Esercizi di… lettura
Voi come leggete? Non quanto – informazione di cui spesso ci compiacciamo, postando pile di libri (le letture estive, quelle autunnali, quelle professionali) – ma come.
Ci sono diversi modi di leggere, e ognuno di essi dice qualcosa di noi, del nostro temperamento, del nostro lavoro, del modo di porci difronte al mondo (o di lato), della nostra curiosità, della nostra fretta. Faccio qualche esempio.
C’è una lettura esplorativa (scanning), veloce, che cerca precise informazioni, dunque scansiona le pagine inseguendo una parola chiave, un riferimento, un nome. E c’è una lettura orientativa (skimming), veloce anch’essa, che non cerca niente in particolare, piuttosto vuole cogliere l’idea principale del testo.
Ci sono letture tecniche, come il così detto close reading, che potremmo tradurre: lettura ravvicinata e attenta, analitica, di fatto quasi uno studio del testo. E ci sono letture sportive di titoli scelti senza troppo impegno né aspettativa: libri che possiamo chiudere anche dopo le prime pagine, secondo il terzo diritto del lettore (vedi il Decalogo di Pennac).
Io, ad esempio, leggo La Lettura del Corriere della sera così: inizio esplorativo (scanning) per selezionare gli articoli che mi interessano. Quindi li ritaglio, compongo un nuovo allegato ben più esile e ri-leggo ravvicinato e attento (close). Infine archivio gli articoli meritevoli in una apposita cartella e cestino gli altri. Una lettura, in fin dei conti, professionale.
In ogni modo, non dipende solo da noi il modo in cui ci accostiamo al testo: il lavoro, la salute, le contingenze, impongono a volte forme di lettura non auspicabili, ma necessarie.
Ora immaginiamo, per un momento, di essere completamente liberi e soli: noi e il libro. Nessuna scadenza lavorativa, nessuna incombenza familiare, soprattutto nessun interesse professionale (scrittura di una recensione, articolo o saggio) verso la lettura che stiamo per iniziare. Telefono silenziato se non addirittura in modalità ND. Pareti spesse e isolanti. Oppure una spiaggia fuori stagione. Praticamente un’anticamera del paradiso (dei lettori).
A questo punto apriamo il libro. E leggiamo. Riformulo la domanda iniziale: voi come leggete? Ho in mente due approcci opposti: la lettura attiva e quella passiva.
La prima è una lettura in cui il lettore è protagonista.
Per quanto si sia accostato ad esso privo di qualsiasi secondo fine, se non quello di leggere, dopo poche righe sta già interrogando il testo. Non si tratta di deformazione professionale (di chi legge per mestiere), ma di un modo attivo, dialettico, di affrontare il libro.
Ci siamo noi e c’è lui, che vuole dirci qualcosa (altrimenti perché qualcuno lo avrebbe scritto? e perché sarebbe finito proprio tra le nostre mani?). Il fatto stesso di averlo scelto implica la volontà, il desiderio di entrare in dialogo con il libro.
C’è però una evidente asimmetria. Il libro parla e noi no. Il libro ha molte cose da dire e stanno tutte lì, nelle sue pagine, tra le nostre mani. Noi, al contrario, possiamo solo ascoltarlo e interrogarlo.
Questa seconda azione può dominare la lettura. Cosa mi vuoi dire con questa storia? Chiediamo all’autore del libro. Qual è la tua visione del mondo? Perché hai usato questa metafora? Metafora di cosa?
La lettura attiva (accompagnata spesso da matita, penna, post-it) si sofferma a interrogare, a riflettere, a cercare le risposte nelle pagine successive. Conosco lettori che inseguono in ogni libro una verità; per loro la lettura è un gesto quasi religioso.
Il lettore attivo è protagonista, ambisce a diventare coautore del libro. Le ellissi sono per lui un invito non differibile a completare la storia. È bella la lettura attiva: una palestra intellettuale e emozionale, un atto creativo, un esercizio ermeneutico, un’occasione di progresso.
Eppure io preferisco la lettura passiva. La lettura passiva è attenta, nel senso di Simone Weil, per la quale essere attenti non consiste in uno sforzo muscolare, bensì nel «sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto».
La lettura passiva non interroga il libro, si lascia interrogare. Non lo riveste di interpretazioni, si lascia svestire dalle proprie, si fa mettere a nudo. Non cerca né attribuisce un senso a quello che legge, accoglie i molteplici sensi celati e manifesti nelle pagine, nei tempi e nei modi in cui essi vogliono rivelarsi.
Il lettore passivo è un ricettore di senso (non un datore), disponibile all’epifania, allo stupore (che poi sarebbe il principio della conoscenza). Il lettore passivo si offre al libro come un partner in una danza: segue la musica e i passi, non oppone resistenza, li asseconda; sperimenta (non subisce) una forza che lo (s)muove emotivamente e intellettualmente, fisiologicamente direbbe Carver: «Se siamo fortunati […] magari il nostro cuore e la nostra mente avranno fatto un piccolo passo in avanti rispetto a dove erano prima. La temperatura del corpo sarà salita, o scesa, di un grado».
Se siamo fortunati, sperimenteremo una forza, che Florenskij chiama bellezza: «La forza della bellezza esiste in misura non minore della forza magnetica e di quella di gravità».
Il lettore passivo, in definitiva, non legge: è letto. E questa è un’esperienza disarmante e necessaria. Molti staranno pensando a Proust: «Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto uno strumento ottico offerto al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso».
Eppure, credo ci sia una differenza tra leggere se stessi attraverso un libro e farsi leggere dal libro; forse consiste proprio nel modo in cui leggiamo.
Il lettore attivo tende a ricondurre il libro alle proprie domande, inquietudini, ossessioni, necessità: legge se stesso.
Il lettore passivo si abbandona al libro, disponendosi a una conoscenza di sé e al contempo del mondo, che può essere raggiunta solo attraverso uno sguardo esterno: si fa leggere.
La differenza sta diventando sempre più sottile. Quasi quasi mi fermo, prima che svanisca. Mi limito a una puntualizzazione: sono due modalità, quella attiva e quella passiva, che nella lettura (così come nella vita) si alternano senza escludersi.
Tra le due, la meno esercitata è quella passiva, per questo spezzo una lancia in suo favore, nello stesso spirito (paolino) con cui ho prediletto (in un precedente esercizio) la fragilità alla resilienza: ciò che è fragile per confondere i potenti, ciò che è folle per confondere i sapienti.
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Gli altri esercizi:
Esercizi di… demitizzazione (della vecchiaia)
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