In questo periodo di pandemia è bene che siano gli scienziati a comandare e decidere cosa devono fare i cittadini, oppure la politica deve riprendersi la responsabilità di decidere?
Esperto in informazione e comunicazione scientifica, editorialista e collaboratore del Corriere del Mezzogiorno. Ha scritto diversi libri, tra cui, Dio lo vuole. Intervista sulla Crociata con Franco Cardini; Ogni giorno l’amore un reportage sull’affettività di coppia realizzato con Vittoria Modugno; Cattolici dal potere al silenzio, un’intervista a Beppe del Colle sull’evoluzione politica dei cattolici dal dopoguerra a Berlusconi (Premio Capri-San Michele 2011); Una chiesa al passo coi tempi con Rocco d’Ambrosio.
L’ultima opera pubblicata è in libreria da qualche mese, Scienze e spiritualità. La Trascendenza tra cultura, ricerca neuroscientifica ed evoluzione. Realizzata con Vito Antonio Amodio è un approccio scientifico al tema della spiritualità basato su ricerche neuroscientifiche. Per i ragazzi Pellegrini ha scritto il romanzo Il mistero dei cavalieri del rombo.
Nel 2014 ha vinto il Premio nazionale divulgazione scientifica per il giornalismo con servizi sulle frontiere delle neuroscienze. In collaborazione con il Corriere del Mezzogiorno ha organizzato, a Bari, il Festival della scienza.
In questo periodo di pandemia è bene che siano gli scienziati a comandare e decidere cosa devono fare i cittadini, oppure la politica deve riprendersi la responsabilità di decidere?
Politica e scienza non hanno la stessa preoccupazione, ma da prospettive diverse potrebbero trovarsi a dover concorrere per lo stesso obiettivo. Questo è quanto ha messo in evidenza il Covid 19. Ma se da un lato è la tutela della salute l’emergenza più impellente, dall’altro non si può negare l’importanza delle ragioni dell’economia, del lavoro e delle famiglie. Le decisioni non sono così semplici. Maggiormente in Italia che in altri stati, poiché salute e lavoro sono entrambi diritti di rango costituzionale.
La scelta del lockdown, la chiusura di tutte le attività, reputata fondamentale dalla scienza per arginare la pandemia, ha trovato resistenze in diversi Paesi. Per esempio, negli Usa e in Inghilterra. Gli esiti sono assai drammatici. Con rispettivamente 81 mila morti, secondo la Johns Hopkins University, e 40 mila, secondo le stime dell’Office for National Statistics, gli Usa e l’Inghilterra sono al vertice della tragica classifica dei decessi da coronavirus. Anche nel continente europeo non sono mancate le voci distoniche. La Svezia, infatti, ha deciso di non chiudere. In questi Paesi la politica si è mossa in totale autonomia rispetto alla scienza, accettando anche rischi notevoli.
Scienza e politica si possono trovare, quindi, anche in contrapposizione su problemi scottanti e in una società democratica il tema è delicato e non può essere eluso. «La scienza – ha scritto Walter Ricciardi, consigliere del Ministero della Salute per l’emergenza coronavirus in febbraio su Avvenire – è un sistema di conoscenze caratterizzato dalla ricerca della verità attraverso prove riproducibili, mentre la politica è una vocazione pienamente impegnata nelle scompaginate circostanze e nei compromessi del mondo reale».
Tutto, però, è molto più complesso a partire dai tempi. Quelli della politica e della scienza sono molto diversi. La scienza ha bisogno di evidenza, di dati che confermino o confutino le ipotesi; la politica, invece, considera la rilevanza del problema, ciò che è più importante nel momento in cui deve prendere una decisione. Da un lato la ricerca, dall’altro il pragmatismo. Tra questi due ambiti si dipana il rapporto tra scienza e politica.
Che cosa sa la scienza del coronavirus? Molto, ma non abbastanza per dare risposte a percorsi terapeutici o vaccini. Tanti sono i dati raccolti in questi mesi, molte le piste seguite per trovare una via di uscita, ma nessuna ha superato ancora le regole di una sperimentazione rigorosa. Quello che è successo è abbastanza semplice: i medici hanno utilizzato le conoscenze impiegate in casi analoghi e hanno ottenuto qualche buon risultato. Si tratta tuttavia di indicazioni, di piste promettenti da verificare, al più di speranze. Altra cosa è un vero e proprio studio osservazionale. «Da quando la pandemia ci ha investito – ragiona sul Corriere della sera Paolo Giordano, fisico prim’ancora che scrittore – l’umanità intera vive in un limbo della conoscenza, dove gli indizi non sono prove, dove le cure sono ‘promettenti’ ma non adeguatamente sperimentate, dove gli articoli sul Covid sono pre-print in attesa di validazione».
Se per la scienza il cammino è ancora in salita, per il cittadino e la politica, spesso a digiuno di cultura scientifica, contano più le paure a livello sociale e le incertezze sul futuro. Le emozioni hanno un peso maggiore nella decisione politica rispetto alla razionalità scientifica.
Inoltre, sebbene la disputa e la dialettica appartengano alla fisiologia del lavoro scientifico, il dissenso tra scienziati rischia di alimentare la confusione e di creare pretesti per il pregiudizio. Tanto dice tra le righe un sondaggio di Mediamonitor.it. sui politici e i virologi più citati. Nonostante il periodo favorevole per la scienza, il primo virologo della lista è Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, più volte presente in varie trasmissioni televisive in queste settimane. Il suo nome compare solo al diciannovesimo posto.
In queste condizioni il bilanciamento tra le ragioni della scienza e quelle della politica non è affatto semplice.
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