Le scrivo di getto dopo avere letto la sua risposta Quando la comunità delude, che mi ha molto toccata per l’argomento dell’autenticità vocazionale.
Premetto che non sono una consacrata, solo una persona ancora in cammino, alla ricerca della mia vera “vocazione”, nonostante sia sposata da 15 anni e mamma di due bambine. Ho sempre pensato che la vocazione fosse il luogo dove incontriamo Dio con la parte più profonda di noi stessi, dove c’è “assonanza" tra chi sono io veramente e ciò che Lui vuole fare di me […].
Da qualche anno però, la nostra situazione familiare è cambiata. Mio marito ha accettato un posto di lavoro all’estero, anche se io non ero d’accordo; dopo poco, per tenere insieme la famiglia, mi sono trasferita anche io con le figlie, pensando che questa fosse una soluzione temporanea […] Però la sola vita “familiare” non mi basta… sono quindi una mamma disinteressata? Una moglie poco dedita a mio marito? […] poiché metto sempre in discussione me stessa e non mi fido di ciò che provo o desidero, mi chiedo se non ho completamente sbagliato strada, e se non ho ancora capito niente di me stessa e del progetto di Dio su di me.
Quindi ogni giorno, come credente tuttora “in cammino”, prego chiedendo: […] “Quale è il Tuo disegno sulla mia vita, qual è il mio posto nel mondo?”. Qual è la mia vocazione, dov’è il luogo intimo dove posso incontrare Dio e sentirmi pienamente realizzata? Una moglie e mamma
Grazie di cuore per la profondità e il calore con cui condivide i suoi interrogativi, ai quali mi accosto con grande rispetto; solo per ragioni di spazio ho dovuto abbreviarli. Più che una risposta esaustiva le mie sono riflessioni.
Bella l’immagine della vocazione come
assonanza:
sì, la chiamata di Dio coincide con ciò che io sono e che mi rende migliore, più felice, pienamente me stessa. Talvolta si usano strane immagini per rappresentare la vocazione, come fosse un progetto esterno che “devo accettare”, scollato da ciò che desidero, e al quale mi affanno a corrispondere. Non credo sia così.
Dio parla attraverso il desiderio.
Arriva però la parte più impegnativa: come tradurre questo desiderio nel concreto della vita, soprattutto quando, come nel suo caso, ci si trova di fronte a dei bivi, oppure, dopo aver fatto una scelta (sposarsi e avere figli), cambiano alcune coordinate importanti, ad esempio il partner affronta un cambio di lavoro stravolgente per la famiglia?
Che fare?
Rimpiangere il tempo in cui le scelte erano ancora aperte?
No. Questo non aiuta per niente.
Cancellare la storia scritta fino a questo momento come fosse tutta un grande errore?
Impossibile.
Nel suo caso i figli sono il segno tangibile che Dio è passato attraverso la sua vita e l’ha benedetta.
È possibile, però, che la sua esistenza, così come si presenta ora, non sia più soddisfacente e la faccia sentire “allo stretto”. Con
sano realismo, che vuol dire dare ascolto anche a queste emozioni “meno brillanti” di malessere – lei usa l’espressione fidarsi di – si possono cercare, all’interno della vocazione primaria (moglie e mamma),
nuove modalità che restituiscano senso di pienezza, di appartenenza, di essere utile (lei fa cenno a queste dimensioni). Direi quasi che è un
dovere prendere sul serio questi bisogni, tutt’altro che “colpevoli”.
Reinventarsi. Il progetto di Dio è
plastico, non rigido (non sia mai), si va rimodellando attraverso il tempo e i cambiamenti della nostra vita. C’è infatti una
storia della salvezza, non un momento singolo. Una storia a due, dove Dio non si limita a “tollerare” i nostri sbagli, ma
modifica il suo progetto su di noi, tenendo conto delle nostre vicende a volte contorte.
Credo, quindi, che la vocazione personale vada riscoperta proprio attraverso le
nuove variabili che sopraggiungono e le
emozioni che suscitano, segnali di come muovere il prossimo passo.
Incontro ogni giorno uomini e donne di diverse età che credono di essere intrappolati in una vita che non sentono propria e, incapaci di reagire, si lasciano sommergere dalla tristezza e dal rimpianto, rimanendo immobili. Bloccati dalla paura di non avere altre chance.
Mi creda,
c’è sempre un’altra possibilità.
È vitale, però, confrontarsi,
non restare da soli in questi punti di guado. Le suggerisco di trovare qualcuno che condivida i suoi valori, con cui avere un confronto serio, coraggioso, personale e autentico, senza fretta. Lei, comunque, mi sembra già in questa positiva disponibilità.