Esigenze di lotta all’evasione e garanzie del contribuente alla luce dei recenti fatti di cronaca in un quadro di crisi economica

Manuela Di Palma

I recenti accadimenti di cronaca, che esprimono la crisi economica attuale in manifestazioni estreme, quali suicidi di imprenditori che ricevono cartelle esattoriali, attentati alle sedi ed ai dipendenti di Equitalia s.p.a., impongono una nuova riflessione sul punto dell’equità fiscale e sulla cooperazione fra Stato e cittadini in materia, in linea con quello già pubblicato dal dott. Pellegrino[1] su questa rivista.

Il Presidente del Consiglio Monti ha di recente affermato pubblicamente che «le conseguenze umane delle crisi devono far riflettere chi ha portato l’economia in questo stato e non chi da quello stato sta cercano di farla uscire». Ad avviso di chi scrive, sarebbe un errore contrapporre diverse versioni sul “come sono andate le cose” a giustificazione dello status quo. Esso infatti non può essere mantenuto perché – senza volerlo definire ingiusto – è senz’altro inattuale rispetto alla crisi economica in corso, e comunque migliorabile.

Una verità da cui non si può prescindere è che il rapporto Stato-cittadino è contrassegnato da una sfiducia che ha allontanato e contrapposto il cittadino alle istituzioni pubbliche: un circolo vizioso che deve essere interrotto. La crisi è evidente soprattutto per ciò che concerne la politica tributaria.

Una verità, di recente ribadita dal Governo in carica, è che le tasse vanno pagate; trattasi – questo – di principio fondamentale del diritto tributario nonché dovere costituzionale inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale cui è tenuto ogni membro della comunità in ragione della propria capacità contributiva, così come stabilito dall’art. 53 della Costituzione.

Un’altra verità sottolineata dall’attuale Governo è che l’Agenzia della riscossione non è in alcun modo responsabile della crisi in corso. Equitalia s.p.a. (così come Serit s.p.a. in Sicilia), esegue forzatamente i ruoli esattoriali trasmessi dall’Agenzia delle Entrate una volta che questi siano esecutivi, non interferisce in alcun modo sulle somme dovute dal contribuente[2].

D’altra parte non possono non evidenziarsi le difficoltà dei contribuenti costretti ad affrontare un sistema fiscale caratterizzato da numerose, complesse, contraddittorie norme di applicazione disomogenea: 270 è il numero delle imposte, 1.869 sono le leggi fiscali in vigore, 650 le norme fiscali modificate nell’ultimo anno, 1.086 le modifiche al TUIR dal 2008 (una modifica alla settimana)[3].

Non si possono poi ignorare i metodi di accertamento del reddito imponibile del contribuente, e conseguentemente di accertamento dell’evasione fiscale, invasivi ed estremamente sbilanciati in danno del contribuente: a partire (ma non solo) dall’onere del contribuente di dimostrare che di tutte le movimentazioni del conto corrente proprio e dei propri familiari del quinquennio antecedente (limite della prescrizione del diritto di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate) egli ha tenuto conto nella determinazione del reddito imponibile, con onere della prova – a suo carico[4] – con giustificazioni precise, analitiche e documentali dell’irrilevanza ai fini reddituali delle movimentazioni contestate.

Ciò che non viene provato si presume evaso.

Si pensi, poi, ai tanto criticati “studi di settore” e alla tanto ambita “congruità e coerenza”; veri e propri programmi che predeterminano quanto e come ogni imprenditore deve necessariamente aver guadagnato in un determinato momento e in una determinata zona. Schemi prefissati che, per quanto ideati e costruiti su base statistica e con la cooperazione dei rappresentanti di categoria, rimangono necessariamente del tutto distaccati dalla realtà quotidiana dell’imprenditore che si trova, inevitabilmente, ad affrontare inconvenienti e imprevisti di cui nessuno studio sulla carta potrà mai realmente tenere conto.

Anche qui, è onere del contribuente dimostrare e giustificare il motivo per cui non ha guadagnato quanto lo studio di settore avrebbe previsto. Se l’imprenditore sotto accertamento, nell’affannosa ricerca di giustificare una pessima annata, cercherà di spiegare al funzionario incaricato che «c’è la crisi», questi si sentirà rispondere che «non è un motivo documentato» e pertanto, anche qui, ciò che non viene provato – anche il minor reddito conseguito rispetto agli studi di settore –- si presume evaso. Pertanto, la differenza tra quanto dichiarato e quanto, invece, stimato dallo studio di settore, si presumerà maggior reddito non dichiarato con conseguente recupero delle maggiori imposte ritenute evase.

