Ennesimo episodio di baby gang a Napoli: 8 ragazzi aggrediscono un quindicenne a calci e pugni, senza alcun motivo. Sono allibita. Perché?
Ragazzi in balia del male
Quando abbiamo a che fare con una baby gang ci sentiamo impotenti, scoraggiati, incapaci a volte di capire. Infatti, se la violenza va sempre condannata, la violenza degli adolescenti sembra assurda. Ragazzi che dovrebbero amare la vita, essere desiderosi di aspettarsi il meglio dal futuro, pieni di vigore come il loro corpo testimonia, si spendono, invece, in aggressioni e minacce, con comportamenti mafiosi e manipolatori.
I ragazzi delle baby gang sono bambini cresciuti troppo in fretta, con problematiche legate soprattutto alla incapacità di comprendere il male che fanno, considerando la vita come un gioco perverso, a chi domina di più.
Sono ragazzi in balia del male, un male che non ha spiegazioni. È la banalità e superficialità del male. Come superficiali sono i ragazzi che li compiono. Perché?
Molteplici sono le cause, che messe insieme arrivano ad un unico risultato: ragazzi incapaci di essere responsabili, perché incapaci di entrare nel loro profondo e in quello degli altri. Sembra che la vita e le cose scivolino loro addosso, senza riflessione, senza motivazione se non quella del potere e del dominio.
Tutto questo perché non hanno sperimentato la bellezza di amare ed essere amati. Hanno solo una richiesta spasmodica di essere considerati. La loro violenza è il grido acuto e disperato di chi vorrebbe essere al centro, ma è un grido che fa male, porta ingiustizia, in una spirale perversa. Cosa fare?
Oltre a condannare la violenza e a mettere in campo gli interventi coercitivi, per riscattare veramente il male occorre investire nella parte migliore che ancora in loro c’è. Ecco alcune proposte concrete: organizzare scuole formative a loro dedicate, strutturare momenti di autoriflessione, abituarli ad esercitare la capacità di introspezione, fargli vivere esperienze di altruismo mediante lavori socialmente utili.
In questo modo potranno forse comprendere il male fatto agli altri e a loro stessi, un male che occorre sconfiggere non tanto con la punizione, quanto con la crescita dell’umano che c’è in loro, e in noi.