Esiste un tempo giusto per avere un figlio?

I figli, parte dell’amore e della relazione genitoriale, rappresentano una delle forme classiche di realizzazione della coppia che si apre alla continuità della vita. Quando è il tempo propizio?

Qual è l’età giusta per avere un figlio? Se lo chiedono molte coppie che pospongono questa data a quando: «ci saremo sposati, avrò finito gli studi, avremo una posizione sicura, avremo trovato una collocazione stabile, ecc. ecc». Una sequenza cronologica degli eventi (tempo Kronos) che spesso non corrisponde a quei ritmi interni che invece designiamo con un’altra definizione del tempo: quella del tempo vissuto, ma anche quella del tempo propizio identificato con il concetto di tempo come Kairòs.

Dimensione interna del tempo e dimensione esterna si incrociano, ma che effetto producono nelle persone immerse nella complessità della loro vita tra storia personale, progetti di vita e di coppia?

Marta e Francesco, entrambi sopra i 30 anni, hanno deciso di sposarsi e di sostenersi nel realizzare i loro progetti di vita. L’intensità con cui vivono la loro relazione, le amicizie e la passione per il loro lavoro non genera spazi di pensiero sul loro divenire famiglia. L’occasionale flebile battuta di un genitore sulla possibilità di  renderli nonni non li trova ancora pronti ad approcciarsi a questo tema.

Maria Paola ha conosciuto a 42 anni l’attuale marito, un uomo col quale ha trovato non solo un’intesa di coppia ma anche un equilibrio personale che le mancava. Lui ha 54 anni ed una figlia già grande. Non vuole diventare nuovamente papà, sebbene comprenda il desiderio di Maria Paola di diventare mamma. Lei a sua volta non vuole che il tema tra di loro si basi solo sulla pressione dell’orologio biologico, in fondo non sa neppure se biologicamente sarebbe fattivamente ancora possibile. Interiormente fa i conti con le sue scelte passate, la forte spinta all’indipendenza avuta negli anni e la difficoltà a raggiungere nel tempo una relazione che si fondasse sull’interdipendenza.

Francesca 36 anni ha una relazione con un uomo che le piace molto, di poco più giovane di lei. Spesso si sono scontrati sul tema matrimonio, per lui ancora troppo presto, per lei troppo tardi. Ora che sono sposati vuole dei figli e si percepisce come biologicamente già grande. Non sa cosa la vita potrà riservarle, vede tante amiche che desiderano la gravidanza e non la ottengono, anche più giovani di lei e senza apparenti problemi. Lui teme invece che potrebbero non essere in grado di sostenere tutte le spese che un figlio comporta.

Sandro ha 39 anni ed una carriera avviata. Ha da poco una nuova relazione con Graziella, 4 anni più grande di lui. Quando scopre che Graziella è incinta si sente incastrato, è tutto troppo veloce per lui, e vorrebbe che lei rinunciasse al figlio. Graziella non è d’accordo ed è chiara: con o senza di lui avrà quel figlio. A 43 anni pensa che potrebbe essere la sua unica opportunità di essere mamma.

Cosa hanno in comune queste storie? L’amore e la relazione, quello per cui si è disposti a rimettersi in discussione, a trovare nuove forme di soddisfazione personale anche molto diverse da quelle che si erano fino ad allora pensate. Quell’amore che fa uscire da sé stessi per andare incontro al partner, nel dialogo, ed incontro al figlio nel dono di sé. Ma un amore più diventa intimo e profondo più è in grado di generare legami e paure.

L’autorealizzazione personale, rappresenta il vertice nella “gerarchia dei bisogni” identificati negli anni ’50 dallo psicologo americano Abraham Maslow, attraverso i quali la persona realizza sé stesso. È una conquista della nostra società che per non esprimersi in un limite individualistico deve potersi integrare con gli aspetti socio-relazionali della persona. Bisogni personali e bisogni di coppia possono essere perseguiti insieme solo in un rapporto che si esprima nell’interdipendenza.

I figli, parte dell’amore e della relazione genitoriale, rappresentano una delle forme classiche di realizzazione della coppia che si apre alla continuità della vita. È interessante notare come il loro arrivo non è per tutti uguale. Ci sono coppie dove i figli arrivano secondo un tempo Kronos e ce ne sono altre dove il loro arrivo si inserisce in un tempo Kairòs.

L’accadimento, inteso come fatto che diventa possibile, è infatti legato al tempo propizio, l’unico in cui il “fatto” può essere reso possibile anche per mezzo di una propria compartecipazione. Talvolta giungendo come inatteso e chiedendo una riorganizzazione di vita.

Il tempo e le emozioni. Il tempo Kairòs inteso come tempo vissuto si lega alla fase della vita ed alla maturazione della persona. Per questo porta con se dei connotati emozionali propri di ogni fase di vita che fanno vivere l’attesa come gioia della preparazione, come paura di ciò che potrà accadere, come ansia per il ticchettio dell’orologio biologico o come la possibilità di esplorare vari modi di essere aperti alla vita, famiglia e genitori.

È in questa complessità di elementi che si inscrive un evento così importante che è al contempo naturale e straordinario e che ha una portata molto più grande del semplice atto generativo nella vita di quanti vi partecipano.

 

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