Eroe per caso?
Se non si fosse ostinato a credere di avere raggiunto le favolose Indie, oggi l’America si chiamerebbe Columbia o Cristophia. E invece, convinto di avere guadagnato l’Asia «buscando l’oriente para l’occidente», quel testardo di Cristoforo Colombo si fece scippare l’onore più grande: dar nome al quarto continente, che andò al navigatore fiorentino Vespucci che di nome faceva, appunto, Americus.
Siamo nel 1501. Vespucci è un abile cartografo, che padroneggia quadranti e astrolabio, ed esperto uomo di mare. Uno che sulle secche del Giglio non si sarebbe mai incagliato, tanto per capirsi. Eppure, non fu questo il suo merito.
In quel fatidico viaggio compiuto per il Portogallo, dove navigò dal Brasile fino alla Patagonia, fu la sua intuizione che lo portò alla fama. Si convinse che quella ininterrotta estensione di terre non poteva essere una porzione di Asia, doveva per forza trattarsi di un continente nuovo! E quando alcune sue lettere a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici divennero un opuscolo a stampa, nel 1504, fu subito best-seller. Fin dal titolo, il Mundus Novus intercettava perfettamente le aspettative aperte dai viaggi di Colombo. Non era, infatti, solo un diario di bordo che descriveva rotte e stelle dell’emisfero sud, ma colpiva l’immaginario soprattutto raccontando miti, credenze religiose e liberi costumi matrimoniali dei nativi. Insomma, quando nel 1538 un mappamondo riportò per la prima volta il nuovo continente chiamandolo America, Amerigo passò alla storia (e alla geografia).
Ma chi era veramente Vespucci? E perché anche nel 2012, anno del suo cinquecentenario, non regge il confronto con Colombo? Ce lo spiegano i suoi detrattori: anche se il genovese rimase nell’errore, resta comunque il primo ad aver affrontato l’ignoto. Amerigo invece è ritenuto da molti un “eroe per caso”, capitato sulla rotta della Grande Storia al momento giusto.
Fin qui i fatti. Ma ci sono altri risvolti interessanti. Intanto qualsiasi ammiraglio aveva sulla sua nave una ciurma anonima e maleodorante, stipata tra «vele e cordame, bussole ed astrolabi, zappe, tenaglie, asce, tamburi. E ancora incudini, martelli, lanterne, ancore, ami da pesca, rossi cappelli da marinaio e casse piene di perline di vetro. E armi!», come recitano i registri di carico di una Casa de Contractación.
E quanti interessi giravano intorno a quei viaggi di Spagna e Portogallo! Non erano solo gli alisei a disegnare le rotte di quei navigatori. Fu invece il vento rapace e interessato, che soffiò sull’Europa del XIV secolo, a muovere le vele e gli scafi. La situazione geo-politico-religiosa aiuta a capire.
Quando nel 1453 Costantinopoli cadde in mano al sultano, la terrestre “via della seta” apparve compromessa perfino agli astuti mercanti veneziani, che pure con i turchi tentarono alleanze fino all’ultimo, per cui la ricerca di rotte alternative per le Indie si fece spasmodica.
Alla “scoperta dell’America” concorsero quindi le ragioni e le vicende di una intera epoca, irripetibile per genio, fecondità culturale e tecnologia.
Eppure, quante ombre se abbandoniamo la visione eurocentrica! Verso quelle terre appena scoperte, infatti, l’Europa si comportò come un nobile rampollo che appena uscito di casa si muove come se tutto debba appartenergli per decreto divino. E tutto gli sia permesso – soprusi e razzie verso quei popoli –, purtroppo in nome del Dio cristiano.
Difficile sentirsi quindi orgogliosi per la scoperta di un’America che prese nome da un italiano, con tutto il rispetto per Vespucci e le attenuanti della cultura dell’epoca. Preferirei che la storia di quei tempi potesse essere riscritta, stavolta alla luce di una cultura della reciprocità tra i popoli.
PER APPROFONDIRE
Autorevole omaggio al 500° anniversario, il saggio di Franco Cardini e Marina Montesano Amerigo Vespucci (Ed. Le Lettere, euro 38,00) è un volume di grande formato splendidamente illustrato. Vi si trova tutto ciò che c’è da sapere sul discusso navigatore nel contesto del suo tempo.