insegnante può dire «Guarda non hai studiato, ho dovuto darti una valutazione negativa», ma alla fine deve dire:”Sono però sicura che la prossima volta farai meglio!”.

Il sostegno però richiede alcuni presupposti importanti:

  • avere una visione positiva dell’altro;
  • vedere sempre l’altro nell’attimo presente, dimenticando i torti magari appena subiti;
  • credere che tutti possono ricominciare.

 

In conclusione

Se l’insegnante farà attenzione nell’esercitare questi cardini educativi, l’esperienza della pandemia e della sofferenza lentamente rientrerà nella dimensione umana e gli studenti assaporeranno la bellezza dello stare insieme e soprattutto comprenderanno di avere adulti educatori che si interessano di loro.

Perché, come diceva bene don Milani, l’educare è soprattutto il “prendersi cura”.

Allora “I Care”, tutti insieme!

 

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Società

Primo giorno di scuola ai tempi del Covid

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Sono molto preoccupata per il ritorno a scuola. Ascoltando la tv, l’impressione è di una gran confusione… Come saranno accolti i bambini? Una mamma


Il primo giorno di scuola è sempre stato per bambini e ragazzi un momento importante, per vari motivi dovuti soprattutto alla novità, alla curiosità e alle attese. Infatti le emozioni che bambini e ragazzi vivono sono molteplici, a seguito di vari fattori:
  • desiderio di incontrare gli amici o i nuovi compagni dopo le vacanze
  • novità (soprattutto per i bambini di prima elementare, della scuola dell’infanzia e i ragazzi di prima media) per le nuove conoscenze, accompagnata da un certo timore e da varie attese.
  • tensione determinata dalla paura di “fare brutta figura”, per la consapevolezza del giudizio degli altri che incomincia ad essere importante, soprattutto per i ragazzi delle medie.
  • timore e curiosità rivolta alle nuove insegnanti, che comunque rimangono sempre figure adulte di riferimento verso le quali render conto.
Sappiamo che per moltissimi anni è stato così e soprattutto la pedagogia moderna è andata sempre più raffinandosi, strutturando momenti di accoglienza particolari con attenzioni pedagogiche ai bisogni dei bambini e dei ragazzi. Ma… oggi c’è il coronavirus, questo piccolo, minuscolo nemico col quale dobbiamo fare i conti. E che conti! Assistiamo alla televisione ad un fermento, un subbuglio, un’agitazione per garantire in salute e sicurezza l’inizio dell’anno scolastico. Tutto ciò è corretto, perché è necessario tutelare la sicurezza e la salute di tutti. Ma, chiediamoci, per i bambini e i ragazzi come sarà questo primo giorno al tempo del coronavirus? Sappiamo che la tensione è molto alta in quanto i ragazzi vengono da un periodo di assenza che ha interrotto i rapporti diretti. In più, il desiderio di incontrarsi è fortissimo e le aspettative molteplici, mentre le raccomandazioni dei genitori sui rischi del contagio e sulla prudenza che devono mantenere rimbombano nelle loro teste. Per non parlare delle insegnanti che, pur con le loro caratteristiche specifiche, sono tutte alle prese con un carico d’ansia di gran lunga maggiore rispetto agli anni precedenti, dovuto a:
  • Il timore del contagio
  • La responsabilità nei confronti dei bambini
  • La paura di portare il contagio ad altri e anche ai loro famigliari
