Ero straniero, sono italiano
«È insolito trovare un pubblico così numeroso ad un convegno su un tema scomodo». Questo è stato il commento di uno dei relatori presenti a Milano nei giorni scorsi in occasione dell'evento organizzato dall'associazione Arcobaleno dal titolo "Diritti e rovesci dei nuovi cittadini: ero straniero, sono milanese".
L'associazione ha voluto organizzare questo convegno per celebrare i suoi primi trent’anni di attività. Nel 1983, quando il fenomeno migratorio era ancora agli inizi e la comunità straniera più numerosa a Milano era quella svizzera, il gioco del calcio fu lo strumento per avvicinare e coinvolgere un numero sempre crescente di persone di nazionalità diverse, fino ad organizzare il Mundialito a cui parteciparono squadre di 24 nazioni. Dal gioco e dalla conoscenza reciproca nacquero poi tutte le altre attività dell’associazione, con la volontà di rispondere alle diverse esigenze e sviluppare forme di solidarietà verso i nuovi arrivati, guidati dalla frase di Chiara Lubich: “Amare la patria altrui come la propria”.
Si organizzarono corsi di italiano e si intensificarono i rapporti interculturali con i gruppi vicini all’associazione, favorendo così l’integrazione e il percorso verso una piena cittadinanza. Oggi Arcobaleno conta circa 80 volontari, 1400 iscritti ai corsi di italiano e di informatica, un laboratorio teatrale, uno sportello lavoro e alcune start up di attività imprenditoriali femminili. Questa in breve è la storia di Arcobaleno.
Ma non ci si poteva limitare a festeggiare i successi raggiunti senza volgere lo sguardo alla situazione attuale e al nuovo scenario che si apre nella nostra società. Per fare questo, si è scelto di coinvolgere diversi attori di questo scenario, ognuno portatore di una prospettiva diversa e complementare.
Il convegno si è aperto con due video-testimonianze: la prima, drammatica, ha dato la parola ad alcuni migranti arrivati nel nostro Paese sui terribili barconi e soccorsi in mare per approdare a Lampedusa; la seconda, piena di speranza, dove alcuni fratelli stranieri (passati per Arcobaleno e a volte fermatisi per dare a loro volta una mano) hanno raccontato in breve quale è stato il loro percorso di integrazione, quali sono i loro sentimenti di nuovi cittadini italiani e i loro desideri per il futuro.
L'approfondimento di Pasquale Ferrara, segretario generale dell'Istituto universitario europeo, ha dato un quadro storico attuale e internazionale dei processi migratori, invitandoci a guardarli non come un fenomeno transitorio, ma come un elemento strutturale della società mondiale. Le migrazioni ci sono sempre state e ci saranno sempre. Si modificheranno e i Paesi che ora sono luoghi da cui migrare, probabilmente diventeranno in un futuro prossimo luoghi verso cui migrare. Nel frattempo, l'Europa non può più rinunciare a formulare politiche migratorie condivise; deve liberarsi dal senso di paura che in questo momento, complice anche la crisi economica, rende impossibile mettere in atto una vera integrazione, che non sia difensiva ma progettuale. E per fare ciò, è necessario fare propri due convincimenti imprescindibili: che nessuno è clandestino su questa terra di cui tutti siamo ospiti e che mobilità e stabilità non sono due termini in contraddizione.
L’assessore Franca Parizzi, che a Lampedusa ha tra le altre deleghe anche quella per l’Aiuto ai migranti, ha illustrato come il termine “emergenza” da tempo non sia più adatto alla realtà che si vive sull’isola e in tante altre località italiane che per ragioni geografiche sono punto di arrivo per gli stranieri che attraversano il Mediterraneo. La mancanza di risorse, l’inadeguatezza delle istituzioni, la frustrazione di non riuscire a far fronte in modo ottimale ai continui arrivi di migranti e agli infiniti drammi che ciascuno di essi porta con sé, non sembrano aver fatto perdere ai lampedusani la voglia di essere solidali, di darsi da fare e nel contempo di far sentire la propria voce perché questo diventi un problema di tutti gli italiani e non solo.
L’assessore Marco Granelli, che per la città di Milano ha la delega al Volontariato e alla Coesione sociale, ha sottolineato come le attività di assistenza ai migranti che il Comune mette in atto attraverso la collaborazione con le associazioni e le cooperative sociali non riscuotono il consenso che dovrebbero. La cittadinanza non è preparata a vivere il processo di integrazione come una dato di normalità, ma è ancora pervasa da quella sensazione di paura che anche Pasquale Ferrara ha messo in luce. Il contributo importante che le associazioni possono dare è non tanto quello pratico e prezioso delle “cose da fare”, quanto quello culturale, che porti la popolazione della città ad un progressivo cambio di mentalità in favore dell’accoglienza e della progettualità condivisa.
Si è aperta quindi una tavola rotonda, intorno alla quale si sono radunati i rappresentanti di diverse associazioni che provano a farsi carico di alcuni dei diritti fondamentali della persona. Luca Cusani ha parlato a nome del Naga, che fornisce assistenza sanitaria gratuita soprattutto ai migranti che si trovano in quel limbo burocratico che rende impossibile accedere immediatamente alle cure mediche necessarie. Marina Ingrascì, degli Avvocati per niente, ha raccontato come accanto all’assistenza legale ai singoli individui sia fondamentale portare avanti azioni legali “strategiche”, quelle cioè che intercettano situazioni di discriminazione e le risolvono alla radice con opportune cause legali.
Walid Barakat, palestinese presidente di Federmoda, portavoce del made in Italy nel campo dell’abbigliamento, ha ripercorso la sua vita professionale di “immigrato di successo”, basata sulla convinzione che la diversità culturale è sempre e comunque un arricchimento e che la creazione di progetti e posti di lavoro è un processo che ingloba e non che esclude. Umberto Contro, a nome della Rete delle scuole senza permesso, ha sottolineato come l’apprendimento della lingua italiana sia la base di ogni successivo passo verso l’integrazione, perché favorisce la socialità e anche il corretto utilizzo delle competenze culturali e professionali acquisite nel proprio Paese.
Tutte le realtà testimoniate hanno messo in luce un punto che Arcobaleno reputa vitale: la capacità di fare rete, di scambiare informazioni e competenze, di agire in modo coordinato, si rivela sempre produttivo dal punto di vista dei risultati e soprattutto getta le basi per la costruzione di quella società fraterna a cui tutti puntiamo.
I giovani di Arcobaleno con i loro amici hanno lanciato, nelle settimane precedenti al convegno, un concorso per la creazione del nuovo logo dell’associazione. La risposta è stata entusiasmante: 133 lavori giunti da ogni parte di Italia e anche dall’estero. La commissione scientifica ha scelto e premiato il nuovo logo, che rappresenta l’unità nella diversità e che gioca cromaticamente con le sfumature dei colori della pelle umana.
Il valore di questo convegno, per chi lo ha organizzato e per chi vi ha partecipato, siamo convinti sia stato quello di prendere coscienza insieme di questo aspetto del nostro essere cittadini e fratelli insieme, in un rapporto che ogni giorno si arricchisce e si solidifica e costruisce una società sempre più colorata e complessa, ma anche sempre più famiglia.