E’ vero che l’obbligo dell’adempimento dei doveri fiscali rimane; che gli attentati all’incolumità pubblica sono gravemente illegittimi; che si compie spesso un “grossolano” errore circa il destinatario dello sfogo della tensione sociale, essendo chiamata in causa più l’Agenzia delle Entrate che non Equitalia s.p.a.; che alla protesta si accompagnano anche istanze illegittime o anarchiche. Ma è vero anche che esiste un grave disagio di cittadini onesti vessati da un fisco obiettivamente pesante per la pesante pressione fiscale, non equo nella distribuzione degli effetti della crisi economica e del debito pubblico fra i cittadini (per cui inevitabilmente i meno facoltosi soffrono di più), e che l’apparato di diritto normativo non agevola la cooperazione Stato-cittadino nella risoluzione della crisi.

Riteniamo quindi che «la tenuta sociale del Paese», per citare i recenti interventi del Ministro Corrado Passera, richieda anche una revisione del diritto tributario nel sistema di accertamento e di riscossione delle imposte.

Nell’ottica di dare un contributo attivo alla questione, per quanto di nostra competenza e senz’animo di voler esaurire l’argomento, proponiamo alcuni accorgimenti che potrebbero agevolare la cooperazione Stato-cittadino negli adempimento fiscali e la lotta all’evasione.

1)             Accertamento su studi di settore: i soggetti obbligati alla compilazione di studi di settore, ove risultino “congrui e coerenti”, oppure non risultino tali ma scelgano di allinearsi all’imposta dovuta sulla base dei medesimi, sono esenti da ulteriori accertamenti, salva unicamente la verifica della veridicità dei dati dichiarati negli studi di settore medesimi.

2)             Accertamento su studi di settore: i soggetti che non risultino congrui e coerenti e scelgano di non allinearsi, possono presentarsi spontaneamente all’Agenzia delle Entrate per giustificare i motivi di mancato allineamento. Se L’Agenzia ritiene di accogliere le giustificazioni del contribuente, resta fermo il reddito determinato, ed il contribuente si ritroverà unicamente soggetto a verifica della veridicità dei dati dichiarati negli studi di settore. Se l’Agenzia ritiene di non accogliere le giustificazioni, al contribuente tornerà la scelta se allinearsi agli studi di settore come al punto 1.

Con questi due accorgimenti, si ottiene che il contribuente che si allinea agli studi di settore può agire serenamente senza venire considerato un presunto evasore, e le risorse dell’Agenzia delle Entrate possono essere utilizzate per accertamenti assai più agevoli, e applicarsi a fenomeni di evasione più importanti e significativi su soggetti che scelgono di non cooperare con il Fisco.

Il punto due permetterebbe di aprire gli studi di settore a prendere in considerazione le situazioni reali e contingenti, non escluse le crisi economiche, rendendo ragionevoli e comprensibili le difficoltà dei contribuenti in momenti di crisi.

3)             Accertamenti sui conti corrente bancari: posto che detto accertamento verrebbe utilizzato solo per i soggetti non congrui e che scelgano di non allinearsi agli studi di settore (vedi punti 1 e 2), l’Agenzia delle Entrate ha l’onere di spiegare i motivi per i quali ritiene sospette certe operazioni  sul conto corrente. Posto, infatti, che l’evasione fiscale sia pratica per la maggior parte attraverso il contante, piuttosto che attraverso operazioni bancarie “tracciate”, deve presumersi che queste ultime siano legittime, salvo diversa motivazione che l’Agenzia delle Entrate deve addurre.

 

Non si vuole certamente avere la presunzione di potersi sostituire ai tecnici di Governo né di trovare “la soluzione al problema” che da anni si ricerca. Ciò che si auspica è che da una parte lo Stato, dall’altra il cittadino possano ritrovarsi, capire che non sono due entità diverse e contrapposte, ma che esistono per aiutarsi l’un l’altro.

 



[2] Per un approfondimento sulla differenza fra Agenzia delle Entrate e Agenzie di riscossione, su suggerisce il seguente link: http://it.wikipedia.org/wiki/Equitalia

[4] Come già scritto in queste pagine: «norme in tema di monitoraggio dei conti correnti bancari e alla loro ormai piena consultabilità da parte degli Organi di controllo, con presunzioni legali che prevedono l’inversione dell’onere probatorio a carico del controllato, sia per l’utilizzo su larga scala di strumenti di controllo presuntivi (studi di settore, “spesometro”), che rischiano a volte di pregiudicare pesantemente il diritto alla difesa da parte degli onesti; si tratta inoltre di strumenti e provvedimenti spesso associati a pesanti sanzioni a carico di inadempienti o contravventori» (G. Pellegrino, La lotta all’evasione tra esigenze di controllo e aspettative di semplificazione: scelte inconciliabili o possibile percorso virtuoso?, cit.).

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