Sono un sacerdote formatore in un Istituto a vita comune e uno dei giovani che seguo mi ha fatto conoscere la vostra rubrica. Ho cercato e trovato anche il tema che oggi vorrei evidenziare, quello dell’orientamento omosessuale. È entrato in comunità un ragazzo trentenne, laureato in Ingegneria, con esperienze lavorative proficue (un ragazzo in gamba), il quale mi ha manifestato fin dai primi incontri la propria omosessualità, e qualche pregressa esperienza affettiva con ragazzi. Questa esplicitazione mi ha spiazzato perché in genere, semmai, una simile apertura avviene molto in là nel tempo e quasi mai in maniera spontanea. Ho letto i numeri della rubrica che hanno riguardato l’argomento, ma quando poi tocca in prima persona il servizio che si porta avanti gli interrogativi si fanno concreti. La nostra realtà comunitaria sta cercando di formarsi meglio sull’argomento, quindi la mia è una richiesta di qualche suggerimento su come procedere. Non ci sono ricette, ma sicuramente sarà importante avere alcune indicazioni di massima per non far del male a nessuno. Grazie, p. Roberto
Omosessualità e vocazione: una sfida doppia?
Grazie davvero! È vero che abbiamo affrontato l’argomento in diverse occasioni, ma quando si parla della persona, dei suoi processi, del suo mondo emotivo-affettivo, non c’è mai nulla di scontato. Come sempre nello stile di questa rubrica – che lei ha conosciuto da poco – propongo qualche riflessione che ho elaborato attraverso lo studio, il confronto con colleghi, con formatori/formatrici e attraverso l’esperienza di accompagnamento psicologico di chi vive la vocazione presbiterale, monastica, a vita comune.
Questo per dire che non si danno “soluzioni”, e che l’opportunità di lasciare aperto il dialogo, senza alcuna pretesa di avere in tasca l’ultima parola, è il clima consueto del nostro spazio on-line. L’alternativa è il pensiero unico e inamovibile che non lascia margini per riconoscere gli apporti della scienza, della storia, del Magistero stesso che cammina cercando di cogliere i segni dei tempi.
La prima considerazione molto semplice è l’importanza e quindi l’apprezzamento rispetto all’apertura spontanea di un giovane/di una giovane (per età o per percorso formativo) al proprio formatore. La consegna di sé e della propria intimità sono da considerare un atto di grande coraggio e di fiducia: evidentemente la persona non teme gravi ripercussioni rispetto a quanto dice e crede che le informazioni che fornisce possano entrare a far parte dell’accompagnamento. Quando si riceve un pezzo di vita dell’altro il tempo del giudizio andrebbe sospeso… prima di correre a catalogare nella casella del giusto/sbagliato, dato innocuo/pericolo, sono d’accordo/in disaccordo, l’apertura personale va semplicemente ricevuta e accolta. Molto raramente, infatti, un dato umano, isolato dal suo insieme, può assumere una tonalità specifica e assoluta. L’aver avuto genitori separati, padre o madre assente, depresso/a, violento/a è un elemento di anamnesi importante, ma in se stesso non dice chi è, e come è diventata la persona che racconta del proprio ambiente domestico.
Qui un giovane adulto sta confidando qualcosa di importante che coinvolge il proprio modo di vivere se stesso, gli affetti, le relazioni. Non si può approfondire in questa sede cosa voglia dire “sono omosessuale” perché andremmo fuori spazio, ma teniamo conto anche della necessità di decodificare tale informazione essendo spesso confusa, vaga, o comunque non sufficientemente elaborata la comprensione di sé.
In ogni caso, come anticipato, attenzione: il dato “omosessualità” non rivela quale sia il modo di essere di quell’individuo. Il primo collegamento che spesso scatta di fronte all’espressione dell’altro omosessuale, infatti, è la confusione sessuale che ne consegue, anzi confusione sull’identità di genere dell’individuo (mezzo uomo e mezza donna), confusione nella sua gestione dell’eros (impulsi sfrenati o quasi), caos nei rapporti interpersonali (conflitti sicuri). Tali presupposti fanno scattare l’allarme in chi segue i processi formativi.
Chi ascolta e affianca storie di vita reali sa bene che tutto questo è possibile, ma è possibile a prescindere dalla dimensione dell’orientamento sessuale.
C’è, tuttavia, un aspetto significativo e non trascurabile: in un contesto omogeneo di soli uomini o sole donne, soprattutto durante la formazione iniziale, che un membro giovane abbia un orientamento verso persone del medesimo sesso è una variabile da non sottovalutare. Credo che il dubbio del sacerdote si inserisca qui.
