Esigenze dei popoli, poteri degli stati

Niente di nuovo sotto il sole. Potrebbe essere questo il commento più appropriato al recente dibattito sulla riforma delle Nazioni Unite. Niente di nuovo per almeno due motivi: si parla quasi esclusivamente del Consiglio di sicurezza e le proposte che si confrontano sono vecchie di almeno dieci anni. Il fatto che preoccupa di più è l’incapacità della comunità internazionale – e di alcuni suoi autorevoli rappresentanti – di uscire dalla logica dei pesi e contrappesi, sposando la tendenza per cui il Consiglio di sicurezza dei vincitori (della seconda guerra mondiale) dovrebbe essere integrato dai vinti (Germania e Giappone) e da alcune altre potenze delle rispettive aree geografiche (India, Brasile e chi altro?). È davvero possibile tentare di superare questo approccio, che appare perlomeno limitato? Credo di sì. Intanto sarebbe bene attendere la pubblicazione del rapporto del gruppo di personalità incaricate da Kofi Annan di fare delle proposte, giacché finora tutto si basa su indiscrezioni senza nessuna conferma, nemmeno informale. In secondo luogo si potrebbe cercare di rispondere a due domande. Come sono cambiate e come si evolvono le relazioni internazionali? Quali sono le principali sfide che chiamano in causa l’Onu? Un primo elemento riguarda gli stati. Rispetto al 1945 abbiamo la significativa novità delle aggregazioni regionali e continentali, il cui processo di unità politica sta facendo passi in avanti, a cominciare dall’Unione europea e dalla neonata Unione africana, senza tralasciare che anche in altre aree – nel Sud America per esempio – si guarda con concreta speranza ad un percorso che da una maggiore integrazione economica possa giungere a relazioni politiche più strette. Un secondo aspetto tocca gli attori non statali. Il peso della società civile, attraverso le Organizzazioni non governative (Ong) e i movimenti culturali e religiosi, il ruolo delle imprese per affrontare le sfide economiche, l’esigenza di dare spazio ai rappresentanti dei parlamenti, evidenzia che l’arena internazionale è ormai affollata di altri soggetti. Essi sono portatori di istanze popolari, spesso più vicini alla gente di quanto non lo siano i governi, oppure in grado di avere un’influenza significativa su scelte economiche che ci toccano da vicino, per quella interdipendenza che caratterizza sempre di più la nostra epoca. Le sfide della comunità mondiale sono quelle di sempre: sviluppo e pace. Non è fuori luogo mettere in questo ordine i due termini, di fronte ad una visione della pace sempre più vicina all’idea – pur necessaria, ma limitata – di sicurezza. Non sono mancati in questi ultimi anni i richiami forti di Annan ad affrontare concretamente la sfida della povertà, nella coscienza che vincere questa battaglia è il miglior presupposto per una pace di lungo respiro. E si pensi pure ai continui richiami di Giovanni Paolo II in questa direzione. Anche sulla questione dei conflitti la situazione è cambiata rispetto a sessanta anni fa, perché sono aumentati i conflitti interni agli stati, con un forte coinvolgimento delle popolazioni civili, e con la conseguente difficoltà di intervento in situazioni che toccano il dominio riserva- to degli stati. Le previsioni della Carta dell’Onu, unite agli interessi che si nascondono dietro il diritto di veto nel Consiglio di sicurezza, non sono risultate sufficienti in più occasioni per intervenire tempestivamente. Lo dimostra, senza andare indietro nel tempo, la situazione attuale del Darfur in Africa. Quale direzione allora prendere nel pur necessario lavoro di riforma? Bisogna prima di tutto avere un disegno più ampio, da perseguire in tappe progressive, e che coinvolga il ruolo dei diversi organi dell’Onu, insieme all’aumento di efficienza della sua attività. Questo significa affrontare anche compiti e poteri rinnovati dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e sociale, non solo del Consiglio di sicurezza. In tutti questi organi si pone un’esigenza di rinnovamento delle procedure decisionali, più adeguate alla realtà attuale. Su questo punto, in un documento dell’anno scorso, preparato da un gruppo di esperti del Movimento dei focolari, si era rilevato che nei criteri di formazione della volontà delle Organizzazioni internazionali, ed in primo luogo delle Nazioni Unite, deve essere contemplata un’equa e funzionale rappresentanza dei popoli (sul piano demografico), delle diverse aree regionali (sul piano geo-politico) e delle diverse civiltà (sul piano culturale-antropologico). E si precisava che l’equa rappresentanza delle diverse componenti è uno strumento necessario ad evitare il rischio che i poteri sovranazionali o mondiali divengano strumento di interessi particolaristici o sospettati di parzialità, a detrimento della loro autorità e attendibilità etico-politica. Per quella ricordata priorità dello sviluppo rispetto alla pace appare quasi più urgente mettere mano al Consiglio economico e sociale, dandogli dei poteri di coordinamento e indirizzo, non solo consultivi come ora, e mettendolo in condizioni di interagire efficacemente con quelle organizzazioni forti che hanno mezzi e strumenti per incidere in questo campo: Banca mondiale, Fondo monetario, Organizzazione mondiale del commercio. Peso e ruolo diverso deve essere dato alla società civile, migliorando intanto la possibilità di interagire con gli organi decisionali, a cominciare dal Consiglio di sicurezza. Guerre e catastrofi umanitarie si potrebbero forse prevenire prendendo sul serio chi lavora sul campo in maniera indipendente, non ha interessi politici da difendere o errori da nascondere, e fra questi ci sono le Ong, ma anche i missionari e i movimenti culturali e religiosi. A questo proposito qualcosa di nuovo c’è, ed è un documento del giugno scorso preparato per incarico di Annan da un gruppo di esperti coordinati dall’ex presidente del Brasile, Cardoso. In esso si sostiene che il multilateralismo di oggi non può riguardare solo i governi, ma deve coinvolgere tutti gli altri attori rilevanti per la soluzione dei problemi, a cominciare dalla società civile, e che l’Onu deve diventare un’istituzione che guarda sempre più fuori di sé, facilitando e valorizzando il lavoro di chi già opera sul campo. Sono prospettive possibili da perseguire, che valorizzerebbero l’incipit della Carta dell’Onu Noi popoli delle Nazioni Unite, e il disegno di fraternità universale che vi sta sotto.

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