La ringrazio molto per la rubrica «L’identità di un carisma». Vorrei aggiungere alcune considerazioni. Penso che dobbiamo avere cura di non fare delle norme e delle regole «il nemico». Ritengo che le norme servano a far più bella la nostra consacrazione al Signore e mi sembra che oggi ci sia una facile tentazione di buttare via qualcosa che sicuramente è esigente e che richiede molta libertà interiore di vivere il nostro carisma nella sua totalità, senza paura. Un Rettore
Regole soffocanti o necessarie?
Grazie Padre per questo suo commento, il senso della rubrica vuole essere proprio il confronto tra prospettive diverse e Lei avrebbe molto da dire per il servizio che svolge. Le propongo alcune risonanze alle sue considerazioni sul valore delle norme.
Una prima, più generica, riguarda la crisi dell’autorevolezza, della capacità di offrire orizzonti di senso e di saper dire, soprattutto alle nuove generazioni, che l’essere umano non è onnipotente. Non avere alcun limite non è indice di forza, piuttosto è la strada verso una fragilità che può degenerare in confusione e depressione. In un mondo dove tutto è possibile, e non c’è percezione di confini, non c’è posto neppure per la speranza. Se l’uomo è onnipotente non ha più niente da attendere e migliorare.
Durante la due giorni di Loppianolab, un laboratorio di economia, cultura, comunicazione e formazione (www.loppianolab.it), una ragazza che ha partecipato al pre-sinodo raccontava del grido disperato che i giovani rivolgono agli adulti perché si facciano sentire nelle loro vite come punti di riferimento e non come presenze-fantasma (lo dico con parole mie). Perciò Lei ha ragione nel dire che la crisi attuale investe “le norme” in senso ampio. In poche parole: le norme sono necessarie per la salute mentale e spirituale.
Tuttavia, come Papa Francesco ci ricorda nell’Amoris Laetitia al numero 304 «È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano». E prega caldamente, nello stesso numero, di ricordare l’insegnamento di San Tommaso: «Sebbene nelle cose generali vi sia una certa necessità, quanto più si scende alle cose particolari, tanto più si trova indeterminazione. […] È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari». E viceversa, il particolare non può essere elevato a livello di norma. Mi sembra un passaggio molto importante dell’Esortazione apostolica che può essere applicata in diversi campi.
L’equilibrio tra la persona singola e le regole generali è sempre molto difficile, ma non si può rinunciare a cercarlo, di volta in volta, per ogni singola vocazione. Per questo l’accompagnamento ed il discernimento sono arti che richiedono competenza, una sufficiente maturità psicologica, e certamente una solida vita interiore e di preghiera. Senza questi fattori, tutti indispensabili, i rischi sono molteplici: chi accompagna, spaventato di fronte alle richieste o comunque alla varietà delle persone in vocazione, potrebbe livellare le diversità per non avere troppi grattacapi.
Oppure potrebbe utilizzare se stesso come criterio per valutare quello che è giusto o sbagliato, o ancora applicare rigidamente «quello che è scritto», senza riuscire a tener conto della storia e dell’identità singola. È chiaro che in questi casi la ricchezza dei diversi talenti si perde e la comunità tende ad appiattirsi, perde la sua forza vitale, e diventa un pensionato non attraente.
O anche, e purtroppo non è infrequente, diventa un ambiente dove le persone non hanno mai acquisito quel minimo di autonomia che la persona adulta sana dovrebbe avere, anche in vista dei futuri impegni pastorali e apostolici.
Oggi più che mai, anche per la complessità delle nuove generazioni, è proprio necessaria un’attenzione nuova, che era mancata in passato.
Credo, allora, che la norma dovrebbe essere come la propria casa, che offre un tetto che ripara dal freddo, dalla pioggia, dal sole cocente, e mura che custodiscono l’intimità del proprio nucleo familiare. Se, però, le pareti diventano troppo blindate, allora non ci si sente più a casa, si diventa, anzi, perfino estranei in quell’ambiente, lo si abita malvolentieri e non se ne ha più cura.
Magari sarebbe bello se le persone più anziane raccontassero a quelle più giovani come alcune regole sono nate, ne spiegassero il valore ed il senso, narrando le loro esperienze di vita. Qualora, però, nell’oggi, queste non fossero più così utili, si dovrebbe avere il coraggio di guardare avanti.