L'esperto risponde / Salute e benessere

Giuseppe Pellegrini

Insegna Innovazione Tecnologia e Società presso l’Università di Trento e nel Master di Comunicazione della Scienza. Si occupa da più di vent’anni dei temi che riguardano il rapporto tra scienza, tecnologia e società e ha partecipato a numerosi progetti di ricerca internazionale. Fa parte del nucleo di esperti valutatori del programma di ricerca europeo Horizon 2020. Ha curato con Andrea Rubin l’Annuario Scienza Tecnologia e Società 2020 (edizioni Il Mulino). E’ Presidente di Observa.

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Scienza e società

Andrea Crisanti e la scienza responsabile

In questi mesi di pandemia, non sempre gli scienziati sono andati d’accordo. Quale è secondo lei il corretto ruolo e la responsabilità dello scienziato nella scena pubblica?

Andrea Crisanti

Esistono momenti in cui si può e si deve andare oltre il confine delle norme. Nel caso della pandemia da Covid-19, abbiamo assistito a uno di questi episodi nel rapporto tra scienza e società. Tra i vari scienziati che sono saliti alla ribalta mediatica, il microbiologo Andrea Crisanti ha svolto un ruolo particolare, dimostrando che l’azione dei ricercatori è orientata dalla verificabilità degli esperimenti non solo per fini teorici, ma anche quando hanno un’utilità pratica.

Il “padre dei tamponi”, così è stato definito Crisanti dalla prestigiosa rivista Science, iniziò a somministrare dei test a giovani che erano tornati nel mese di gennaio dalla Cina, soggetti asintomatici e non. In questo modo decise di operare in modo diverso da quanto indicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Istituto Superiore di Sanità.

Successivamente, in accordo con la Regione Veneto, Crisanti diresse un esperimento epidemiologico nel comune di Vo’ Euganeo. L’esperimento confermò il potere di trasmissione degli asintomatici. L’azione epidemiologica più efficace, secondo Crisanti, è quella di chiudere gli accessi a un determinato territorio, somministrare i tamponi a tutti i residenti e isolare i positivi. L’esperimento ebbe successo e nel Veneto iniziò una campagna di test a tappeto coinvolgendo un numero molto elevato di persone.

In modo indiretto, Crisanti lanciò una sfida coraggiosa all’OMS, adottando una pratica di cura non prevista per la situazione di pandemia che stavamo vivendo nel nostro paese. In un’intervista disse: «Ho imparato che nella scienza bisogna sfidare lo status quo se si vuole andare avanti», per affrontare un crisi come quella del Covid-19, andando contro una direttiva ministeriale ritenuta fondamentalmente sbagliata, come i fatti hanno poi dimostrato.

L’azione di Crisanti mette in luce due aspetti fondamentali del ruolo dello scienziato nella scena pubblica: la responsabilità e la credibilità. Fronteggiando pareri diversi e spesso opposti, Crisanti ha messo in gioco la sua reputazione scientifica proponendo soluzioni controintuitive e impopolari.

In questo modo, pur rimanendo nel suo ambito di competenza, ha dato un contributo rilevante alle scelte di politica sanitaria favorendo l’individuazione di soluzioni adeguate. Inoltre, la sua credibilità è cresciuta grazie all’efficacia di quanto suggerito e realizzato, particolarmente quando è riuscito a mantenere un rapporto costruttivo con le diverse componenti sociali, anche quando vi sono state inevitabili divergenze sui tempi e i modi di realizzazione.

Al pari di altri importanti scienziati che nel corso della storia hanno proposto innovazioni ardite e poco comprensibili, come Pasteur o Foucalt, Crisanti è andato al di là di quanto previsto dalle norme per poter esplorare nuove soluzioni e avviare percorsi efficaci di prevenzione e cura. In questo modo ha messo in luce come sia possibile proporre una scienza responsabile anche quando si devono affrontare situazioni di crisi e diffusa incertezza.

 

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Scienziati e media

Anche gli scienziati scioperano…

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Non le sembra che gli scienziati siano stati troppo in questo periodo? In certi giorni erano in tutti i talk show, e con posizioni anche diverse. Il risultato è stato che hanno generato una certa confusione e incertezza nel pubblico.