  Insomma si può ben dire che la tensione è alta, particolarmente alta. Chiediamoci: cosa fare? Cosa è giusto per i bambini e per i ragazzi? Come strutturare l’accoglienza? È stato Konrand Lorenz (1903-1989), premio Nobel per l’etologia ad aprirci la strada sull’importanza dei primi contatti, delle prime relazioni scoprendo e studiando quel fenomeno particolare da lui chiamato imprinting. L’imprinting è quella prima esperienza che si struttura durante l’incontro e che tende a mantenersi a lungo e a determinare gran parte del resto della relazione. Curare bene l’imprinting allora significa, nel nostro caso, curare bene questa prima relazione. Gli studi di psicologia evolutiva inoltre ci confermano che, per quanto riguarda i bambini e i ragazzi, è importante che questo primo giorno soddisfi tre bisogni fondamentali:
  1. accoglienza: i bambini devono sentirsi accolti e ben-voluti. Devono sentire che, nonostante tutto, è bello stare insieme. A questo proposito è importante esporre all’interno della scuola, della classe, un cartello, un disegno, una frase accogliente e soprattutto l’appello iniziale deve durare molto, in quanto è bene che l’insegnante chieda al bambino come è andata, come sta… insomma che i ragazzi si sentano accolti nel loro vissuto.
  2. responsabilità: i bambini e i ragazzi hanno il diritto di sapere la verità. Sarà importante parlare del Coronavirus con parole adeguate, facendo riferimento alla scienza. È importante però che questo venga fatto una volta sola, ripeto una volta sola. Questo per evitare di aumentare la tensione e soprattutto , dire ai ragazzi che se vorranno potranno chiedere tutto quanto ritengono giusto sapere.
  3. motivazione: i bambini e i ragazzi devono sentire che ci si fida di loro e che loro sapranno far bene. Devono sentire che in loro c’è la capacità di impegnarsi, di raggiungere dei risultati e che, se per caso sbaglieranno, potranno sempre recuperare.
Tutto ciò dovrà essere fatto lasciando spazio alla fantasia e all’inventiva delle insegnanti. Per realizzare tutto questo, l’insegnate ha uno strumento, lo strumento più importante degli esseri umani: la parola. L’utilizzo corretto della parola è di estrema importanza per la riuscita della relazione e del rapporto. Parlare è importante perché aiuta ad elaborare l’ansia e a trovare forza e risposta dentro di se. Il parlare allora dovrà contenere tre concetti che corrispondono ai tre bisogni dei bambini e dei ragazzi:
  • l’empatia, che corrisponde all’accoglienza. Il bambino deve sentire che l’insegnante è con lui, che lo comprende. Questo lo può manifestare dicendo: sono molto contenta di cominciare con voi… e va detto anche se magari c’è un po’ di trepidazione, di tensione.
  • la realtà, che corrisponde alla responsabilità. Descrivere quello che sta succedendo senza allarmismi e nella verità, ma lasciando liberi di fare domande.
  • il sostegno, che corrisponde alla motivazione. È il più importante perché dimostra che l’insegnante si fida delle capacita dell’alunno e invita l’alunno ad entrare dentro di se e a scoprire le sue risorse. L’insegnante può terminare quanto sta dicendo affermando: «sono sicura che voi saprete come fare, che troverete voi il modo giusto di rapportarvi e di stare a scuola, che ve la caverete».
  Se faremo così allora forse si riuscirà nell’intento fondamentale in questo periodo: quello di non togliere la paura, ma dare la possibilità di gestirla in modo intelligente e semplice.
Società

La persona carcerata

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Va bene la fraternità, ma non pensa che i responsabili di delitti terribili meritino il carcere a vita?  


