Siamo preoccupati per i nostri genitori anziani e vorremmo sapere quanto dura il vaccino come protezione, visto che andiamo verso l’autunno. Alcuni dati sul dosaggio degli anticorpi dopo il vaccino non riusciamo ad interpretarli e ci pare ci sia molta confusione. Ci può aiutare?
La terza dose di vaccino
In effetti vige in questo periodo una certa confusione sulla durata di efficacia del vaccino, sull’immunità che si acquisisce dopo la malattia, sulle differenze di immunità al virus a seconda delle diverse età, ecc.
Tale confusione è dovuta a più fattori, molti dovuti alla non chiara informazione trasmessa nei mass-media e alle tante risposte che molti, talvolta non esperti, hanno tentato di fornire nell’incertezza scientifica, prendendo da fonti internet più o meno qualificate e assemblandole, spesso senza una chiara logica, e quindi diffondendole anche via social.
Ma ci sono anche parecchie incertezze che provengono dalla stessa scienza. Il Sars-cov-2 è infatti un virus mai prima incontrato nella specie umana, che si presenta per la prima volta come una infezione talora fatale, con delle caratteristiche peculiari, mai prima sperimentate. La scienza, come per tutti i nuovi fenomeni ha bisogno di tempo per verificare le ipotesi che formula, valutando cosa succede nella popolazione nei mesi o negli anni successivi all’incontro con un agente patogeno. Chi ha provato, ad es. ad inizio pandemia, a precorrere i tempi ha spesso sbagliato ed è stato rapidamente smentito, anche se si trattava di un esperto del settore.
Ecco perché bisogna andar cauti nel proporre formule definitive, anche se alcuni punti fermi li possiamo oggi porre. Anzitutto la quantità di anticorpi dosabili nel sangue non è un indice sicuro dell’immunità acquisita dopo la malattia da coronavirus o dopo i vaccini. Quando veniamo a contatto con un agente esterno dannoso il nostro corpo produce una reazione immunitaria specifica che è mediata da due tipi di cellule: i linfociti B, responsabili della produzione di anticorpi, ma anche i linfociti T che non creano anticorpi ma forniscono una risposta di diverse altre “cellule di memoria” al virus, che sono in grado di attivarsi in caso di incontro con l’agente esterno. Entrambe le risposte sono efficaci in modalità però diversa, anche da soggetto a soggetto, e a seconda del tempo che trascorrere dal primo incontro con l’agente. Come afferma l’immunologo Alberto Mantovani, presidente della Fondazione Humanitas per la Ricerca: «Il dosaggio degli anticorpi è una misura grossolana della risposta immunitaria. Non c’è, ad oggi, quello che viene chiamato un “correlato di protezione”, un livello di anticorpi misurato secondo standard internazionali che assicuri protezione dallo sviluppo dei sintomi da Covid-19 o che indichi se una persona si deve vaccinare o meno».
Non abbiamo poi oggi nessun altro esame che ci indichi con certezza se siamo o meno protetti contro il virus. L’unico dato certo ci può venire solo dal controllo nel tempo di nuovi casi di malattia a livello di popolazione, tra chi ha avuto la malattia o è stato vaccinato. Benché la vaccinazione mostri come circa il 90% di chi viene ricoverato in ospedale e viene trasferito in rianimazione e/o muore, in questi giorni, è un soggetto non vaccinato, vi sono oggi ricoverati in ospedale anche soggetti che avevano già contratto l’infezione od erano stati vaccinati. Ciò sta ad indicare indirettamente una perdita progressiva di immunità.
Stando a una recente analisi nel Regno Unito, la doppia dose di Pfizer/BioNTech e di AstraZeneca inizierebbe il suo declino di protezione entro sei mesi dall’inoculazione: si è osservato in particolare che il primo è stato efficace all’88% nel prevenire l’infezione un mese dopo la seconda dose, ma dopo 5 o 6 mesi la protezione è scesa al 74%. Secondo lo scienziato a capo dello studio inglese, Tim Spector, «uno scenario ragionevole nel peggiore dei casi potrebbe vedere una protezione inferiore al 50% entro l’inverno». È da considerare inoltre che i vaccini Covid sono un po’ meno efficaci contro la variante Delta, che è anche molto più trasmissibile, rispetto alla variante Alpha; ciò, unito all’allentamento delle restrizioni, comporta possibilità aumentate di esposizione al virus.
Si intuisce facilmente come il ciclo previsto per i vaccini attualmente non protegge già sufficientemente alcuni soggetti: gli immunodepressi, i trapiantati, i pazienti oncoematologici, i dializzati, ma anche in media i soggetti anziani fragili – in particolare over 80 anni – che presentano una immunodeficienza legata all’età. Ecco perché per queste categorie la somministrazione della terza dose partirà già dopo 8-9 mesi dalla precedente immunizzazione, come consiglia l’EMA, l’Agenzia Europea per i Medicinali, e ben prima dei 12 mesi di durata previsti dal “nuovo” green pass. Per il resto della popolazione invece la terza dose, se ci sarà, arriverà più tardi e tra i primi sicuramente saranno i sanitari, in quanto sono stati i primi ad essere vaccinati e sono ora i più esposti, lavorando in situazioni francamente a rischio. Va comunque ricordato che su questa materia non ci sono punti fermi e i cambiamenti, in base alle evidenze scientifiche in continua evoluzione, possono essere sempre possibili.