Vocazioni in calo, problemi affettivi e un senso di “fatica”. Nella nostra società individualistica le forme di vita comunitaria sembrano quasi anacronistiche. O no?
Psicologa e Psicoterapeuta EMDR, Consultore del Dicastero per il Clero, Perito della Rota Romana e dei Tribunali del Vicariato di Roma, ho studiato presso la Pontificia Università Gregoriana e poi mi sono specializzata in Psicologia clinica e Psicoterapia psicoanalitica. Mi occupo in particolare di formazione e accompagnamento psicoterapeutico della vita sacerdotale e consacrata e di problematiche di coppia. Collaboro nella ricerca e nella docenza con l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna. Con l’editrice Città Nuova ho pubblicato tre libri: La pietra della follia, Per sempre o finché dura e Percorsi vocazionali e omosessualità.
Vocazioni in calo, problemi affettivi e un senso di “fatica”. Nella nostra società individualistica le forme di vita comunitaria sembrano quasi anacronistiche. O no?
Ricordo un giorno speciale di fine liceo: in uno di quei campi scuola organizzati per far conoscere a ragazzi e ragazze le diverse strade vocazionali, ci portarono in un monastero di clausura. Fu un’occasione folgorante per noi adolescenti qualunque: nonostante l’abito, le grate e l’ingresso buio mettessero un che di soggezione, l’incontro con delle giovani così particolari rese quel pomeriggio indimenticabile. I numerosi volti, allegri e accoglienti, tutti under trenta, provenienti da varie regioni d’Italia, facevano un forte contrasto con l’ambiente austero nel quale ci accoglievano. I miei 17-18 anni non mi permisero di fare le domande giuste per arrivare alle radici della loro scelta di vita, radicale e apparentemente sganciata dalla realtà circostante; quasi certamente ci attenemmo ad un copione banale di curiosità del tipo: «Ma tu puoi fare questo…, puoi fare quello…?».
Sta di fatto che da allora mi hanno incuriosito e affascinato, per svariate ragioni, non solo quelle stra-ordinarie realtà divine-umane racchiuse spesso in case monumentali, con prati ben curati dal verde invidiabile, ritmate da campane e preghiere raffinate, ma tutte le forme di vita in comune, fatte di un’umanità eterogenea che condivide la quotidianità, con le innumerevoli fatiche che qualunque convivenza comporta, e sotto la spinta di un medesimo progetto di fede, il “carisma”.
I numeri da allora sono scesi: 15/20 giovani che si trovano insieme in un percorso del genere sarebbero eccezionali oggi, almeno in Italia. Dando un’occhiata alle statistiche ufficiali dell’Annuario Pontificio 2016 che riferisce vari report numerici riguardanti la Chiesa cattolica nel mondo, ho trovato dati molto interessanti, che rappresentano uno spaccato significativo del nostro tempo.
Uno sguardo generale: nel corso degli ultimi nove anni il numero dei cattolici battezzati nel mondo è cresciuto ad un ritmo superiore (14,1%) a quello della popolazione mondiale nello stesso periodo (10,8%). La presenza cattolica sale, pertanto, al 17,8% nel 2014, dal 17,3% del 2005. In termini assoluti si contano circa 1.272 milioni di cattolici nel 2014 a fronte dei 1.115 milioni del 2005. L’Europa è l’area meno dinamica in assoluto, al contrario dei due continenti emergenti di Asia e Africa. E fin qui forse niente di nuovo.
Se proviamo a leggere nello specifico l’andamento delle vocazioni “particolari”, cioè quelle di impegno radicale, attivo ed esplicito nella Chiesa, inizia a delinearsi almeno il contorno di questo millennio, anche da un punto di vista geografico.