Mi è capitato varie volte di andare nelle carceri per visitare i detenuti. In qualità di psicologo ho parlato loro della sofferenza e del riscatto. Ho avuto con loro anche vari colloqui personali. Dai loro racconti ho potuto comprendere un forte senso di colpa per quanto commesso. Insieme a una fatica per trovare la forza per riscattarsi, dovuta spesso al luogo deprimente e inumano ove vivevano. Di solito negli articoli che scrivo, non mi occupo di politica in senso stretto. Ma se la politica più alta riguarda il governo della città, dello Stato e delle Istituzioni, allora questo vuol essere un articolo politico. Costatiamo che alcune istanze portate avanti dai Radicali, inerenti il loro impegno continuamente prodigato in favore dei carcerati, sono importanti per un Paese che vuol mettere al centro il vivere civile. Il sovraffollamento delle carceri, la vita che molti detenuti conducono in luoghi spesso fatiscenti e insufficienti, sono un segno preoccupante per una società che si professa civile. E per favore smettiamola con la retorica: «Tutti in galera e buttiamo via la chiave». Forse non ci rendiamo conto della disumanità di questi luoghi. E non mi riferisco al personale carcerario, al quale va tutta la nostra stima per il loro duro lavoro. Mi riferisco, invece, a queste strutture vecchie, e ai metodi rieducativi ancora troppo inadeguati. Anche se tutti, in questo periodo, siamo allo prese con una pandemia che ci coinvolge, non dimentichiamoci di loro, delle persone in carcere. Mi sembra che sia importante una vera riforma carceraria, che preveda non solo pene e luoghi alternativi alla prigione, ma anche spazi e metodi che siano in grado di aiutare queste persone nel riscatto sociale, nel loro desiderio più profondo di tornare a essere persone libere. Perché sempre la vita merita di essere vissuta, sempre.
Società

Elogio della fragilità

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Certi giorni, per il susseguirsi di avvenimenti negativi, mi sento proprio niente e perdo la speranza. Lei come fa a mantenerla?


Forse ci eravamo illusi: di fronte all’enorme progresso determinato dalla scienza e dalla tecnica, con le innumerevoli scoperte che hanno permesso una miglior vita sul nostro pianeta, abbiamo pensato che la felicità era a portata di mano. Forse ci sentiamo fortemente scoraggiati adesso che un semplice virus, circolando in modo silenzioso e nascosto, causa innumerevoli vittime e problemi giganteschi in termini di convivenza e di socialità. Eppure è sempre grazie alla scienza e alla tecnica che possiamo trovare il modo di riappropriarci del nostro convivere, cercando non solo di evitare il peggio e di alleviare l’enorme sofferenza che la pandemia sta procurando, ma anche di trovare il vaccino necessario, con la speranza di una definitiva vittoria. L’esperienza ci rende coscienti che altre minacce e altri problemi potranno affacciarsi all’orizzonte, ove la scienza e la tecnica potranno soccombere e ricevere ulteriori sconfitte. Insomma la vita ci dice che la fragilità fa parte del nostro sistema di vita e quindi è importante imparare a conviverci. Anzi, l’essere umano è tale anche grazie alla sua fragilità. È stato il grande poeta e filosofo spagnolo Fernando Rielo a ricordarci che «l’essere umano è una persona finita aperta all’infinito». La storia ci insegna che siamo “finiti”, limitati, fragili, e contemporaneamente desiderosi di vincere, di progredire, di vivere nel migliore dei modi possibili. Tutto ciò è straordinario e tragico allo stesso modo. Straordinario in quanto si intuiscono le enormi possibilità in mano alla persona e quanto ancora potrà scoprire e progredire. Tragico perché molte altre sconfitte e sofferenze si affacceranno all’orizzonte in una lotta senza limiti. Di fronte a tutto questo, forse è importante mantenere un profilo umile e intelligente, in grado di aiutarci a vivere bene il tempo che ci viene offerto. È importante, a mio avviso, non inorgoglirci troppo per le scoperte e le conoscenze, sapendo che tutto è provvisorio, ma al contempo non deprimerci per le sconfitte che sono da mettere in contro. Ecco perché il rapporto con Dio ci può aiutare. Tale rapporto non schiaccia la nostra vita, ma ci aiuta a cogliere l’essenziale e la strada nel percorso: amare fino in fondo tutto e tutti, con particolare predilezione verso i più fragili. Al contempo sapere che Qualcuno ci ama e ci aspetta, pur con tutte le nostre fatiche, per realizzare il desiderio struggente di felicità nascosto in ciascuno. Scopriremo in questo modo che la fragilità può diventare la molla per scoperte più grandi, per altruismi maggiori, per andare verso una maggior uguaglianza e solidarietà fra tutti. E non è questo il desiderio di Dio: diventare sempre più la Sua famiglia?
Società