Nel periodo di diffusione della pandemia da Covid-19 abbiamo assistito a una presenza numerosa e costante di scienziati nel panorama mediatico. In molte occasioni essi sono stati interpellati per fornire informazioni, pareri e anche consigli. Esperti ed esperte di scienza si sono avvicendati in vari momenti e occasioni tanto da diventare popolari con la loro presenza e in alcuni casi anche con pubblicazioni dedicate esclusivamente al Coronavirus. Gli scienziati sono stati recentemente anche protagonisti di una mobilitazione in forma di sciopero in occasione del Black Lives Matters per la morte di George Floyd, protestando in modo inedito con l’appoggio di Nature e Science, le due riviste più diffuse e autorevoli del panorama scientifico internazionale. L’impegno e la presenza mediatica così rilevante è un fenomeno eccezionale come la situazione sanitaria che abbiamo vissuto nel periodo tra febbraio e maggio 2020. Normalmente, infatti, non è così frequente sentire pareri degli esperti di scienza e tecnologia con questa intensità. L’analisi del ruolo svolto dagli esperti scientifici nell’ambito della comunicazione con il pubblico permette di fare alcune considerazioni. Scienziati, incertezza e decisori pubblici Sappiamo molto poco sul Coronavirus, ce l’hanno ripetuto più volte gli scienziati sottolineando che ci vorrà tempo per capire come si svilupperà e come si potrà sconfiggerlo. Questo argomento pone al centro del loro messaggio l’incertezza, un elemento discorsivo problematico per poter fare delle valutazioni sui rischi e soprattutto su come formulare le politiche pubbliche utili a gestire il fenomeno. Molti scienziati hanno ribadito il concetto: «sappiamo di non sapere», e alcuni di loro hanno limitato le apparizioni, altri invece hanno continuato a partecipare al dibattito pubblico muovendosi a volte oltre le loro competenze suggerendo strategie, strumenti e azioni. In questi casi il loro ruolo si è spinto al di là di quanto richiesto come esperti della materia anche se la situazione di eccezionalità e la pressione mediatica richiedeva risposte anche in tal senso. In questi mesi si è verificata dunque una trasmissione diretta di informazioni tra scienziati e pubblico, evitando le tipiche procedure che solitamente utilizzano gli scienziati comunicando i loro risultati prima di tutto nelle loro comunità di studio o ai decisori pubblici. In questo modo il pubblico ha ricevuto una pluralità di pareri a volte molto diversi se non addirittura opposti. Ciò è stato richiesto dalle istituzioni e dal mondo dei media ampliando le possibilità di partecipare al dibattito pubblico. Si deve anche tener presente che negli ultimi anni il mondo della ricerca scientifica ha investito risorse importanti nella comunicazione pubblica per aumentare la propria legittimità e far conoscere le attività di ricerca a un pubblico sempre più vasto. La fase di pandemia, dunque, è servita a rinforzare questo tipo di tendenza offrendo uno spazio più ampio di relazioni con la società. Scienziati e decisioni politiche Accanto alla sovraesposizione degli esperti scientifici si è notata anche una sovrapposizione di ruoli con i decisori pubblici. Questo è dovuto al fatto che la comunicazione del rischio è un processo dinamico di scambio di informazioni tra chi studia il fenomeno pandemico, chi valuta il rischio e chi lo deve comunicare. Se non si gestiscono accuratamente le relazione tra i soggetti diversi, si possono verificare dei veri e propri cortocircuiti comunicativi. È compito della politica fare valutazioni sulle incertezze e sul rischio al fine di prendere decisioni efficaci per il contenimento della pandemia e la tutela della salute pubblica. È altresì compito dei politici proporre una comunicazione istituzionale coerente per gestire le situazioni di crisi. Tuttavia, abbiamo notato in più di un’occasione che le diverse opinioni e una certa confusione di ruoli ha prodotto una comunicazione confusa, con informazioni a volte contradditorie e ragioni opposte non sempre comprensibili. Non di rado alcuni