Sono in aumento, a livello mondiale, (ma non in America del Nord ed in Europa dove invece sono in ribasso) i numeri del clero, cioè dei sacerdoti diocesani e religiosi, da 406.411 nel 2005 sono passati a 415.792 nel 2014, poi il numero grosso modo si stabilizza. Per essere più precisi però, i sacerdoti diocesani presentano un andamento nel complesso crescente rispetto ai sacerdoti del clero religioso che invece, a livello globale, sono piuttosto in calo.
Un altro dato importante: meno sacerdoti abbandonano la loro strada; bene, si direbbe che l’attenzione formativa post-conciliare, nel discernimento e nell’accompagnamento, inizi a produrre i suoi frutti. Sono però in aumento i decessi per età avanzata, soprattutto in Europa dove l’indice di natalità è basso mentre quello di invecchiamento è elevato.
Ancora un dato molto significativo: diminuiscono religiosi e suore nei tre continenti di America, Europa ed Oceania; in Africa ed in Asia, invece, l’incremento è decisamente sostenuto, intorno al 20% il primo e all’11% il secondo.
In altre parole e a grandi linee, la vocazione sacerdotale diocesana ha ancora generalmente presa; sembra invece averne meno, almeno in America del Nord ed Europa, quella alla vita religiosa.
Osserviamo allora che l’Europa chiaramente cessa di essere un modello di riferimento quanto a contributo demografico e vocazionale in senso stretto. Tuttavia proprio qui, e nelle regioni dove stanno venendo meno scelte di consacrazione, sta crescendo a ritmo sostenuto il numero dei diaconi permanenti, cioè di uomini sposati che coadiuvano i sacerdoti nell’azione pastorale sul territorio, e ciò «non è certamente riconducibile a motivazioni temporanee e contingenti, ma sembra esprimere nuove e differenti scelte nell’esplicazione dell’attività di diffusione della fede»; in Asia ed Africa questa vocazione invece è ancora poco conosciuta e forse meno “necessaria”.
Qualche altra considerazione immediata: appare evidente che alcuni stili di vita hanno ancora appeal sull’uomo contemporaneo, altri invece ne hanno molto meno. Non sarà un caso se le vocazioni più “collettive”, cioè che richiedono il vivere insieme, non sono così numerose nei paesi del benessere materiale dove invece – scorriamo semplicemente i numeri – quelle di carattere più individuale attirano maggiormente. Mi pare inoltre, al di là delle statistiche ufficiali, che alcune forme di consacrazione laica che non richiedono necessariamente la vita comunitaria e forme più “moderne”, per quanto pur sempre di vita consacrata, di convivenza si stiano invece diversificando.
Alla base di tutto, oltre alla vocazione personale che è la prima chiave di lettura, c’è probabilmente una fatica generalizzata a vivere insieme, complici i social che hanno potenziato modalità rapide e light di connessione più che di relazione, una moderna e magari giustificata intolleranza verso le strutture eccessivamente rigide, ma anche il bisogno lecito di rinnovare la vita comune che forse deve ritrovare forme più attuali e convincenti, rispetto a quelle del passato, che poi così perfette non erano. Per concludere: la condivisione di vita (religiosa e non) è una scelta controcorrente, ma ha ancora un futuro, secondo me, anzi proprio oggi rappresenta una scelta profetica.
