Ho letto la sua ultima rubrica. Può spiegare come si fa concretamente a creare questi spazi di fraternità, dove far nascere il senso comunitario tra sacerdoti?
Psicologa e Psicoterapeuta EMDR, Consultore del Dicastero per il Clero, Perito della Rota Romana e dei Tribunali del Vicariato di Roma, ho studiato presso la Pontificia Università Gregoriana e poi mi sono specializzata in Psicologia clinica e Psicoterapia psicoanalitica. Mi occupo in particolare di formazione e accompagnamento psicoterapeutico della vita sacerdotale e consacrata e di problematiche di coppia. Collaboro nella ricerca e nella docenza con l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna. Con l’editrice Città Nuova ho pubblicato tre libri: La pietra della follia, Per sempre o finché dura e Percorsi vocazionali e omosessualità.
Ho letto la sua ultima rubrica. Può spiegare come si fa concretamente a creare questi spazi di fraternità, dove far nascere il senso comunitario tra sacerdoti?
Don Marco Vitale, la riflessione del numero scorso ha sollecitato da parte di diversi lettori alcuni approfondimenti, che cerchiamo di rendere ancora più concreti. Partiamo dal dato positivo e incoraggiante che diversi vescovi sono aperti e desiderosi di rendere sempre più efficace l’ambiente formativo del seminario, e si avvalgono di figure interne ed esterne per rendere dinamica e responsabilizzante la formazione. Sulla stessa linea oggi molti formatori e rettori hanno acquisito competenze raffinate rispetto alla dimensione umana della persona, per cui sanno cogliere eventuali fragilità, e quando occorra proporre al giovane un accompagnamento più personalizzato. Insomma non siamo all’anno zero.
Tuttavia credo che ci sia da considerare “il clima” che il giovane respira in seminario, o meglio cosa il seminario “abbia in mente” riguardo a chi è in cammino.
Torniamo alla dimensione fraterna: come Lei ha detto il seminario è una grande opportunità di gruppo, ma di fatto viene spesso vissuto come un albergo.
Tento con occhio femminile di immaginare se non potrebbero essere ripensati alcuni spazi che sono anche luoghi di crescita, ad esempio tornare alle camere condivise. So che questo oggi attiva delle paure enormi, ma un ventenne che si allena a fare i conti con un altro rispetto alle proprie abitudini e comodità, può essere conosciuto anche attraverso queste dimensioni micro-comunitarie. Altrimenti in seminario i giovani trovano più comodità di quelle che lasciano a casa, e meno fratelli di quelli che avevano in famiglia.
«Per semplificare il ragionamento, accolgo come verificata l’ipotesi che oggi i seminari offrano una proposta ecclesiale e formativa di eccellenza. Mi sembra estremamente interessante la duplice questione: quale aria respira un giovane in seminario? Cosa ha in mente il seminario sul seminarista?
Il giovane, in seminario, nella stragrande maggioranza dei casi non può che respirare l’aria che vi trova! E a volte l’aria non è oggettivamente salubre. Cosa il seminario abbia in mente sul seminarista è ancora più complesso perché è un mix tra le idee del vescovo (o dei vescovi nei casi dei seminari regionali), del rettore, del vicerettore, dei formatori, dei padri spirituali…
Sarebbero utili idee chiare ma di certo questo tempo è per la Chiesa un tempo di fragilità, di trasformazione, ma anche di potenziali risorse e tutto questo non può che rispecchiarsi nella formazione remota e permanente del clero. A solo modo di esempio, credo sia sufficiente ricordare che a distanza di quattro anni dalla pubblicazione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis la Chiesa italiana non ha ancora pubblicato una recezione ufficiale a livello di Chiesa nazionale, mostrando tutta la fatica dell’episcopato italiano ad indicare delle direzioni chiare e condivise.
Sull’ipotesi delle camere condivise, personalmente non sono d’accordo per diversi motivi. Innanzitutto, perché sarebbe una situazione totalmente artificiale rispetto alla prospettiva di vita del futuro prete e, a volte, anche alle abitudini di vita del giovane in famiglia. Inoltre, è essenziale aiutare il giovane che entra in seminario a comprendere che non diventa né orfano né figlio unico: quando in casa si condivide la camera da letto lo si fa con il fratello o con la sorella mentre i compagni di seminario sono altro! È importante che il seminarista venga aiutato ad avere un cuore aperto ma anche con dei confini e, lo spazio della propria camera, credo sia un buono “spazio” di esercizio quotidiano.
Sarebbe però importante che in alcune occasioni particolari, per esempio un tempo di vacanza, si proponesse ai seminaristi la possibilità di dormire in camere comuni. Questo aiuterebbe a lavorare sulla capacità di adattamento dei futuri sacerdoti.
Credo che in seminario esistano servizi concreti estremamente validi per sondare un giovane: la cucina, la pulizia degli spazi comuni, la portineria: in questi ambiti è difficile nascondersi e non suscitare reazioni davanti a comportamenti irresponsabili».
