Sono un giovane sacerdote, non so se possiamo dire qualcosa di nuovo sulla nostra condizione di povertà numerica, mi domando, però, se e come possiamo uscire da un clima che oggi sembra buttarci giù, piuttosto che incoraggiare il nostro operato. Mi confronto con altri sacerdoti e con religiose e, di solito, nei nostri scambi prevale – peggio degli anziani! – un vagheggiare il passato, quando avevamo un credito diverso nella società. Non so lei cosa ne pensa di questo, grazie. Un sacerdote
Quando facciamo incontri di formazione per fasce di età, oppure quando ci sono raduni giovanili, mi si riallarga il cuore. Vedo tanti che, come me, vogliono essere aiutati ad andare avanti nel cammino vocazionale e non vogliono cedere alle voci – talvolta da parte delle stesse consorelle – che ci chiedono: «Ma come fai a rimanere lì dentro con tutte quelle anziane dalla mentalità superata? Pensaci bene!» Una novizia.
Non offrirò una risposta “esatta”, piuttosto condivido alcune considerazioni che traggo da voci maschili e femminili sul campo, che cioè vivono l’esperienza vocazionale in prima persona, e quindi non fanno semplicemente teoria.
È vero, ormai si parla da tempo della crisi vocazionale, cioè del calo numerico delle vocazioni sacerdotali e di vita religiosa, soprattutto in Europa. «C’è stato un calo del 16% in 30 anni. In cifre assolute, si è passati dai 38 mila sacerdoti diocesani del 1990 ai 32 mila del maggio 2019 […] l’altro dato che non va trascurato è l’età media che è sensibilmente cresciuta: più di 1/3 degli attuali sacerdoti ha oltre settant’anni, quindi c’è un calo di vocazioni e un aumento di età […] e la gente di fede si è sentita un po’ disorientata» (Domenico Agasso a Tv2000).
È difficile, se non impossibile, delineare una patogenesi del fenomeno. Smarrimento di fede? Varietà di forme di vite, non solo dicotomiche, matrimonio/vita religiosa? Delusione dei contesti vocazionali? Cambiamento antropo-tecnologico? Credo che ci sia un po’ di tutto ciò.
Direi, però, che dovremmo innanzitutto assumere una prospettiva non catastrofica, per cui è necessario riconoscere il problema, ma «come fa Gesù con i discepoli quando stanno davanti al campo nel quale cresce il grano e la zizzania, e i discepoli son preoccupati di togliere la zizzania, Gesù dice: occupatevi del grano […] il problema […] non deve farci perdere la speranza e l’entusiasmo di poter lavorare per il grano che tutti riguarda (don Michele Gianola, direttore Vocazioni CEI, ib.)».
Allora, siamo d’accordo sul dato di realtà, diminuzione numerica a fronte di un aumento dell’età media, ma cerchiamo di osservarlo con uno sguardo fiducioso. Naturalmente l’argomento è complesso e quindi le considerazioni sono altrettanto complesse. Vorrei, però, concentrarmi qui proprio sull’atteggiamento interiore che dovremmo riuscire ad assumere oggi.
È una tentazione enorme focalizzarsi solo sui punti oscuri, sui deficit attuali – veri e non immaginari, sia chiaro – perdendo di vista che, ieri come oggi, ci sono testimoni gioiosi e credibili di vocazioni compiute e realizzate, sacerdoti, missionari e consacrate che spendono la loro vita sentendosi realizzati. Felici. Non saprei quantificare se la capacità di amare sia maggiore o minore nel nostro tempo, anche perché ha poco senso: sono convinta che ogni epoca abbia la sua pienezza.
Anche la nostra ce l’ha, sebbene si misuri con una sfida importante: riaccendere la bellezza del saper dare la propria vita per sempre (in coppia e nelle vocazioni di speciale appartenenza) e la speranza che il dono di se è possibile e conduce ad una compiutezza anche sul piano umano e non solo spirituale.
Concretamente, come si rende possibile tutto questo? Credo cercando di guarire dalla attuale «cultura del controllo», che impedisce di aprirsi «all’imprevedibile azione dello spirito Santo» e radicarsi in questa apertura (T. Radcliffe, ex Maestro generale dei Domenicani, da: Una verità che disturba). Si tratta, evidentemente, di un atteggiamento interiore da formare e alimentare, in quanto non spontaneo.
Bisogna poi, attraverso il coraggio di morire a vecchie consuetudini e a categorie che non reggono i cambiamenti dei tempi, risorgere in forme nuove. In effetti il modo di comprendere e vivere l’essere sacerdote o consacrato ha bisogno di rinnovamento.
Ancora Radcliffe scrive che «dare disposizioni per la propria casa non significa fare le pulizie di primavera. Vuol dire prepararsi a morire. E certamente questo è un tempo di morte e resurrezione per la Chiesa. […] Ma di quale tipo di nuovo ordine abbiamo bisogno affinché questa morte e rinascita si compia? Paradossalmente, secondo papa Francesco, ci serve più disordine […] Ai giovani del Paraguay ha raccomandato: «fate chiasso, ma aiutate anche a gestire e organizzare il chiasso che fate. Fate chiasso e organizzatelo bene! Un chiasso che ci dia un cuore libero, un chiasso che ci dia solidarietà, un chiasso che ci dia speranza» (ib.).
Anche dal punto di vista psicologico, talvolta è vitale fare disordine per poter acquisire un ordine nuovo. Sistemare una cosa qua e là talvolta è poco efficace.
Riassumendo: quello che possiamo fare, davanti ad analisi nefaste e crisi di speranza, primo è non dare credito a chi vuol convincerci che i credenti spariranno e le vocazioni sacerdotali e a vita religiosa andranno fuori moda! Secondo: non aver paura dei cambiamenti, il cristianesimo non è una religione “sicura”, e quelli che vogliono sicurezza si sgomentano di fronte alle perplessità. Lo dice questo grande domenicano, T. Radcliffe, nel recente Convegno del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. In quel medesimo contesto Chiara Amirante racconta la propria folle esperienza col popolo della notte e delle periferie umane, insieme al recupero di tanta umanità disperata.
Ho voluto, in questo numero, riportare l’esperienza di uomini e donne reali, che vivono in prima persona atteggiamenti fondamentali di fiducia nell’amore che si dona, perché sono convinta che essi indichino strade concrete di fronte alle perplessità e ai timori che il giovane sacerdote e la novizia esprimono anche a nome di moltissimi altri. E perché danno un contributo fondamentale rispetto all’ansia del futuro che oggi imperversa tra di noi. È chiaro, ci sono situazioni interiori e psicologiche che necessitano di un percorso specifico per cui potrebbe non essere sufficiente incontrare testimonianze vere. Tuttavia queste non sono da trascurare proprio perché ci ricordano che ci sono migliaia di vocazioni felici, mature e vitali, che svolgono con gioia il loro ministero, con amore e grande generosità (cf. Una verità che disturba).