Il limite

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Altri giovanissimi morti per un mix di droghe a Terni. La cronaca di ogni giorno non lascia tregua. Come aiutare i nostri ragazzi? Una mamma


Flavio e Gianluca, 15 e 16 anni, due ragazzi adolescenti morti per abuso di droga venduta loro da un 41enne, a sua volta facente uso di metadone. È l’ennesima tragedia che porta con se ragazzi pieni di vita, considerati perfettamente normali, brave persone, impegnate anche nel volontariato. Sale allora un grido: perché? Il fatto è che la schiera di ragazzi che compiono gesti irrazionali e tragici è molto lunga. Se molti anni fa trasgredire era un tentativo di entrare nel mondo dei grandi, e per lo più si trattava di sfidare l’autorità, la famiglia, gli insegnanti perché troppo oppressivi, oggi non è più così. Oggi non è l’oppressione la causa della trasgressione adolescenziale. Oggi più che trasgredire i ragazzi sono alle prese con le mille emozioni provenienti dal benessere, e tendono a vivere senza limiti, senza freni, ritenendosi spesso onnipotenti, e protesi verso una vita senza ostacoli. Anzi oggigiorno le difficoltà, i limiti, vengono ritenute facenti parte di un altro mondo, il mondo dei perdenti e degli sfigati. Eppure, noi adulti sappiamo che le difficoltà sono un ingrediente fondamentale per vivere. Infatti le difficoltà e i limiti non sono negativi, perché aiutano i ragazzi a:
  • misurarsi con le risorse presenti in loro per cercare di svilupparle.
  • comprendere le difficoltà, personali e degli altri.
  • scoprire che le emozioni sono energia da vivere non necessariamente contro la propria persona, pensando che tanto non succede niente.
  Tutto questo succede perché manca l’adulto all’altezza del compito educativo che le esigenze moderne richiedono, e cioè un adulto:
  • in grado di dire “no” ai ragazzi, per tutelarli da esperienze contro se stessi,
  • che per primo impara a vivere le frustrazioni come energia per la crescita, e aiuta i ragazzi a comprendere la fatica di vivere.
  • che si interessa ai ragazzi per sostenerli, ammonirli, riprenderli, incoraggiarli, deciso ad opporsi contro ogni pericolo e violenza.
  • disposto a perder tempo con loro per dare testimonianza della vita, che necessita sempre di essere vissuta al meglio.
  Insomma un adulto che testimoni quanto sia tragico buttar via il dono della vita, che è unica e irripetibile per ciascuno.  
Società

Perché si uccidono i figli?

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Davanti a certi episodi di cronaca nera si rimane senza parole… il male è intorno a noi… ma perché si arriva a questi eccessi, addirittura a uccidere i propri figli?  


Mario, padre di Diego ed Elena, gemelli di 12 anni, consuma la più grande tragedia, uccide i figli e poi si toglie la vita. Sembra per vendicarsi della moglie che voleva lasciarlo, tanto che le lascia scritto: “non li rivedrai mai più”. Eppure con i figli pare avesse un buon rapporto, era conosciuto come un buon padre, attento ai loro bisogni. Ciò è straziante e angoscioso, pieno di tutto quanto di depressivo si possa immaginare. Alcuni psichiatri si sono cimentati nel cercare di interpretare il gesto folle. C’è chi vede la causa nella lucida malattia mentale del padre. Qualcun altro cerca causa nella profonda immaturità del padre, incapace di gestire la relazione con la moglie. Di fronte alla crisi emotiva e affettiva, si vendica commettendo l’insano gesto. Si fa fatica a commentare un episodio del genere. Sembra che il nostro cuore non abbia spazio per accogliere questa tragedia. Pare che l’unico vincitore sia il male, questo nemico accovacciato dentro di noi, che spesso ci aggredisce coi suoi pensieri nefasti, ai quali concediamo spazio. Certo, nessuna giustificazione al male. Ma chi è esente da questo? Ricordiamoci Pascal quando dice: “l’uomo a volte è una bestia, altre è un angelo”. Ecco perché occorre una giustizia, alla fine una giustizia ci deve essere, non tanto e non solo quella di noi esseri umani, ma quella di Dio, che conosce l’intimo di ciascuno. Come credenti, mentre ci uniamo al dolore della madre, e auspichiamo per i gemelli la vera vita che quaggiù è finita troppo presto, impegniamoci con tutte le nostre forze affinché ogni persona impari a gestire le proprie emozioni, anche le più negative. E impari a gestirle con una formazione umana e sociale costante, insieme alla confidenza semplice e umile in Dio, in grado di rendere giustizia di tutto. Di tutto.
Società