politici hanno sostenuto misure in aperto contrasto con i pareri scientifici ufficiali, come nel caso delle linee proposte dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, oppure hanno suggerito di utilizzare strumenti su cui non vi era un parere concorde nella comunità scientifica. Scienziati e opinione pubblica La pandemia da Covid-19 ha messo in moto una ricerca spasmodica di informazioni, dati e pareri scientifici per conoscere il virus e i suoi effetti assieme alle precauzioni per poter tutelare la propria salute. La sovraesposizione degli scienziati ha permesso dunque di soddisfare le necessità del pubblico ricevendo dalla viva voce degli addetti ai lavori le informazioni necessarie. Allo stesso tempo, però, le diverse posizioni e le interpretazioni proposte hanno disorientato il pubblico. Nel caso dei tamponi, ad esempio, alcuni scienziati suggerivano di farne un uso esteso mentre altri, più vicini alle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne proponevano un uso limitato a coloro che manifestassero sintomi evidenti del contagio. Queste e altre dinamiche informative poco lineari hanno composto un quadro che si è via via reso difficile da decifrare causando spaesamento e confusione. Gli italiani hanno ben compreso la situazione. Le loro opinioni, studiate con l’indagine Observa (Gli Italiani e il Coronavirus, aprile 2020, Observa Science in Society) realizzata nel mese di aprile, mettono in luce che la diversità di pareri dati da parte degli esperti nei loro interventi abbia creato confusione (48%); a questo si aggiunge un ulteriore 8% che riconosce la competenza degli esperti scientifici italiani nel merito, ma ne valuta negativamente la capacità comunicativa. Per un altro 11% della popolazione, onde evitare confusione sul piano comunicativo, sarebbe meglio che gli esperti dessero i loro pareri in via confidenziale solo alle istituzioni. Sette italiani su dieci, infine, ritiene che si troveranno soluzioni per sconfiggere il Covid-19, ma i tempi saranno lunghi. Scienziati e media Nell’era dei social media ci saremmo aspettati che il pubblico avrebbe fatto ricorso primariamente ai vari strumenti della rete per acquisire informazioni e affrontare gli imprevisti della pandemia. Ebbene, non è stato così. La maggior parte degli Italiani ha ricorso ai cosiddetti media tradizionali come la televisione e la carta stampata per poter comprendere meglio le cause e gli effetti della pandemia. Ciò è dovuto al fatto che se si vuole approfondire un tema come il Covid-19 e se si vogliono conoscere le politiche di contenimento, i social non permettono un grande grado di approfondimento, almeno per l’uso che comunemente se ne fa. Piuttosto essi sono efficaci per notizie di prima necessità, azioni collettive a cui partecipare o campagne di raccolta fondi. Di qui la possibilità di ricevere informazioni mediante le conferenze stampa giornaliere e le trasmissioni di approfondimento in cui moltissimi scienziati hanno dato il loro contributo. Scienziati e scienziate hanno avuto un’occasione importante pe poter migliorare il rapporto con la società in un periodo drammatico e imprevisto causato dalla diffusione del Covid-19. Abbiamo visto che la ricerca di visibilità da parte degli scienziati e dei politici, anche se motivata da ragioni istituzionali e civiche giustificate, può aumentare le normali tensioni che si devono affrontare nel valutare i rischi di una situazione di emergenza. Queste tensioni devono essere gestite con un piano comunicativo adeguato concertato tra gli attori coinvolti. Un noto motto della comunicazione del rischio recita: «informare ma non per infiammare». A questo motto potremmo aggiungere anche: «informare e non confondere» visto quanto accaduto nel corso della pandemia recente. Per gestire adeguatamente la comunicazione in momenti di emergenza sanitaria si richiede dunque una collaborazione efficace tra scienziati, politici e media per offrire al pubblico poche e corrette informazioni che aiutino a gestire la complessità di eventi eccezionali.  
Media