Mi viene in mente un altro aspetto che potrebbe allenare il giovane a costruire relazioni con altri giovani e futuri sacerdoti: attivare dei tempi per le verifiche di gruppo, e non solo per quelle a tu-per-tu col formatore. Non si tratta di un capitolo delle colpe, ma di offrire strumenti che saranno utili anche nella vita pastorale: sapersi confrontare con altri preti e non viaggiare per conto proprio come se questo bastasse alla vita di un presbitero. Non mi pare siano diffusi confronti tra sacerdoti diocesani.
«Generalmente, in seminario esistono tre livelli di vita quotidiana: il seminarista, il gruppo (per esempio, la classe) e la comunità intera. Credo che sia estremamente utile, in una prospettiva formativa, creare legami a più livelli e a diverse sfumature.
Il seminario non deve essere il luogo e il tempo in cui fare solo mille cose, ma anche dove avere tempo per riflettere con calma e rileggere e condividere le esperienze vissute.
È importante potersi raccontare in un ambiente non giudicante, ascoltarsi reciprocamente, giungere a scelte comuni (e non sempre necessariamente condivise). I seminaristi vanno aiutati e accompagnati a vivere il passaggio dallo scegliere la cosa migliore per sé a quella migliore in sé stessa, non solo con una scelta logica ma anche con un discernimento spirituale che dovrà essere sia individuale che comunitario.
Questa attenzione dovrà poi essere coltivata ed approfondita, grazie alla formazione permanente del clero, negli anni successivi all’ordinazione presbiterale».
Infine, mi pare che un altro rischio grande che lei introduce possa essere «il bravo seminarista», che sa cosa può dire e cosa non dire, e così la verità di chi sia e cosa provi interiormente rimane celata fin dopo l’ordinazione (e infatti dopo, nei primi anni di sacerdozio, a volte emergono «soprese»). Complice, talvolta, è la mancata riservatezza interna all’ambiente formativo e quindi la scarsa fiducia che il giovane costruisce verso chi lo accompagna, «e sei poi lo racconta al Rettore?». È vitale, penso, favorire l’autenticità del dono di sé, senza omologarlo secondo un modello che il seminarista apprende e al quale si adegua. Come in famiglia, una delle qualità più belle di un gruppo di crescita è lo spazio per essere se stessi, per poter esprimere ciò che si vive: paure, gioie, fatiche, debolezze, cadute, senza sconti («questo è meglio che non lo dico») né timori, per poi poterci lavorare. Senza questa opportunità preziosa tutto il processo vocazionale rimane falsato e non aiuta certo a formare un prete vero e autentico, ma solo una specie di figura artificiale.
«Concordo. Personalmente ritengo che i giovani in formazione tendano ad essere estremamente compiacenti nei confronti dei loro superiori/formatori. Per limitare questa tendenza è necessario che ci siano dei formatori che siano uomini innanzitutto «risolti» sotto questo aspetto e particolarmente attenti a non sponsorizzare un modello di bravo seminarista.
Non possiamo negare che esistano due questioni di fondo:
Alla fine di questa intervista in due puntate con don Marco Vitale (che nella diocesi di Roma collabora nell’equipe della formazione permanente del clero, in particolare nell’accompagnamento umano e spirituale dei sacerdoti), raccolgo ciò su cui abbiamo riflettuto, a rapidi cenni:
Nella mia comunità ogni volta che una giovane, peggio se è meno giovane, decide di cambiare strada, c’è l’abitudine di mettere la cosa a tacere e da quel momento non se ne parla più. Questo atteggiamento mi dispiace e mi fa davvero arrabbiare. Una consacrata
Quale “tipo” di comunità dovremmo offrire ai nostri giovani? Un formatore Le mie consorelle si lamentano che non ho abbastanza attenzioni per loro. In fin dei conti mi pare che si parli di “famiglia” solo quando fa comodo. Una responsabile generale
Mi trovo un po’ confuso: da una parte mi pare che ci sia una bella apertura e un bel rinnovamento nella vita consacrata, dall’altro temo che non riusciamo più a trovare una nostra identità, i giovani a volte sono difficili da gestire, e il rapporto maschile-femminile rimane per loro e per noi una grande sfida. Un formatore
In parrocchia ci sono molte donne sole, vedove o separate. E la solitudine a volte è molto dura da sopportare. Come far sentire loro il calore della vicinanza e dell’accoglienza, senza essere frainteso? Un prete [caption id="attachment_113454" align="alignnone" width="5184"] sacerdote cattolico[/caption]
Faccio parte di una piccola comunità di consacrati. Il mio problema è che la responsabile di comunità è anaffettiva, incapace di calore, ascolto, comprensione. Forse è anche una questione di intelligenza. Comunque una sorella è recentemente andata via perché non ce la faceva più: non ne abbiamo neanche potuto parlare in comunità, come se fosse un fastidio trascurabile o una vergogna. Ma siamo una famiglia o no? Mi chiedo cosa Dio vuole da me, e se è il caso di andarmene anch’io. Ho provato a parlare con qualche superiore, ma mi dicono solo di amare la croce. Che ne pensa? Paola
Non riesco a sopportare un fratello di comunità. L’ho visto all’opera nella sua falsità. Ne ho anche parlato con un superiore, ma non voglio accusarlo, potrebbe essere una mia antipatia personale. Comunque non lo reggo proprio e cerco di stargli lontano più possibile. [caption id="attachment_107146" align="alignnone" width="1024"] Religiosi[/caption]