Grazie alle donne

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Queste settimane, costretti in casa, sono state un po' faticose, tra bambini, scuola telematica, genitori. Come funzionerebbe la società se non ci fossero le mamme? (una mamma)


In questo periodo, molti si sono occupati della fatica dei bambini e ragazzi dovuta al ritiro sociale e alla vita intra-familiare, segregata all’interno delle mura domestiche Forse è un po’ retorico, antimoderno, antiquato, dato per scontato, ma ritengo importante esprimere ancora un grande grazie a tutte le donne, le madri, le nonne, le zie, che ancora una volta si sono sobbarcate l’enorme peso educativo dovuto alla cura di figli, nipoti e anziani. Inutile fare l’elenco delle disparità sui luoghi di lavoro, nei posti di governo e di comando, nella Chiesa stessa, fra l’uomo e la donna, dove chi subisce e viene spesso discriminata è proprio la donna. Molte donne, oltre al lavoro, si sono trovate ad essere insegnanti, maestre, baby sitter, oltre che mamme e mogli, in una società che, anche se a parole si professa democratica e egualitaria, nei fatti non lo è. Questa disuguaglianza nei fatti si è mostrata più acuta in questi momenti ove era necessario darsi da fare concretamente per i figli, ma soprattutto gestire psicologicamente l’ansia dovuta all’inevitabile chiusura sociale che ha comportato maggior contatto e dialoghi obbligati. Sappiamo che sin da piccolo il bambino proietta sulla madre l’ansia della crescita e dello sviluppo, alla ricerca di sostegno e conferme. La madre dunque come luogo e spazio psicologico di accoglienza e sostegno. Questo meccanismo di proiettare l’ansia, secondo gli studi della grande psicoterapeuta dell’educazione Francoise Dolto (1908-1988), permane tutta la vita e, se non supportato, genera fatica, stanchezza e depressione. E chi se lo è sobbarcato? Soprattutto le madri, le donne! Più il tempo passa, più si rende necessario comprendere che la nostra società è ancora misogina e maschilista. Ed in questo periodo lo si comprende ancora di più. Forse, oltre alle quote rosa e a tutti i discorsi sulla parità uomo-donna, è necessaria una riflessione che metta al centro l’educare come promozione della coppia e della famiglia insieme. Non si tratta di ruoli, ma di presa di coscienza che l’uomo deve entrare subito in relazione con i figli e soprattutto co- gestire e co - partecipare dell’essenza e della cura dell’educare. Anche la Chiesa, nelle sue strutture, nella sua pastorale, forse dovrebbe rivedere molte cose al proprio interno, affinché risplenda sempre più l’approccio inter-relazionale fra l’uomo e la donna. Il movimento femminista, in alcune sue manifestazioni, ha cercato di porre in modo radicale la questione della parità, senza tener conto di alcuni passi che allora si stavano facendo. Ma ora, a distanza di anni, occorre constatare che molte loro battaglie erano giuste, in quanto le conseguenze sono ancora evidenti. L’augurio è che si continui a portare avanti in ogni luogo la determinazione di rendere la giustizia di genere sempre più equa, perché il governare e vivere insieme è la strada da percorrere, sapendo che solo così l’umanità può manifestare tutta la sua bellezza.
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