Italiani creduloni?

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Ho appena sentito il notiziario di un’emittente radiofonica. L’ultima notizia era la seguente: «Uno studio afferma che nel mondo un miliardo di persone potrebbero essere contagiare dal coronavirus». Senza dire chi ha effettuato questo studio e su quali basi è stato condotto. Questo modo (ormai dilagante) di fare informazione è da irresponsabili. Genera solo angoscia se non panico. Siamo costretti a subire questo bombardamento senza poter fare nulla? Grazie  


I mezzi a nostra disposizione permettono a molte persone di essere autori indipendenti di notizie imprecise, quasi mai sostenute con dati certi e a volte anche completamente false. Ma è molto grave che gli organi di informazione propongano notizie prive di fondamento scientifico e nessun riferimento a studi accreditati. Bisogna comunque considerare che gli italiani e le italiane non sono così creduloni come sembra. Infatti, i dati dell’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società 2020, che rilevano il loro punto di vista, indicano che quasi il 70% ritiene che circolino notizie scientifiche false sul web e sui social. Inoltre, la stessa percentuale si dichiara convinta che le notizie debbano essere valutate in base alla fonte da cui provengono e confrontandole con altre fonti. Si registra dunque una consapevolezza diffusa del fenomeno delle fake news e si guarda in modo critico alle notizie che provengono dai media. Non si deve però trascurare il fatto che esiste ancora una fascia di popolazione facilmente condizionabile, il 25%, che sottovaluta il problema e può facilmente subire passivamente un eccesso di notizie false. Come cittadini abbiamo il dovere di informarci e consultare criticamente quanto ci viene proposto, soprattutto facendo attenzione a condividere, inviare o rilanciare messaggi dai toni eccessivi. Gli stessi dati dell’Osservatorio confermano che tra le cause della diffusione di fake news si riconoscono principalmente i comportamenti individuali istintivi e frettolosi. Infine, i media hanno il dovere di proporre notizie verificate e riconducibili a studi ufficiali superando la tentazione di essere i primi a dare una notizia e la ricerca spasmodica di originalità. La proposta di argomenti credibili e sostenuti da riferimenti corretti permetterà ai produttori e ai fruitori di notizie scientifiche di trovare maggiore equilibrio limitando, ove possibile, la diffusione di notizie false.   Giuseppe Pellegrini, PhD Lecturer on Innovation, Technology and Society https://webapps.unitn.it/People/it/Web/Persona/PER0038757#INFO
Epidemia Covid-19

Gli italiani e la comunicazione del rischio

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Gli Italiani sono stati abbastanza bravi durante la fase 1 nel seguire le indicazioni del Governo. Ma ora mi sembra che la confusione stia aumentando sulle prospettive dell'apertura per la fase due, anche perché i vari esperti che si susseguono in tv hanno spesso idee diverse, se non contrarie. Ne deriva una sensazione di confusione e di paura per il futuro. Che ne pensa? A chi dare retta? Un italiano preoccupato