Piuttosto che aumentare il “controllo” però – Marco, omosessuale e sorvegliato speciale, vediamo come si comporta – è importante affiancarlo per approfondire le motivazioni vocazionali (fondamentale), e perché possa integrare la dimensione omosessuale nel complesso della sua personalità, secondo la vocazione che sta iniziando a vivere. Marco-integrale dovrà imparare a conoscere meglio se stesso e i propri punti di forza e di vulnerabilità, quindi cosa per lui costituisce una risorsa, ma anche cosa non lo aiuta a crescere secondo il progetto esistenziale che sta scegliendo. Per esempio: forse cercherà il confronto e l’amicizia solo o prevalentemente con altri giovani o persone esterne da cui pensa di essere compreso o con cui pensa di avere in comune l’orientamento sessuale. Il formatore potrà sostenere Marco perché incontri e si relazioni oltre il dato omosessualità. Non è facile, sia chiaro, è naturale per chiunque la ricerca dei “simili” (mi si passi questa espressione alquanto infelice), ma è vitale non chiudersi in sottogruppi di appartenenza perché la scelta vocazionale è universale, trasversale alle categorie culturali, politiche, soggettive. Tuttavia ciò non è valido solo in merito all’orientamento, ma a qualunque altro dato personale che funga da filtro e discriminante nei rapporti.
Il formatore – preparato a sua volta nel servizio che gli hanno affidato e non improvvisato in ambito formativo (prima responsabilità comunitaria) – ha l’ulteriore responsabilità di trattare da adulto chi entra in seminario o comunità e quindi di confrontarlo gradualmente quando noti qualcosa che non lo convince, senza riversare sulla persona l’intera lista di cose che non vanno, da cui il conseguente congedo finale e irreversibile verso l’uscita. Se veramente si vuol dare alla persona la possibilità di maturare (altro tema affascinante), allora l’accompagnamento dovrà essere chiaro e autentico, fatto di dialogo (formatore/formando), di dubbi condivisi, di criticità rilevate, senza camuffare sotto le vesti dell’accoglienza un disgusto, un rifiuto interno che di fatto condiziona la prosecuzione del giovane in quel contesto. Altrimenti meglio essere onesti fin dall’inizio: qui non possiamo riceverti.
Se, invece, si ritiene possibile il cammino vocazionale, per molti altri dati di partenza che fanno supporre la potenzialità di un buon processo formativo, allora lo sguardo deve rivolgersi alla maturazione della persona, secondo lo specifico stato di vita in cui si è inserita.
In altre parole: potrà diventare un buon sacerdote o religioso? Quali sono gli impedimenti perché realizzi in modo armonioso la vocazione presbiterale o a vita consacrata?
Durante il periodo iniziale i fattori di maturazione riguardano – tanto l’omosessuale quanto l’eterosessuale – il progressivo senso di appartenenza rispetto alla comunità, il senso di fede, la capacità di non fare di un dato il tutto di sé, la disponibilità ad incontrare, interfacciarsi, collaborare con altri fratelli e sorelle senza rigide ripartizioni, la libertà interiore da carriera, denaro, protagonismo…
Ci vorrà prudenza nel permettere ad un giovane, una giovane omosessuale, di stare in ambienti omogenei quanto a genere? Certamente. Le sfide sono maggiori per la possibilità di attrazione e legami “di coppia”, ma non si può ridurre tutta qui la vocazione e le sue tensioni. Né si può pensare, in modo intellettualmente onesto, che l’esclusione a priori di un omosessuale sia una strada percorribile, a prescindere da qualunque valutazione seria, globale e costruita con la persona stessa.
Non voglio invocare, anche se sarei tentata, le parole del Papa sui processi da attivare o su altre espressioni di apertura da lui pronunciate, perché tutto può essere strattonato da una parte e dall’altra.
Piuttosto, concludendo:
a) si può riflettere su quale sia “il modello” di prete o consacrato oggi che la realtà formativa ha in mente. È grossolano detto così, ma credo ci capiamo.
b) è bene chiarire in cosa consista la maturità della persona che cammina verso l’ordinazione e/o la consacrazione, criticità ed eventuali impedimenti assoluti di quella persona. La vocazione è una cosa seria ed esigente, peccato quando la si riduce a pezzetti sganciati l’uno dall’altro e dimenticando che si tratta di un incontro divino e umano dove la voce di Dio e la felicità umana convergono.