Papa Francesco ha parlato delle suore chiuse nello loro stanze col pc. Internet e i social riducono la vita in comune? Piera
Psicologa e Psicoterapeuta EMDR, Consultore del Dicastero per il Clero, Perito della Rota Romana e dei Tribunali del Vicariato di Roma, ho studiato presso la Pontificia Università Gregoriana e poi mi sono specializzata in Psicologia clinica e Psicoterapia psicoanalitica. Mi occupo in particolare di formazione e accompagnamento psicoterapeutico della vita sacerdotale e consacrata e di problematiche di coppia. Collaboro nella ricerca e nella docenza con l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna. Con l’editrice Città Nuova ho pubblicato tre libri: La pietra della follia, Per sempre o finché dura e Percorsi vocazionali e omosessualità.
Papa Francesco ha parlato delle suore chiuse nello loro stanze col pc. Internet e i social riducono la vita in comune? Piera
Fino a poco tempo fa erano soprattutto le realtà maschili a trovarsi coinvolte in questa riflessione, perché l’impronta più individualista – più autonoma se vogliamo dirla in positivo – dei gruppi di uomini favorisce la creazione di spazi alternativi a quelli comunitari. Anche pornografia e alcol sono stati fino a poco tempo fa problematiche prevalentemente maschili, perché di fronte alle difficoltà c’è un’attitudine allo sfogo che nell’uomo è immediata, esplicita e concreta, nella donna è più “contorta” ed elaborata, anche se non per questo meno grave. Due uomini che non vadano d’accordo in genere discutono apertamente, due donne utilizzano strategie passive micidiali.
Ora però le cose stanno cambiando, nel senso che anche le comunità femminili si trovano a fare i conti con un uso massiccio dei social e con esperienze di amicizie in rete piuttosto che dentro casa.
Certo, all’inizio di un percorso vocazionale alcune accortezze possono essere utili – ad esempio non disporre di mezzi propri, computer o cellullare, soluzione che alcune Congregazioni adottano – ma poi come si procede?
Qualche giorno fa ero con un gruppo vivace di giovani consacrate, impegnate e riflettere sulla qualità della loro vita fraterna, perché dopo vari anni di vita insieme si sono rese conto che c’è bisogno di conoscersi “veramente”, cioè oltre la forma di atti compiuti negli stessi orari e sotto lo stesso tetto.
Mi hanno colpito, c’è voluto del coraggio per trovarsi insieme un’intera giornata a dirsi apertamente che forse oltre agli studi individuali o alle lezioni accademiche serve un contatto reciproco più umano, più caldo, dove ciascuna si senta riconosciuta, guardata, incoraggiata.
Le realtà femminili hanno questo punto di forza: il bisogno di vicinanza, innato in noi donne, spinge a lottare finché non si costruisca un ambiente familiare, e ad intervenire quando magari una sorella comincia ad isolarsi.
Gli uomini si lasciano in pace se anche notano che qualcuno di loro inizia a farsi “i fatti suoi”, noi macché…ci diamo il tormento fino a che non ci capiamo qualcosa. È proprio il caso di dire che i limiti talvolta diventano una risorsa!
Sentire una giovane chiedere all’altra spiegazioni di comportamenti incomprensibili mi è parso un segno proprio bello di anti-solitudine; rinnovare l’esigenza di non dare per scontate alcune parole, quelle care a Francesco, anche semplicemente di buon appetito o di buongiorno con un sorriso e non a denti stretti, è un atto gigantesco anti-abbrutimento.
Quindi la difficoltà non è tanto decidere se e quanto computer può utilizzare ogni suora. L’obiettivo vero è andare in profondità nell’amicizia e nell’accoglienza reciproca in comunità. Ritrovare le ragioni dello stare insieme. Una volta fatto questo, tutto il resto è secondario: ogni comunità si darà le sue regole con Internet, regole condivise (cioè decise insieme) ed applicate con serietà.
Come è finita la giornata? Con un doveroso “selfie” di gruppo!
