In parrocchia ci sono molte donne sole, vedove o separate. E la solitudine a volte è molto dura da sopportare. Come far sentire loro il calore della vicinanza e dell’accoglienza, senza essere frainteso? Un prete
Psicologa e Psicoterapeuta EMDR, Consultore del Dicastero per il Clero, Perito della Rota Romana e dei Tribunali del Vicariato di Roma, ho studiato presso la Pontificia Università Gregoriana e poi mi sono specializzata in Psicologia clinica e Psicoterapia psicoanalitica. Mi occupo in particolare di formazione e accompagnamento psicoterapeutico della vita sacerdotale e consacrata e di problematiche di coppia. Collaboro nella ricerca e nella docenza con l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna. Con l’editrice Città Nuova ho pubblicato tre libri: La pietra della follia, Per sempre o finché dura e Percorsi vocazionali e omosessualità.
In parrocchia ci sono molte donne sole, vedove o separate. E la solitudine a volte è molto dura da sopportare. Come far sentire loro il calore della vicinanza e dell’accoglienza, senza essere frainteso? Un prete
La sua domanda trova eco nella storia che mi ha condiviso proprio in questi giorni un giovane parroco il quale, generoso e disponibile con tutti, si è ritrovato letteralmente invaso dagli sms di una donna, sola, a cui lui aveva dedicato del tempo di ascolto, né più né meno che quello che dedica ordinariamente a chi glielo domandi. Messaggi confidenziali oltre il dovuto, che lo hanno molto amareggiato e fatto sentire in colpa, nel timore di essere stato lui a lasciar fraintendere un’intimità che non era sua intenzione creare.
La situazione non è così rara…
Il sacerdote, come il religioso, è spesso oggetto di fantasie di vicinanza e di “amicizie esclusive”, anche per la parte di mistero che li circonda, senza una famiglia, affettivamente “soli”, cioè celibi, spesso bei ragazzi, con una vita interiore che si suppone intensa, insomma tutte caratteristiche, reali, che possono nutrire l’immaginazione seduttiva. Se a ciò si aggiunge un temperamento aperto ed accogliente, direi che la miscela diventa potenzialmente esplosiva.
Per rispondere alla sua domanda provo ad offrirle qualche suggerimento molto semplice e concreto, che ho constatato essere utile anche nella vita di coppia e che non dovrebbe produrre ansie o fobie ulteriori, quanto evitare equivoci! Innanzitutto i luoghi di incontro: a parte le amicizie che sono già tali e quindi consolidate e di fiducia, gli incontri andrebbero pensati in spazi appropriati (non si fa psicoterapia al bar per favorire l’apertura), riservati quando è necessario, ma non in ambienti che possano creare ambiguità (ad esempio quando la chiesa è chiusa).
Può accadere, e talvolta è importante farlo, essere da soli, a tu per tu con la persona, per comunicare vicinanza e calore, come lei dice, tuttavia questa modalità non deve diventare la norma, cioè l’unica possibile: è bene ci siano contesti allargati in cui quel rapporto si può ritrovare ed inserire, e soprattutto non serve lo scambio confidenziale di messaggi al di fuori dei momenti deputati a parlare. Se inizialmente messaggiare, chattare, può sembrare di supporto, poi rischia di sconfinare. È naturale, è umano, nulla di drammatico, perciò ci vuole “testa”, non solo “cuore”.
Nella coppia, ad esempio, una nuova conoscenza che uno dei due partner frequenta, e che non sia strettamente di lavoro, può essere vissuta insieme e ciò favorisce la condivisione e quindi la chiarezza che non si tratti di qualcosa di “esclusivo”. Portare in comunità amicizie nuove o semplici conoscenze, incontrare anche in gruppo “quella” donna sola, penso trasmetta ugualmente affetto, ma riduce i fraintendimenti.
Per dirlo in altre parole: far rete, non procedere da soli, aiuta a sentirsi meno in balia delle proprie e delle altrui debolezze, e la comunità, in qualunque forma – famiglia, fraternità di preti, gruppi parrocchiali – si fa “garante” rispetto a situazioni simili a quella che lei ha raccontato.
Giornali e tv sono pieni di notizie e polemiche sullo scandalo degli abusi nella Chiesa cattolica. Che ne pensa?
Sono una formatrice, in passato responsabile del mio Istituto, non più giovanissima, anzi in “terza fascia”, ma credo di avere la mente piuttosto aperta, nonostante l’età. Con la mia comunità stiamo riconsiderando le consuetudini e l’organizzazione della giornata, perché è ora di rimettere mano a quanto c’è da cambiare. Mi rendo conto di quanto differente sia la vita dei nostri confratelli uomini…
…ma la tendenza ad affidare tutto agli psicologi non rischia di insidiare l’unità e la credibilità della Chiesa? Un formatore
Seguo le sue interessanti rubriche, ma ho un dubbio di fondo, spero non offensivo: da duemila anni la formazione vocazionale viene fatta attraverso “educatori e padri spirituali”, formati a loro volta in modo univoco sul vangelo e la tradizione della chiesa. Ora la tendenza ad affidare tutto agli psicologi (ognuno che fa riferimento a una diversa teoria, di questo o quel “maestro”) non rischia di insidiare l’unità e la credibilità della Chiesa? Un formatore
Mi è piaciuta l’immagine del progetto di Dio come di un progetto plastico, ma vorrei che si spiegasse meglio, in quanto questo potrebbe essere frainteso nel senso di “liquido”, come è proprio del nostro tempo. Mi piacerebbe che lei approfondisse il significato di plasticità. Un formatore
Siamo una piccola fraternità sacerdotale. Mi piacerebbe riuscire a condividere di più tra di noi, ma ritengo che il tema della “fiducia” sia ancora molto critico. Questo è uno dei motivi che mi blocca nel chiedere un percorso di accompagnamento: temerei un giudizio ridicolizzante. Può dirmi qualcosa su questo argomento?