Da quando si è diffuso in febbraio il Covid-19 in Italia, si è sviluppato un flusso di comunicazione che ha visto impegnati politici, esperti e comunicatori nella scena pubblica in modo non sempre lineare. Abbiamo assistito, più volte, alla difficoltà di collaborazione tra scienziati e politici nel dare informazioni chiare e coerenti sullo sviluppo della pandemie e sulle modalità di fronteggiarla. Non di rado sono state diffuse informazioni non corrette assieme alle cosiddette fake news. Se da un lato, ad esempio, l’OMS e l’Istituto Superiore di Sanità suggerivano certe misure di contenimento, dall’altro i decisori pubblici sostenevano regole più o meno vincolanti generando un comprensibile disorientamento nell’opinione pubblica. Sono state trasmesse, a volte, informazioni spesso contraddittorie all’interno di uno stesso notiziario e, nel tempo, si sono sviluppate anche accese polemiche. Questo processo comunicativo, in parte caotico, si sviluppa normalmente quando si tratta di gestire la cosiddetta comunicazione del rischio. I soggetti che sono coinvolti in questo processo dovrebbero fornire al pubblico informazioni tempestive, chiare e attendibili scientificamente, mantenendo la trasparenza senza drammatizzare le situazioni di rischio e proponendo progressivamente una pianificazione del post periodo di emergenza. Queste attività sono suggerite dalle linee guida dell’OMS sulla comunicazione in caso di pandemia ma, come è evidente in queste settimane, spesso non si riesce a seguirle. Ma come si informano e come la pensano gli Italiani sul COVID-19? Nei mesi di marzo e aprile Observa ha condotto due indagini su un campione rappresentativo della popolazione italiana mediante l’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società che dal 2003 studia l’orientamento dell’opinione pubblica sui temi di scienza e tecnologia. [caption id="attachment_151372" align="aligncenter" width="1024"]Fig.1: Fonti di informazione sul Covid-19. Gli italiani e il Coronavirus, Marzo Aprile 2020, Observa – Osservatorio Scienza Tecnologia e Società a cura di M. Bucchi e B. Saracino Fig.1: Fonti di informazione sul Covid-19. Gli italiani e il Coronavirus, Marzo Aprile 2020, Observa – Osservatorio Scienza Tecnologia e Società a cura di M. Bucchi e B. Saracino[/caption] Analizzando le fonti di informazione, si rileva che due terzi degli italiani (in deciso aumento rispetto a marzo) fanno riferimento principalmente a notiziari tv e radio; diminuisce invece la quota di chi si informa sui canali web di istituzioni nazionali, come il Ministero della Salute o la Protezione Civile, e regionali o comunali (14,7%). Stabile la stampa quotidiana, mentre si riduce ulteriormente il ricorso alle informazioni postate dai propri contatti social e anche quelle ottenute tramite il proprio medico di base. (Fig. 1)   I cambiamenti più significativi rispetto a marzo si registrano sulla percezione del rischio legato al Coronavirus. È aumentata infatti di ben 30 punti percentuali la quota di chi ritiene che chiudersi in casa sia l’unico comportamento efficace per evitare il contagio; al contempo, si è praticamente azzerata la percezione di chi (quasi un italiano su cinque a marzo) minimizzava il rischio. Il giudizio sul ruolo delle istituzioni è fortemente positivo per la Protezione Civile, che migliora ulteriormente (quasi nove italiani su dieci ne giudicano positivamente l’operato). Aumenta anche la percentuale di consensi per le attività di comuni e regioni di residenza e quella per l’operato del Governo, oggi valutato positivamente da due italiani su tre. Giudizi più positivi anche per i mezzi di informazione, mentre resta stabile il dato sull’Organizzazione Mondiale della Sanità. Due terzi degli italiani giudicano negativamente l’operato dell’Unione Europea in questa pandemia (Fig. 2). [caption id="attachment_151373" align="aligncenter" width="1024"]Fig. 2: Informazione e fiducia nelle istituzioni, Marzo Aprile 2020, Observa – Osservatorio Scienza Tecnologia e Società a cura di M. Bucchi e B. Saracino. Fig. 2: Informazione e fiducia nelle istituzioni, Marzo Aprile 2020, Observa – Osservatorio Scienza Tecnologia e Società a cura di M. Bucchi e B. Saracino.[/caption] Interessanti le variazioni regionali: il giudizio sull’operato del governo è più positivo al Sud e nelle Isole e più negativo al Nord; viceversa, il giudizio positivo sull’operato delle regioni e dei comuni di residenza raggiunge il massimo nel Nord-Est (87% di giudizi positivi sull’operato delle regioni e 82% sull’operato dei comuni), mentre il giudizio negativo raggiunge il massimo al Sud. Meno positivo il giudizio sulla comunicazione in questa emergenza. Quasi un italiano su tre giudica la comunicazione del Governo appena sufficiente, e il 17% la giudica scadente. Poco chiara ed efficace, secondo gli intervistati, la comunicazione di Comuni e OMS, mentre il giudizio è più positivo per l’Istituto Superiore di Sanità e la Protezione Civile. L’aspettativa per la “fase due”, l’uscita dall’emergenza, è che serva un mix di interventi, con un ruolo importante per la ricerca. Elevata la fiducia nella scienza, ma quasi un italiano su due vede nella diversità di pareri dati dagli esperti una potenziale fonte di confusione (Fig. 3).   [caption id="attachment_151374" align="aligncenter" width="496"]Fig. 3: Per superare l'emergenza Covid cosa bisogna fare? (% dati raccolti tra il 2 e il 9 aprile 2020). Osservatorio Scienza Tecnologia e Società a cura di M. Bucchi e B. Saracino Fig. 3: Per superare l'emergenza Covid cosa bisogna fare? (% dati raccolti tra il 2 e il 9 aprile 2020). Osservatorio Scienza Tecnologia e Società a cura di M. Bucchi e B. Saracino[/caption]   I dati raccolti evidenziano due principali criticità: la diversità di pareri tra esperti e decisori pubblici che favorisce il disorientamento e la scarsa coesione europea in un momento di crisi in cui si dovrebbe sviluppare un efficace coordinamento. ---- L’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società è dal 2003 un monitoraggio permanente dei comportamenti e delle opinioni dei cittadini italiani su questioni relative a scienza e tecnologia. La prima rilevazione sul COVID-19 è stata effettuata tra il 3 e il 10 marzo, intervistando 1002 unità. Il totale dei casi è diventato 979 per effetto della ponderazione applicata allo scopo di rendere la struttura del campione rispetto alle variabili «genere», «età» e «titolo di studio» corrispondente a quella della popolazione italiana. La seconda rilevazione è stata condotta tra il 3 e il 10 aprile intervistando 1048 unità (che sono diventate 1029 per effetto della ponderazione). In entrambe le rilevazioni le informazioni sono state raccolte con la tecnica CATI per il 30% del campione e con la tecnica CAWI per il restante 70%. 845 casi hanno risposto sia alla prima sia alla seconda rilevazione. www.observa.it
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