Credo di non scandalizzare nessuno dicendo che uno dei problemi che affliggono la vita comunitaria, parlo ovviamente a partire dalla mia esperienza, sono le gelosie che si vengono a creare. Perché una sorella magari studia fuori, può sembrare che abbia possibilità in più delle altre, solo per fare un esempio. Insomma sono convinta che invidia e gelosia siano le piaghe delle nostre realtà di comunità. Una consacrata A volte penso che sia più facile confidarmi con una persona esterna al mio ambiente che con un confratello. Ho visto confronti e scontri che nascono da una sorta di gelosia tra di noi, sebbene non abbiamo incarichi di potere che “giustifichino” i nostri atteggiamenti diffidenti! Un sacerdote
Sono un giovane sacerdote, non so se possiamo dire qualcosa di nuovo sulla nostra condizione di povertà numerica, mi domando, però, se e come possiamo uscire da un clima che oggi sembra buttarci giù, piuttosto che incoraggiare il nostro operato. Mi confronto con altri sacerdoti e con religiose e, di solito, nei nostri scambi prevale – peggio degli anziani! – un vagheggiare il passato, quando avevamo un credito diverso nella società. Non so lei cosa ne pensa di questo, grazie. Un sacerdote Quando facciamo incontri di formazione per fasce di età, oppure quando ci sono raduni giovanili, mi si riallarga il cuore. Vedo tanti che, come me, vogliono essere aiutati ad andare avanti nel cammino vocazionale e non vogliono cedere alle voci – talvolta da parte delle stesse consorelle – che ci chiedono: «Ma come fai a rimanere lì dentro con tutte quelle anziane dalla mentalità superata? Pensaci bene!» Una novizia.
Sono una formatrice di un monastero di clausura. È arrivata da noi una giovane che ha espresso il desiderio di condividere la nostra vita, ma soffre di un disturbo alimentare piuttosto serio, per cui è visibilmente e notevolmente sottopeso e io, anzi noi, siamo preoccupate per questo aspetto. È in gamba, ha fatto un percorso di studi solido ed è ben seguita dal punto di vista medico per cui ora ha un suo equilibrio, ma in seguito? E fino a quando? Il sacerdote che l’accompagna ha obiettato che se non siamo noi ad accogliere una ragazza come lei, chi dovrebbe farlo? E questa sua osservazione ha acuito il nostro sentirci in colpa e confuse. Se lei potesse dirci qualcosa ci sarebbe di aiuto. Grazie.
Sono moglie e madre di tre figli, il più grande è un adolescente, mentre il più piccolo frequenta le scuole elementari. Siamo vicini a una comunità religiosa di cui condividiamo il carisma e alla quale diamo una mano, mio marito e io, aiutando nell’organizzazione degli incontri, nella diffusione dell’intuizione del fondatore e partecipando ad alcuni momenti di vita fraterna. Ora stiamo ragionando sulla possibilità di costituire un ramo laico con altri che, come noi, sentono proprio quel carisma. Tuttavia, da laici, l’impressione che abbiamo è di essere considerati ancora di serie “B”, come se dovessimo guadagnarci la stima e la credibilità. In fondo, credo che l’idea del matrimonio rimanga un «di meno» rispetto a una consacrazione piena. Abbiamo scritto questa breve riflessione a quattro mani con mio marito, e insieme vorremmo da lei qualche considerazione.
Come dire alle persone cosa non va in loro? Come organizzare momenti di reciproco scambio sui problemi di convivenza? Un formatore
Passo la maggior parte del mio ascolto ad accogliere le osservazioni pungenti che giovani e meno giovani si fanno l’uno “contro” l’altro. È micidiale per il clima comunitario lo spirito critico esagerato e il parlare alle spalle che spesso arriva alla persona interessata e la ferisce al punto tale che poi ricucire la relazione col gruppo diventa complicatissimo. Vorrei che spendesse qualche parola su questo tema perché mi sembra un’emergenza del nostro tempo, trasversale alla cultura e alle generazioni. Da dove nasce? Come si può affrontare? Un formatore