Mi è piaciuta l’immagine del progetto di Dio come di un progetto plastico, ma vorrei che si spiegasse meglio, in quanto questo potrebbe essere frainteso nel senso di “liquido”, come è proprio del nostro tempo. Mi piacerebbe che lei approfondisse il significato di plasticità. Un formatore
La vocazione: un viaggio
In effetti, come Lei, in diversi mi hanno chiesto un approfondimento. Parlare oggi di liquidità, lo sappiamo bene, significa riferirsi alla mutevolezza incondizionata per cui tutto sembra soggetto a cambiamento, anche da un giorno all’altro.
La plasticità invece ha tutt’altra valenza.
Parlare del progetto di Dio come di un progetto plastico significa che esso è come un kit da viaggio che contiene gli strumenti necessari per affrontarlo, ma senza istruzioni dettagliate su come sarà il viaggio stesso, fatto di strade, percorsi in salita, in discesa, di giornate soleggiate e piovose.
Credo che la vocazione sia la scoperta graduale della strada che porta al raggiungimento della meta: in termini di fede è l’incontro con Dio, in termini psicologici è la condizione di benessere pieno, cioè la felicità.
Sarebbe schiacciante per l’essere umano, che nel tempo cambia, evolve, scopre aspetti nuovi di sé, si lascia toccare da incontri significativi, pensare alla vocazione come qualcosa di definito, che si abbraccia in modo chiaro e irreversibile fin dall’inizio.
So di camminare su un crinale rischioso con questo discorso, per i possibili fraintendimenti.
Un mio docente era solito ripetere che l’individuo nasce con organi sessuali “precoci” cioè già attivi e operativi a partire dalla pubertà, ma con un “ritardo” rispetto alla maturità psicologica. La maturità umana non va di pari passo con lo sviluppo sessuale e la capacità generativa. Aggiungeva che le scelte di vita, idealmente, avrebbero una migliore garanzia di tenuta addirittura dopo i 30-35 anni. Il che, però, è incompatibile con la durata complessiva dell’esistenza media dell’essere umano. In altre parole: la sola età cronologica non è sinonimo di capacità di compiere scelte esistenziali. D’altro canto, le scelte fatte con l’entusiasmo giovanile hanno comunque la possibilità di essere riconfermate e consolidate negli anni.
È solo attraverso il tempo (attraverso tutti gli anni della nostra vita) che il progetto di Dio, cioè la nostra felicità, si va rivelando. Il discernimento è proprio l’essere aiutati, attraverso il confronto con un terzo (un accompagnatore spirituale e/o uno psicologo), a rileggere e interpretare gli avvenimenti quotidiani per comprenderne il significato.
La Chiesa stessa riconosce che il percorso vocazionale che conduce a una scelta definitiva si snoda o si dovrebbe snodare per oltre un decennio – peccato che lo stesso non avvenga per le coppie che si preparano al matrimonio! –, proprio perché non sempre gli anni canonici, ad esempio il noviziato, pur con tutta la buona volontà, sono sufficienti perché la persona comprenda se quella è effettivamente la strada per lei.
Quante scoperte fa chi intraprende un cammino vocazionale, riguardo a se stesso, alla propria storia familiare, al modo di stare in relazione, stupendosi della progressiva conoscenza personale!
Nella vita possono sempre intervenire eventi importanti, un lutto, una nascita, un nuovo lavoro, la perdita del lavoro… per cui è chiaro che il progetto abbozzato deve essere rimodellato, il che è ben diverso dal far saltare ogni coordinata inventando giorno per giorno cosa si vuol essere e diventare.
Senza un’autentica capacità di lettura giornaliera di quanto ci succede, si rimane bloccati in un’idea astratta, teorica che, non essendo capace di adattarsi alle circostanze di vita, rende la persona infelice.
Punti di riferimento ce ne vogliono, i valori evangelici, ad esempio, lo sono. Ma è bello (non inquietante, né liquido), camminare e lasciarsi aiutare a scoprire in quale strada si può essere felici.