Vorrei condividere alcune osservazioni. Primo. Lo scorso incontro Zoom ha toccato il tema dell’omosessualità, in senso prevalentemente maschile. Si parla raramente di questo in ambito femminile. Eppure ci sono molti problemi al riguardo. Nelle comunità femminili si esprime la “sororità” con manifestazioni affettive (abbracci e baci) che se venissero adottate in ambito maschile farebbero subito parlare di “omosessualità”. Secondo. L’argomento trattato è complesso e difficile anche a partire dal contesto in cui viviamo. Oggi, in cui la piaga della pedofilia si sta manifestando in tutta la sua ampiezza, si guarda con sospetto la possibilità di accogliere vocazioni con orientamento omosessuale. […]. La paura che si ripetano casi del genere frena, blocca, impedisce la serenità nel discernimento vocazionale. Terzo. Ricordo che un importante monaco, una volta, ebbe a raccontare come in un monastero maschile, l’ingresso di persone con orientamento omosessuale ha portato ad una trasformazione del monastero. Secondo il detto “simile attira simile”, questo monastero si era andato componendo quasi unicamente di religiosi con orientamento omosessuale. Un sacerdote religioso
Sono una consacrata e con qualche fratello della nostra realtà maschile ultimamente stiamo condividendo alcune osservazioni che ci toccano personalmente. Entrambi, pur essendo felici e convinti della nostra vocazione, realizzati nello studio (io) e nel lavoro apostolico (lui), notiamo quanto potrebbero crescere le nostre comunità dal punto di vista dell’umanità. È vero che ci possono essere anziani e anziane difficili da sopportare, esigenti e lamentosi, come anche i giovani, possono essere passivi e poco collaborativi, e poi ci sono le differenze culturali, ma talvolta pensiamo che se trovassero case meno rigide e prese solo dai mille impegni da portare avanti, forse si tranquillizzerebbero un po’, e tutti staremmo meglio. Abbiamo troppe opere da gestire e poche forze, quindi si capisce che le nostre energie sono orientate a risolvere continue emergenze, ma nel frattempo le nostre comunità rischiano di inaridirsi. Si può essere in 3 e sentirsi a casa ed essere in tanti, ma sperimentare un grande senso di solitudine. Parlare di famiglia, allora, è azzardato in alcune nostre case.
Nel precedente numero di questa rubrica abbiamo delineato l’iter del perdono, un processo intrapersonale, l’unico veramente capace di rigenerare se stessi, innanzitutto, e quindi le relazioni. Restituisce una prospettiva di vita a chi ha sofferto e un nuovo sguardo di speranza e accoglienza a chi accoglie il perdono e smette, così, di percepirsi solo come colui che ha sbagliato.
Sono un sacerdote, accompagno molte esperienze comunitarie. Rifletto però sui numerosi conflitti e stati di solitudine che ho modo di affiancare. Conosco approfonditamente diverse storie e pensarle non solo nella vita di coppia, ma anche nelle comunità che scelgono per vocazione la vita in comune, ha un impatto forte su di me. Si fanno incontri, corsi di formazione, colloqui, ma chissà se rimettere al centro e al fondo di molte dinamiche l’imparare a perdonare non ridurrebbe lo sfaldamento delle relazioni. So che non è una cosa banale e “tanto per dire”, e forse è proprio questo il limite del perdono: lo abbiamo capito e appreso male, rendendolo una roba da catechismo.
Siamo una coppia di genitori di un ragazzo omosessuale, abbiamo altri 3 figli, e questa rubrica ci è stata segnalata da una coppia di nostri amici della parrocchia, per le ragioni che capirà. Non è stato facile in un primo momento accogliere l’apertura di Paolo, non capivamo e siamo rimasti molto confusi. Ma non è questo il motivo per cui ci siamo decisi a scrivere, il fatto è che Paolo vorrebbe entrare in seminario e noi sappiamo bene che il suo desiderio potrebbe non vedersi realizzato. Questo ci farebbe soffrire moltissimo un’esclusione a priori, perché ora che siamo più “dentro” la realtà di questi nostri ragazzi e degli adulti ci rendiamo conto che l’omosessualità è un mare di situazioni diverse e catalogarle tutte allo stesso modo come corrotte, pericolose, promiscue è proprio ingiusto. Ci addolorerebbe se Paolo non avesse neppure l’opportunità di farsi conoscere e poi, eventualmente, ricevere un “no”, ma per ragioni diverse: immaturità, mancanza di vocazione, e non per l’orientamento omosessuale. Lui, del resto, ha deciso di essere onesto e vuole comunque presentarsi senza maschere e senza nascondere nulla di sé. Se può dirci una parola le saremmo grati.