So che è un tema particolarmente delicato che non può essere compreso in poche battute, ma vorrei avere delle piste di riflessione, dal punto di vista psicologico, in merito all’inserimento di persone omosessuali in seminario o in comunità. Un formatore di seminario
Omosessualità e vocazione
Condivido pienamente che sia un tema delicato che richiede la massima onestà morale ed intellettuale per non assumere posizioni ingenue o liquide, secondo il trend del momento. Parlarne in un breve spazio è riduttivo e io stessa so che non è pensabile affrontare la complessità dell’argomento senza riduzionismi maldestri, anzi qualora ciò accadesse mi scuso in anticipo.
Perciò Le propongo di parlarne attraverso più puntate della rubrica, precisando fin d’ora che questi articoli sono da leggere insieme, per non frammentare il discorso e ridurne la complessità.
Questo primo articolo sarà uno sguardo generale, molto importante. Nella puntata successiva, considererò nel concreto se e come e quando è possibile l’inserimento di persone con orientamento omosessuale in una comunità. Questo inserimento non è scontato e non è un processo lineare, in quanto chiama in causa molteplici livelli, affettivi, relazionali e di convivenza sana – vedi i diversi interventi prudenziali del Papa e dei documenti ufficiali – che cercheremo di affrontare camminando insieme con la Chiesa. Quindi attenzione a non sbriciolare il tema con slogan che esulano da qualunque intenzione di fondo.
Chi entra in seminario o in una realtà carismatica ha intuito di poter corrispondere al Vangelo facendo dono della propria vita in una scelta profondamente impegnativa. Non lo è meno la vita in coppia e genitoriale, ma al sacerdote, al consacrato/a è richiesta una maturità umana “particolare”.
Ci tengo a spiegarmi al meglio: le persone con una vocazione (cioè risposta ad una chiamata) al sacerdozio o alla vita consacrata non devono essere persone stra-ordinarie, con qualità di eccellenza, ma persone che abbiano la struttura umana necessaria ad affrontare impegni specifici. Ad esempio:
- il vivere insieme ad altri che non sono stati scelti;
- l’avere spazi personali ridotti (si pensi alla vita del futuro sacerdote o ad un consacrato che viva in comunità);
- un’autonomia che sarà sempre condivisa con i responsabili: vescovo, superiori, confratelli, popolo di Dio…
- impegni apostolici di grande responsabilità morale;
- e, certamente non ultimo, che siano “capaci” di sostenere per tutta la vita una scelta celibataria/di castità.
In cosa consiste concretamente questa capacità, avendo appena detto che non si tratta di avere superpoteri? Credo che si potrebbe esprimere nei termini della maturità psico-affettiva, tanto cara al nostro papa, la quale, sul piano dei progetti di vita, consiste nel «perseguire obiettivi esistenziali coerenti e significativi sia nel breve sia nel lungo periodo». Non sono parole mie, ma di un Manuale condiviso dalla Comunità scientifica internazionale, (DSM-5, sez. III), che propone una sorta di tabella sul “funzionamento ottimale della personalità”. In altre parole (questa volta mie): una griglia dove vengono indicati gli aspetti che delineano la maturità ottimale.
Tra questi, c’è proprio la capacità di perseguire con coerenza un obiettivo di vita, oggi, domani e sempre. Allora se l’obiettivo è il seguire Cristo facendo dono della propria sessualità/genitalità – un impegno di altissimo livello! – il cammino di accompagnamento deve sì considerare l’aspetto sessuale, che però si inserisce nel quadro della persona matura, a prescindere dal suo orientamento che da solo è poco indicativo di “come sia” la persona. Qui bisogna essere coraggiosamente chiari.
Valutare la maturità vuol dire, concretamente: se la persona, nel tempo, diventa sempre più capace di coerenza, sviluppa sempre di più il senso di appartenenza alla realtà scelta, diventa sempre più armoniosa nelle sue diverse dimensioni cognitive, affettive, comportamentali.
Non c’è solo l’aspetto strettamente fisico che, fuori di dubbio, è assai importante.
Pornografia in rete, relazioni morbose all’interno della comunità, crisi di gelosia, attaccamento al potere e al denaro, elevata conflittualità, scarsa generosità, gestione degli impulsi instabile (rabbia, sesso agìto)… sono tutti segnali che rimandano ad aree di immaturità affettiva più o meno gravi, a prescindere dall’orientamento. L’impegno ad amare Cristo in modo totalitario, fedele, unificato nel corpo e nella mente, vale per chiunque inizi un processo vocazionale.
L’orientamento sessuale in se stesso, quindi, è scarsamente indicativo della maturità personale. Non dice se quel ragazzo, quella ragazza, quell’uomo, quella donna sia in grado di sostenere, non solo nell’oggi, ma anche nel domani, la solitudine, l’assenza di un partner esclusivo, la gestione degli impulsi e tutto il resto che la vocazione richiede. E neppure se nella scelta vocazionale la persona sta cercando un rifugio o una fuga dalle sfide del vivere senza una realtà istituzionale che lo “protegga”.
Dunque, l’orientamento sessuale è uno degli aspetti che fanno parte dell’identità, dell’affettività e della sessualità della persona, e in quanto tale innanzitutto va portato a consapevolezza: intraprendere un percorso vocazionale richiede una buona conoscenza di se stessi, in modo che la sessualità possa diventare “oggetto” di crescita, perché obiettivo è l’appartenenza totale a Cristo, anche attraverso il proprio corpo.
Mi sembra un punto importante.
Quanto più ci si conosce – e questo può accadere solo se ci si apre con fiducia a formatori, accompagnatori, persone competenti – tanto più si matura in modo autentico, sia nell’identità che nella propria vocazione.
Non è pensabile camminare da soli, o gestire per conto proprio il mondo interiore supponendo di “conoscersi abbastanza”, con il “fai-da-te”. Mai.
Si può crescere, certo: ciò che era immaturo ieri, può migliorare, ma questo necessita un’apertura e un accompagnamento vocazionale competente, serio ed autentico. Il formatore deve essere preparato a questo ruolo, non spaventarsi, essere disponibile ad accogliere la complessità umana, soprattutto odierna. Questa capacità favorisce l’apertura sincera dei/delle giovani.
D’altra parte chi è in formazione dovrebbe avere il coraggio e l’onestà di confrontare desideri e bisogni, senza timore che ciò comprometta il cammino formativo (sperando che sia così veramente), ma anche aperto ad accettare l’eventuale consiglio che altrove la sua realizzazione troverebbe condizioni più adeguate.
Concludo: sottovalutare la dimensione fisico-sessuale in una scelta vocazionale è ingenuo perché è un aspetto centrale dell’essere umano, per cui va “educato” e affiancato, ma di questo torneremo a parlare. Tuttavia maturare – che è poi imparare ad amare e fare dono integrale di sé – è un processo esigente, impegnativo sul piano spirituale e psicologico, che non può essere ridotto a un’unica dimensione.